Pagina:Zibaldone di pensieri III.djvu/438

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424 pensieri (1886-1887-1888)

che, avvezze alle galanterie, solite ad esser corteggiate ec. che in quelle di carattere simile al suo. Anzi a queste egli dispiace a prima vista o viene a noia fra poco, a quelle viceversa. Anche gli uomini legati, timidi ec., insomma difettosi nel trattare e nel conversare per mancanza di disinvoltura, esperienza ec., anche una cert’aria d’inesperienza, di semplicità, d’innocenza (il contrario della furberia), di naturalezza ec., son capaci, come di dispiacere interamente alle donne loro pari, cosí di fermare il gusto di una donna eccessivamente disinvolta,  (1887) sperimentata, furba e libera nel trattare, nell’operare, e in ogni assuefazione e costume, e di parerle graziosi ec. (10 ottobre 1821).


*   Ho detto che la lingua italiana non ha mai rinunziato alle sue ricchezze antiche. Ecco come ciò si deve intendere. Tutte le nazioni, tutte le lingue del mondo antiche e moderne, formate ed informi, letterate e illetterate, civili e barbare, hanno sempre di mano in mano rinunziato e di mano in mano incessantemente rinunziano alle parole e frasi antiche, come e perciò ed in proporzione che rinunziano ai costumi antichi, opinioni ec. Quelle ricchezze alle quali io dico che la lingua italiana non ha mai rinunziato sono le ricchezze sue piú o meno disusate, che sono infinite e bellissime e ponno esserle ancora d’infinito uso; ma non propriamente le voci e locuzioni antiche, cioè quelle che oggi o non si ponno facilmente e comunemente intendere o comunque intese non ponno aver faccia di naturali e spontanee e non pescate nelle biblioteche de’ classici. A queste l’Italia, come tutte le altre nazioni né piú né meno, intende di avere rinunziato; e i soli pedanti  (1888) lo negano, o non riconoscono per buona questa rinunzia e le protestano contro, e non vi si conformano né l’ammettono.

Come poi la lingua italiana abbia e possa avere, a differenza della francese, infinite ricchezze, che, se