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Pagina:Zola - Nana - Pavia - 1881.pdf/419

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sole, le messi mature, i vigneti dorati al settembre, le alte erbe in cui le mucche sprofondavano fino al ventre, tutto era inghiottito in un abisso; e vi fu perfino un corso d’acqua, una cava di calce e tre mulini che sparvero. Nana passava simile ad un’invasione, a un nembo di locuste, le quali nel loro volo di fiamma, devastano una provincia. Abbruciava la terra dove passava il sno piedino. Fattoria a fattoria, prato a prato, essa divorò l’eredità, col suo farino grazioso, senz’accorgersene, come rosicchiava, fra due pasti, un cartoccio di confetti posto sulle sue ginocchia. Era roba da nulla, bomboni e nulla più.

Ma, una sera, non rimase che un piccolo boseo: lo ingoiò in aria sprezzante, poichè, ciò non valeva quasi la pena di aprire la bocca. La Faloise aveva un riso imbecille, succhiando il pomo della sua canna. Il debito lo schiacciava, non possedeva più cento franchi di rendita; si vedeva costretto di ritornare in provincia a vivere presso uno zio maniaco; ma non gliene importava gran fatto: egli era chic; il Figaro aveva stampato due volte il suo nome; e col collo magro, fra le punte ripiegate del solino, la vita curva sotto una giacca troppo corta, ei si dondolava con delle esclamazioni da pappagallo, e lo spossamento affettato da burattino di legno, che non ha mai provato un’emozione,

Nana, che ne era ristucca, finì col batterlo.

Frattanto Fauchery era ritornato, condotto da suo cugino. Quel povero Fauchery, si trovava ormai accasato. Dopo aver rotto colla contessa, era ricaduto in balìa di Rosa, che gli faceva fare proprio da marito. Mignon era semplicemente il maggiordomo della signora.

Stabilito in casa da padrone, il giornalista ingannava Rosa, prendeva ogni sorta di cautele quando le faceva le corna, cogli scrupoli di un buon marito desideroso di assodarsi.

Il trionfo di Nana fu di averselo, e di mangiargli un giornale fondato col denaro d’un amico; non faceva pompa di questa relazione, anzi sì compiaceva di trattarlo da uomo” che deve tener secrete le proprie tresche; e, quando parlava di Rosa, diceva «quella poverina.»

Il giornale le procarò del fiori per due mesi; esso aveva