Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/1284

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[p. 60 modifica] vennero a poco a poco a confondere. Nell’uno e nell’altro caso vedete quanto la necessaria imperfezione delle prime scritture (e per prime intendo quelle di parecchi secoli) debba aver nociuto alla perfetta conservazione delle primitive radici, averle svisate di forma, confusine i significati ec. ec. Cosí discorrete degli altri inconvenienti che derivarono dalle imperfezioni degli alfabeti e degli effetti che questi inconvenienti dovettero produrre sulle parole.

Ma anche senza considerare nei primitivi alfabeti, o alfabeto, veruna imperfezione, ripeto che l’applicare le parole pronunziate in segni allora inventati, dové necessariamente patire le stesse difficoltà, che si patiscono nel discendere dalla teorica alla pratica. Osserviamo i fanciulli che incominciano a scrivere, ancorché sappiano ben leggere, ovvero gl’ignoranti che sanno però ben formare tutte le lettere e scrivono sotto la dettatura. Quanti spropositi derivati dalla poca pratica [p. 61 modifica]che hanno di applicare quel tal segno a quel tal suono e di analizzare la parola che odono, risolvendola ne’ suoni elementari, per applicare a ciascun suono elementare il suo segno! (notate ch’essi adoprano un alfabeto proprio fatto della lingua in cui scrivono e di segni propri e distinti di quei suoni precisi che debbono rappresentare). Appena riescono essi a copiar bene, cioè trasferire non da suono a segno, ma da segno a segno. Cosí i fanciulli principianti di scrittura, se hanno da scrivere sotto dettatura o scrivere senza esemplare sotto gli occhi quelle parole che pensano. Cosí anche gli uomini fatti e che sanno ben parlare ma non avvezzi a scrivere o leggere, ommettono, traslocano, cambiano, aggiungono tante lettere, fanno la loro parola scritta cosí diversa dalla parlata, ch’essi stessi si vergognerebbero di pronunziar la loro scrittura nel modo in cui ella giace. Ma essi credono che corrisponda alla pronunzia. Vedi p. 1659. Lo scrittore che scrive