Pagina:Zibaldone di pensieri IV.djvu/299

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(2518-2519-2520) pensieri 287

Apologia, p. 25)? Il poetico della lingua non è quasi il medesimo che il pellegrino? O certo il pellegrino non è una qualità poetica nella lingua e non serve di sua natura a poetichizzare il linguaggio e lo stile? Or ditemi se nelle poesie italiane d’oggidí si può trovar cosa piú  (2519) prosaica delle voci, frasi ec. forestiere? se piú triviale, piú ordinaria, insomma piú decisamente impoetica e piú distruttiva dell’eleganza del linguaggio e in maggior contraddizione colla natura dello stile poetico? Tanto che, riuscendo sempre le dette voci e maniere inelegantissime nella prosa, che pur è obbligata a minor eleganza, nella poesia riescono stomachevoli, e la cambiano affatto di poesia in cattiva prosa, onde osserva il Perticari (De’ trecentisti), sebbene non con tutta verità, che il barbarismo, insignorito delle prose italiane, pur non mise piede nelle poesie, come non ci potesse esser poesia con barbarismi. E questo perché? essendo il pellegrino cosí proprio della poesia, ch’ella non ne può far senza? Perché, torno a dire, se non perché tali voci e frasi ec. forestiere sono appunto le piú volgari, giornaliere, correnti, usuali voci e maniere della nostra favella presente? e quindi distruttive del pellegrino? e se nuove nella scrittura o nella poesia, non  (2520) nuove, anzi vecchie nell’uso volgare del discorso, e quindi distruttive della novità ch’é l’uno de’ principali pregi della lingua poetica? Laonde oggi sono eleganti le poesie scritte nella pura lingua italiana e spesso anche in quella che una volta fu poco meno che trivialissima. Non per altro se non perché quanto piú sono italiane, tanto piú dette poesie ci riescono pellegrine.

Concludo che il barbarismo è distruttivo dell’eleganza, sí della prosa e sí massimamente della poesia (alla quale piú si richiede il pellegrino), non come pellegrino, né come semplicemente forestiero e contrario alla purità (ch’é un nome astratto e sempre