Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/45

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[p. 147 modifica] fo pure di quelle madri e padri cristiani che godevano sentendo de’ loro figli martiri, e ancora esortandoli, vedendoli, portandoli, accompagnandoli, offrendoli al martirio e nel supplizio confortandoli a non cedere, come le spartane che esortavano ec., e quella che disse presentando lo scudo al figlio o con questo o su questo, e quelle che abbominavano i figli macchiati di qualche viltà, come parimente le cristiane ec. Da questo confronto risulta una conformità non solita a considerarsi fra questi due generi di eroismi, ed apparisce quello che ho detto altrove in questi pensieri che la religione è la sola che abbia riunito l’eroismo e la grandezza delle azioni e il valore e il coraggio e la forza d’animo ec. colla ragione ec. e che abbia anzi risuscitato l’eroismo già quasi svanito allo scemare delle illusioni; e quanto sia simile alle cose nostre quello che non si crede che abbia esempio fuor delle circostanze della libertà, amor patrio ec. de’ greci de’ romani, in somma degli antichi e principalmente degli antichissimi, quando come ho detto noi ne abbiamo anche esempi recenti ne’ nostri ultimi martiri, non solo ne’ primi e antichi.


*   Soleva considerar come una pazzia quello che dicono i Cappuccini per iscusarsi del trattar male i loro novizi, il che fanno con gran soddisfazione, e con intimo sentimento di piacere, cioè che anch’essi sono stati trattati cosí. Ora l’esperienza mi ha mostrato che questo è un sentimento naturale, giacch’io giunto appena per l’età a svilupparmi dai legami di una penosa e strettissima educazione e tuttavia convivendo ancora nella casa paterna con un fratello minore di parecchi anni, ma non tanti ch’egli non fosse nel pienissimo uso di tutte le sue facoltà vizi ec., siccome [p. 148 modifica]non per altro, giacché non era punto per predilezione de’ genitori, se non perch’era mutato il genere della vita nostra che convivevamo con lui, anch’egli partecipava non poco alla nostra larghezza, ed avea molto piú comodi e piaceruzzi che non avevamo noi in quella età, e molto meno incomodi e noie e lacci e strettezze e gastighi, ed era perciò molto piú petulante ed ardito di noi in quell’età, perciò io ne risentiva naturalmente una verissima invidia, cioè non di quei beni giacch’io gli avea allora, e pel tempo passato non li potea piú avere, ma mero e solo dispiacere ch’ei gli avesse, e desiderio che fosse incomodato e tormentato come noi, ch’è la pura e legittima invidia del pessimo genere, e io la sentiva naturalmente e senza volerla sentire, ma in somma compresi allora (e allora appunto scrissi queste parole) che tale è la natura umana, onde mi erano men cari quei beni ch’io aveva qualunque fossero, perch’io li comunicava con lui, forse parendomi che non fossero piú degno termine di tanti stenti dopo che non costavano niente a un altro che si trovava nelle mie circostanze, e con meno merito di me, ec. Quindi applico ai Cappuccini, i quali trovando la sorte dei fratelli minori che sono i novizi dipendente da loro, seguono gl’impulsi di questa inclinazione che ho detto, e non soffrono che si possano dire a se stessi essere scarso quel bene a cui son giunti, poiché altri gli acquista con assai meno travaglio di loro, né che abbiano a provare il dispiacere che questi tali non soffrano quegl’incomodi ch’essi in quelle circostanze hanno sofferti.