Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/1112
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che importano frequenza della medesima azione e hanno al tempo stesso una certa forza diminutiva. Questi (lasciando i frequentativi coll’infinito in essere che non possono esser confusi co’ nostri continuativi) si formano essi pure dal participio in us o dal supino in um di altri verbi, troncandone la desinenza, ma sostituendo in sua vece non la semplice terminazione infinita are o ari, bensí quella d’itare o itari, se il verbo da cui si formano è deponente (o passivo). Cosí da lectus, participio di legere, lectitare; cosí da victus o victum di vivere, victitare; da missus di mittere, missitare; da scriptus di scribere, scriptitare; da esus di edere, esitare; da sessus o sessum di sedere, sessitare; da emptus di emere, emptitare; da factus di facio, factitare; da territus di terreo, territare; da ventus di venio, (o dal sup. ventum), ventitare; da lusus di ludere, lusitare; da haesus o haesum di haerere, hesitare; da sumptus di sumere, sumptitare; da risus di ridere, risitare di Nevio. Eccetto però il caso che il participio o supino di quel verbo dal quale si doveva formare il frequentativo cadesse in itus o itum, che allora sarebbe stato assai duro, aggiungendo la terminazione itare o itari, fare ititare o ititari. In questo caso dunque, troncata la desinenza us o um del participio o del supino, aggiungevano la semplice desinenza are o ari, con che però il frequentativo veniva né piú né meno a cadere in itare o itari. Cosí da venditus di vendere facevano venditare (non vendititare); da meritus di merere, meritare (il quale par continuativo e talora denotante costume); da pavitus, antico participio di pavere, pavitare; da solitus ec. solitare; da latitus, antico participio o da latitum antico supino di latere, fecero latitare;