Pagina:Zibaldone di pensieri IV.djvu/431

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(2764-2765-2766) pensieri 419

nel formare il carattere di Enea non salvò la verisimiglianza, rispetto ai tempi in cui fu questo eroe, e peccò di anacronismo in questo carattere molto peggio che nell’episodio di Didone;  (2765) siccome peccò di gravissimo anacronismo lo Chateaubriand nei Martiri, supponendo le opinioni religiose, la religiosità e le superstizioni de’ tempi di Omero, ne’ tempi di Luciano.

L’inumanità verso i nemici non era biasimo ai tempi di Omero, perché i nemici non erano considerati come uomini o come parte di quel corpo a cui apparteneva il loro avversario. Gli antichi (e i selvaggi altresí) erano ben lontani dal considerare tutto il genere umano come una famiglia, e molto piú dal considerare i nemici come loro simili e fratelli. Simili e fratelli non erano per gli antichi, e non sono per li selvaggi, se non gl’individui della loro stessa società; o nazione o cittadinanza o esercito che la vogliamo chiamare e considerare. Di questo ho detto altrove. Quindi essere inumano verso i nemici tanto era per gli antichi, quanto essere inumano verso i lupi o altri animali che non  (2766) sono del genere umano anzi gli nocciono. Siccome appunto i nemici nocevano o cercavano di nuocere a quella società, dentro i limiti della quale si conteneva tutta quella famiglia umana a cui gli antichi si stimavano appartenere. E come a chi prendesse a difendere o a vendicare la sua società contro gli animali nocivi sarebbe lode il non perdonar loro in alcuna maniera, ma sterminarli tutti a poter suo; cosí agli antichi era lode l’inumanità verso i nemici, che non si reputavano aver diritto all’umanità, non istimandosi aver nulla di umano, cioè nulla di comune con quegli uomini che li combattevano; e l’eccesso o il sommo grado di questa inumanità si giudicava proprissima dell’eroe. Massimamente che tutte le passioni o azioni forti erano fra gli antichi stimate molto piú degne, o certo piú