Pagina:Zibaldone di pensieri IV.djvu/237

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(2411-2412-2413) pensieri 225

di chi vive sono compresi o riferiti o prodotti ec. dall’amor proprio: il quale è il sentimento universale che abbraccia tutta l’esistenza; e gli altri sentimenti del vivente, se pur ve n’ha che sieno veramente altri, non sono che modificazioni o divisioni o produzioni di questo, ch’é tutt’uno col sentimento dell’essere o una parte essenziale del medesimo.

Dal che segue che l’uomo, avendo per la sua natura ed organizzazione esteriore ed interiore maggior vita, maggior capacità di piú vasta e piú numerosa concezione, maggior sentimento insomma o maggior sensibilità di tutti gli  (2412) altri viventi, dee necessariamente avere maggiore intensità, attività ed estensione o quantità o sentimento d’amor proprio, che non ne ha verun altro genere di viventi. Quindi l’uomo, per essenza propria e inseparabile, è e nasce piú infelice o meno capace di felicità che verun altro genere di viventi o di esseri.

Questo si deve intendere dell’uomo naturale. Ma siccome questa capacità ed intensità e forza ed attività di sentimento della quale egli è naturalmente provveduto sopra ogni altro animale rende il suo spirito piú conformabile, piú suscettibile di sempre maggior sentimento, piú raffinabile, vale a dire piú capace di sempre piú vivamente e piú variamente sentire; anzi, siccome essa capacità non è altro che conformabilità e suscettività di nuovo sentimento e di nuove modificazioni dell’animo; cosí l’uomo, perfezionandosi, come dicono, cioè crescendo la forza e la varietà e l’intimità del suo sentimento, e perciò prevalendo in lui sempre piú lo spirito, cioè la parte sensitiva,  (2413) al corpo, cioè alla parte torpida e grave; acquista egli e viene di secolo in secolo necessariamente accrescendo la forza e il sentimento dell’amor proprio, e quindi di secolo in secolo divien piú e piú inevitabilmente infelice. Dal che segue che l’uomo, come dicono, perfezionato, è, per essenza