Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/765

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[p. 173 modifica] dal greco le parole che ci occorrono per li nostri usi presenti e per novità di cose ignotissime ai parlatori di quella lingua, non formiamo voci parimente ignote all’antica lingua greca? Ci facciamo scrupolo se non sono registrate nel lessico, o se non hanno per se l’autorità degli antichi scrittori? Non innuoviamo noi in una lingua morta, stranierissima, e al tutto fuori d’ogni nostro diritto? Il che, sebbene si facesse con buon giudizio e coi dovuti rispetti all’indole di quella lingua (al che per verità pochi hanno l’occhio nella formazione di tali voci), a ogni modo vi si potrebbe sofisticar [p. 174 modifica]sopra, e dire che la eredità che ci è pervenuta delle antiche lingue è come di beni infruttiferi, dai quali non si può né ricavare né pretendere altro servigio che dell’usarli identicamente. Ma la nostra lingua propria è un’eredità, un capitale fruttifero, che abbiamo ricevuto da’ nostri maggiori, i quali, come l’hanno fatto fruttare, cosí ce l’hanno