Pagina:Zibaldone di pensieri IV.djvu/432

Da Wikisource.
420 pensieri (2766-2767-2768)

eroiche che le deboli; e quindi la spietatezza verso chi non aveva alcun titolo alla clemenza, quali si stimavano  (2767) i nemici, era creduta molto piú eroica che la compassione, affetto dolce, molle e stimato femminile; la vendetta molto piú eroica che il perdono, siccome il risentimento era giudicato ben piú degno dell’uomo che la pazienza delle ingiurie, la quale non andava mai disgiunta dalla riputazione e dal biasimo di viltà o dapocaggine.

Quando Omero introduce Priamo ai piedi d’Achille, quando ci commuove fino all’anima coll’amaro spettacolo di tanta grandezza ridotta a tanta miseria, quando par che impieghi ogni artifizio, che accumuli ogni circostanza, propria a destarci la compassione piú viva e nel tempo stesso ci rappresenta Achille, il protagonista del suo poema, il modello della virtú eroica da lui concepita, cosí difficile, cosí tardo a lasciarsi piegare, piangente sopra il capo di Priamo, non già le sventure di Priamo, ma le sue proprie e il suo vecchio padre, e il suo Patroclo, della cui morte esso  (2768) Priamo era venuto a chiedergli in certo modo il perdono, quando finalmente non lo fa risolvere di concedere al supplichevole e infelicissimo re la sua misera domanda, se non in vista dell’ordine espresso già ricevutone da Giove per mezzo di Teti, senza il quale egli dimostra e fa intendere assai chiaramente che né le preghiere né il pianto né il dolore né tutto il misero apparato di quel re domo e prostratogli dinanzi l’avrebbero vinto; a noi pare che questo Achille sia quasi un mostro, e che anche una virtú secondaria, anzi minima, non che primaria (come si rappresenta la sua in quel poema), anche molto piú gravemente offesa, anche già meno acerbamente vendicata, anche con minori cagioni d’intenerirsi, avesse dovuto e commuoversi ben tosto, e sommamente, e concedere già molto prima di quel ch’ella fa, la domanda del supplichevole, e concedere anche