Pagina:Zibaldone di pensieri VII.djvu/67

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62 pensieri (4138-4139)

scendo si fa piú incapace di felicità, tanto egli si fa piú proclive e domestico al riso, e piú straniero al pianto. Molti in una certa età (dove le sventure sono pur tanto maggiori che nella fanciullezza) hanno quasi assolutamente perduta la facoltà di piangere. Le piú terribili disgrazie gli affliggeranno, ma non gli potranno trarre una lagrima. Questa è cosa molto ordinaria. Tanta occasione ha l’uomo di farsi familiare il dolore (12 maggio 1825).


*    Ad ogni filosofo, ma piú di tutto al metafisico, è bisogno la solitudine. L’uomo speculativo e riflessivo, vivendo attualmente, o anche solendo vivere nel mondo, si gitta naturalmente a considerare e speculare sopra gli uomini nei loro rapporti scambievoli, e sopra se stesso nei suoi rapporti cogli uomini. Questo è il soggetto che lo interessa sopra ogni altro, e dal quale non sa staccare le sue riflessioni. Cosí egli viene naturalmente ad avere un campo molto ristretto, e viste in sostanza molto limitate, perché alla fine che cosa è tutto il genere umano (considerato solo nei suoi rapporti con se stesso) appetto alla natura, e nella università delle cose? Quegli al contrario che ha l’abito della solitudine, pochissimo s’interessa, pochissimo è mosso a curiosità dai rapporti degli uomini tra loro, e di se cogli uomini; ciò gli pare naturalmente un soggetto e piccolo e frivolo. Al contrario, moltissimo l’interessano i suoi rapporti col resto della natura, i quali tengono per lui il primo luogo, come per chi vive nel mondo i piú interessanti e quasi soli interessanti rapporti sono quelli cogli uomini; l’interessa la speculazione e cognizion di se stesso come se stesso; degli uomini come parte dell’universo; della  (4139) natura, del mondo, dell’esistenza, cose per lui (ed effettivamente) ben piú gravi che i piú profondi soggetti relativi alla società. E in somma si può dire che il filosofo o l’uomo riflessivo