Pagina:Zibaldone di pensieri IV.djvu/279

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(2482-2483-2484) pensieri 267

Ho anche ragionato del danno involontariamente recato dal cristianesimo e dallo stabilimento e perfezionamento della morale, stante che gli uomini, sempre inevitabilmente cattivi, operando oggi piú chiaramente e decisamente contro coscienza, sono peggiori degli antichi e, calpestando il timore che hanno de’ gastighi dell’altra vita, ne divengono piú feroci e piú terribili nel malfare, come persone condannate e disperate ec. Aggiungo che l’uomo, il quale per la prima volta s’é risoluto a commettere un delitto, ha dovuto con gran fatica e pena trionfare della propria coscienza e delle proprie abitudini: e si trova allora nell’atto di aver riportato questo trionfo. Il che è cagione di una gran ferocia, simile a quella che dicono del leone o d’altra tal bestia salvatica, che va in furore ed è piú che mai terribile appena ch’ell’ha gustato o veduto il sangue d’altro animale. Perocché l’uomo in quel punto è come sparso e macchiato di sangue, cioè omicida  (2483) della propria coscienza. E generalmente l’esecuzione di qualunque proposito è tanto piú efficace ed energica ed infiammata ed avventata e pronta, quanto la risoluzione è stata piú faticosa e difficile e quanta maggior pena e contrasto è costato a formarla. Perocché l’uomo teme di pentirsi e s’avventa nell’esecuzione come fuggendo con grand’impeto e fretta e spavento dal proprio pensiero, che, dandogli luogo a discorrere ancora, potrebbe distorlo o precipitarlo di nuovo nell’irresoluzione, che l’uomo teme e odia naturalmente, e ch’é uno de’ principali travagli dell’animo. Massime quando l’effetto della risoluzione (o sia il piacere o sia l’utile o sia la vendetta o sia la soddisfazione di qualsivoglia passione umana) lo tira e lo invita gagliardamente, ed egli teme che il proprio pensiero gl’impedisca di cercarlo e di conseguirlo e d’altra parte desidera vivamente di non perderlo e non privarsene per proprio difetto (17 giugno 1822). (2484)