Pagina:Zibaldone di pensieri IV.djvu/422

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410 pensieri (2746-2747-2748)

tate universalmente  (2747) nella rispettiva nazione, o tardi hanno conseguito queste qualità. E dico tardi, rispetto alla maggiore o minore antichità della scrittura e letteratura presso quelle nazioni; presso alcune delle quali esse sono molto piú antiche che presso la greca, come la scrittura e letteratura sascrita presso gl’indiani.

Nondimeno questa prodigiosa moltiplicità di caratteri rappresentanti de’ suoni composti, nasce in alcuni dei detti alfabeti dal mancare in essi totalmente o in parte i segni rappresentanti i suoni semplici della favella. La qual mancanza, ch’è la maggiore imperfezione che possa essere in un alfabeto, cagiona necessariamente e immediatamente un’assoluta e indeterminata moltiplicità di segni nell’alfabeto medesimo. Ma questa mancanza ed imperfezione non è già una prova che quegli alfabeti abbiano un’origine diversa da quella degli alfabeti europei. Essa mancanza ed imperfezione e la moltiplicità  (2748) di caratteri che ne deriva, e l’uso di segni rappresentanti de’ suoni composti, sono tutte qualità che dovettero necessariamente essere nell’alfabeto primitivo; perché l’uomo non arriva al semplice e agli elementi se non per gradi, anzi queste sono le ultime cose a cui egli arriva, e nell’arrivarvi consiste appunto la maggior possibile perfezione delle sue idee in qualunque genere. Ora nessuna cosa umana è perfetta nel suo principio, e massime un’invenzione cosí difficile e astrusa come fu quella dell’alfabeto. Non fu poco, anzi fu maravigliosissimo il pensiero di applicare i segni della scrittura ai suoni delle parole invece di applicarli alle cose e alle idee, come si fece nella scrittura primitiva e nella geroglifica, come facevano i messicani nelle loro pitture scrittorie, come fanno i selvaggi e i chinesi. Dopo concepito questo mirabile pensiero, che fu l’origine dell’alfabeto, questo pensiero ch’io dico essere stato unico nel mondo, cioè concepito da un uomo solo