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Pagina:Zibaldone di pensieri VI.djvu/214

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(3824) pensieri 209

sono le cose piacevoli, e i piaceri ben piccoli. Ma fossero pur frequentissimi e grandissimi. Né il corpo né l’animo umano hanno la forza di goder piú che tanto, e anche indipendentemente dall’assuefazione che rende indifferenti le sensazioni da principio piacevoli o dolorose, anche restando ai piaceri e ai dolori la lor forza, manca all’uomo la facoltà di sentirli, se e’ son troppo grandi, o se son troppi ec. La facoltà di soffrire è assai maggiore nell’uomo. Pur se il dolore è soverchio, né il corpo né l’animo umano non è capace di sentirlo, e non soffre, o per poco spazio, dopo il quale la sua facoltà di soffrire vien meno. L’uomo non può molto godere, non solo perché pochi e piccoli sono i piaceri,  (3824) ma anche rispetto a se stesso, perché egli è molto limitatamente capace del piacere, e quegli stessi che vi sono, cosí piccoli e pochi, bastano a vincere di gran lunga la sua capacità. Bacco e Venere sono piaceri, ma l’uomo dopo un quarto d’ora ec. diviene incapace di gustarli, e soccombe alla loro forza, niente meno che a quella de’ tormenti e de’ morbi (3 novembre 1823).


*    Somma conformabilità dell’uomo ec. Tutto in natura, e massime nell’uomo, è disposizione ec. Straordinaria ed, apparentemente, piú che umana facoltà e potenza che i ciechi, o nati o divenuti, hanno negli orecchi, nella ritentiva, nell’inventiva, nell’attendere, nella profondità del pensare, nell’apprender la musica ed esercitarla e comporne ec. ec. Similmente dei sordi nell’attenzione, nella contenzione e concentrazione del pensiero, nell’imparar cose che paiono impossibili ai sordi nati, fino a leggere, a scrivere, a parlare fors’anche ec., come nelle scuole de’ sordi muti ec. Le quali straordinarie potenze delle parti morali, che si scuoprono nell’uomo per la sola forza delle circostanze, e talora in un individuo medesimo che dapprima non le aveva, come in uno divenuto cieco a una certa