Vai al contenuto

Pagina:Zola - Nana - Pavia - 1881.pdf/365

Da Wikisource.

aveva acceso il fuoco in un accesso di pazzia, ma poi il caldo l’avea probabilmente fatto tornar in sè. Un uomo così matto per le donne, così infiacchito, così rovinato, non poteva morire con tanto eroismo.

Nana lo asceltava, disillusa. E per concludere, non trovò che questa frase:

— Oh! che sciagurato, quella storia era così bella!

V.

Al tocco dopo la mezzanotte, il conte e Nana non dormivano ancora nel gran letto addobbato di trine veneziane.

Egli era tornato dopo averle tenuto il broncio per tre giorni,

La camera era debolmente illuminata da un lucignolo velato sotto cristallo azzurro, sonnecchiava, tepida, olezzante d’un profumo d’amore, mentre nell’ombra spiccava la bianchezza dei mobili di candido smalto a tarsie d’argento.

Le cortine calate, immergevano il letto nelle tenebre.

Vi fa un sospiro, poi un bacio ruppe il silenzio, e Nana, scivolando di sotto alle coltri, restò per un momento seduta, con le gambe nude, sull’orlo del letto alla luce della lampada.

Il conte col capo sul guanciale, restava nell’ombra.

— Il cielo e l’inferno vi sono, non è vero? chiese ella dopo un momento di riflessione.

Era tutta seria, e si sentiva colta da religioso sgomento nell’uscir dalle braccia dell’amante.

Dalla mattina in poi stava male: delle idee stolte, come diceva lei, delle idee di morte, di cielo e d’ inferno la tormentavano.

Le accadeva talvolta di passar delle notti in cui molte pazzie fanciullesche, molte orrende fantasie, le davano l’ incubo ad occhi aperti.

— Io, per certo, non andrò in paradiso! disse. Che ne dici? Credi che ne andrò? Oh! te ne prego, di’?

E fa presa da un brivido.

Il conte, sorpreso da quelle domande sì strane, in quel momento afferrato dal terrore di Dio, che lo torturava sempre in mezzo ai suoi rimorsi da cattolico, balbettò alcune parole sconnesse per acquietarla.