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230 | pensieri | (3846-3847) |
passionevole, benefico ec. e piú inclinato alla compassione, all’interessarsi per altrui ec. Cosí di due giovani, pari in ogni altra cosa e circostanza, il piú forte è piú portato a soccorrere altrui, a compatire, a ben fare ec. ec. (7 novembre 1823).
* Sempre che il vivente si accorge dell’esistenza e tanto piú quanto ei piú la sente, egli ama se stesso,1 e sempre attualmente, (3847) cioè con una successione continuata e non interrotta di atti, tanto piú vivi, quanto il detto sentimento è attualmente o abitualmente maggiore. Sempre e in ciascuno istante ch’egli ama attualmente se stesso, egli desidera la sua felicità, e la desidera attualmente, con una serie continua di atti di desiderio, o con un desiderio sempre presente, e non sol potenziale, ma posto sempre in atto, tanto piú vivo, quanto ec. come sopra. Il vivente non può mai conseguire la sua felicità, perché questa vorrebb’essere infinita, come s’é spiegato altrove, e tale ei la desidera; or tale in effetto ella non può essere. Dunque il vivente non ottiene mai e non può mai ottenere l’oggetto del suo desiderio. Sempre pertanto ch’ei desidera, egli è necessariamente infelice, perciò appunto ch’ei desidera inutilmente, esclusa anche ogni altra cagione d’infelicità; giacché un desiderio non soddisfatto è uno stato penoso, dunque uno stato d’infelicità. E tanto piú infelice quanto ei desidera piú vivamente. Non v’é dunque pel vivente altra felicità possibile, e questa solamente negativa, cioè mancanza d’infelicità; non è, dico, possibile al vivente il mancare d’infelicità positiva, altrimenti che non desiderando la sua felicità, né per altro mezzo che quello di non bramar la felicità. Ma sempre ch’ei si ama, ei la desidera; e mentre ch’ei sente di esistere, non può, né anche per