Pagina:Zibaldone di pensieri VII.djvu/208

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(4259-4260) pensieri 201

voli, le fantasticherie disgustose, i mali immaginarii, i timori panici. Gran differenza è dalla fatica e dalla occupazione, e dalle cure e sollecitudini stesse, alla inquietudine. Gran differenza dalla tranquillità all’ozio. Le persone, massimamente di una certa immaginazione, le quali, essendo per essa molto travagliate negli affari, nella vita attiva o semplicemente sociale, e molto irresolute (come nota la Staël nella Corinna a proposito Lord Nelvil): e le quali perciò appunto tendono all’amor del metodo e alla fuga dell’azione e della società, e alla solitudine;  (4260) s’ingannano in ciò grandemente. Esse hanno piú che gli altri, per viver quiete, necessità di fuggir se stesse, e quindi bisogno sommo di distrazione e di occupazione esterna. Sia pur con noia. Si annoieranno per esser tranquille. Sia ancora con afflizioni e con angustie. Maggiori sarebbero quelle che senza alcun fondamento reale, fabbricherebbe loro inevitabilmente la propria immaginazione nella vita solitaria, interiore, metodica. Chi tende per natura all’amor del metodo, della solitudine, della quiete, fugga queste cose piú che gli altri o attenda piú a temperarle co’ lor contrarii; se vuol potere veramente esser quieto. Al che lo aiuterà poi il giudicare e pensar filosoficamente delle cose e dei casi umani. Ma certo un uom d’affari (senz’ombra di filosofia) ha l’animo piú tranquillo nella continua folla e nell’affanno delle cure e delle faccende; e un uom di mondo nel vortice e nel mar tempestoso della società, di quello che l’abbia un filosofo nella solitudine, nella vita uniforme e nell’ozio estrinseco (Recanati, 24 marzo 1827).


*    Quanto piú in questo tal modo si fuggono le sollecitudini e i dispiaceri, tanto piú vi s’incorre: perché mancandone le cause reali (o vogliamo dir di momento) e che sopravvengono di fuori, noi ce ne fingiamo e facciamo da noi medesimi e per cosí dire