Pagina:Zibaldone di pensieri V.djvu/429

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422 pensieri (3495-3496)

non abbiamo. E soggiungo che, umanizzando gli Dei, non tanto vollero abbassar questi, quanto onorare e innalzar gli uomini; e ch’effettivamente non piú fecero umana la divinità che divina l’umanità, sí nella lor propria immaginazione e nella stima popolare, sí nella espressione ec. dell’una e dell’altra, nelle favole, nelle invenzioni, ne’ poemi, nelle costumanze, ne’ riti, nelle apoteosi, ne’ dogmi e nelle discipline religiose ec. (22 settembre 1823). Tanto grande idea ebbero gli antichi dell’uomo e delle cose umane, tanto poco intervallo posero fra quello e la divinità, fra queste e le cose divine (non per abbassar l’une, ma per elevar l’altre, né per disistima dell’une, ma per altissimo concetto dell’altre), ch’essi stimarono la divinità e l’umanità potersi congiungere insieme in un solo subbietto, formando una persona sola. Onde immaginarono un intiero genere participante  (3496) dell’umano e del divino, participazione che lor sembrò naturalissima, e ciò furono i semidei. E similmente i fauni, le ninfe, i pani ed altre tali divinità, anzi semidivinità1 terrestri, acquatiche, aeree, insomma sublunari, reputate mortali, si possono ridurre a questo genere di partecipanti (vedi il Forcellini in Nympha): sebben elle erano inferiori ai semidei, come Ercole (di cui vedi Luciano Dialogo d’Ercole e Diogene, che fa molto a proposito), cioè participanti forse di minor parte di divinità e piú d’umanità o mortalità: siccome gli eroi, finch’essi sono mortali, possono parere un grado inferiori a’ pani, ninfe ec., cioè men divini (vedi |Forcellini in Heros, Indigetes, Semideus; e Platone nel Convito ed. Astii, t. III, 498, D-500, E. che fa ottimamente al caso.2 Gli antichi non trovarono maggior difficoltà a comporre in un soggetto medesimo

  1. δαίμονες, genii, lares, penates, manes ec. Vedi Forcellini in tutte queste voci.
  2. Vedi p. 3544.