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Pescatorie/Notizie intorno la vita del Sannazaro

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Notizie intorno la vita del Sannazaro

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Jacopo Sannazaro - Pescatorie (XV secolo)
Traduzione dal latino di Filippo Scolari (1813)
Notizie intorno la vita del Sannazaro
Prefazione Egloga prima - Fillide
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NOTIZIE INTORNO LA VITA

DEL

SANNAZARO

NECESSARIE ALL’INTELLIGENZA

DELL’EGLOGHE


Nacque Jacopo Sannazaro in Napoli nel 1458. La sua famiglia, che prendeva origine dalla Spagna, passò in Italia, e fermatasi nella Lumellina provincia di Lombardia, dal Castello di San-Nazaro, posto tra il Po ed il Ticino, prese la sua denominazione.

Il suo bisavolo Nicolò avendo ben meritato presso il Re Carlo III degli Angiovini, nell’acquisto del regno di Napoli avvenuto circa il 1380 per li molti possedimenti, che ne riportò in dono, in Napoli si trasferì. Giacopo di lui figlio di tal maniera prestossi poi in favore di Ladislao figlio e successore di Carlo, che, accresciuto il patrimonio paterno godette per lungo tempo dell’antica Sinoessa, di gran parte dei campi Falerni, dei Monti Massici, e di più altre, terre e castella nella Basilicata: e così non ne fosse rimasto privo per la volontà di Giovanna succeditrice e [p. 8 modifica]sorella di Ladislao (la quale prese a perseguitare tutti li beneficati dal fratello e dal padre) che di più agiate fortune goduto avrebbono Giacomo-Nicolò e Masella da Sauto Magno, li genitori dell’insigne Poeta di cui parliamo!

Ebbe egli a primo istitutore Juniano Majo, per le cui sollecitazioni sua madre, la quale, morto il marito, era passata a stabilirsi in Nocera dei Pagani città nelle vicinanze di Amalfi, se ne ritornò in Napoli, dove i talenti del figlio potevano essere più conosciuti.

E vasto campo infatti fu schiuso al suo nobilissimo ingegno nell’accademia dell’illustre Pontano, il quale, come avea per costume, gl’impose il nome di Azio Sincero, preso dalla voce latina acta lido, sul quale condusse i pescatori a cantare e dalla sincerità e purezza dei suoi costumi, non meno che del suo scrivere.

L’ardente passione, che per certa Carmosina Bonifacia avea concepito, fu il primo sentimento, che lo trasse al comporre. Rigida costei nel costume, o straniera agli allettamenti di amore, si mostrò sorda cotanto ai suoi lagni, e sì costantemente insensibile al di lui pianto, che, dopo aver dato sfogo al suo sommo tormento in più sonetti e canzoni, si vid’egli ridotto a tale d’abbandonare la patria, e cercar nell’ultime regioni della Francia quella pace, che aveva perduta.

Ma quanto non fu più doloroso il ritorno, [p. 9 modifica]allorchè intese la morte dell’amata sua donna! Quell’egloghe italiane e latine, nelle quali piange la morte di Fillide, ne facciano pienissima fede. Senonchè lo venne alquanto riconfortando il favore prestatogli dal Re Ferdinando, e dai suoi figli Alfonso Duca di Calabria, Principe Ereditario, e Federico. Fu presso di questi che il Sannazaro non solo adoprò l’ingegno, ma ben anche la spada, seguendone con fedeltà la fortuna in tutte le persecuzioni, che agli Aragonesi avea mosso Carlo figlio di Lodovico Re di Francia, fino a che, mancati a vivi Ferdinando ed Alfonso, Federico rimase tranquillo posseditore degli aviti regni, con tanta fatica da suoi maggiori difesi e che pur allora gli sarieno stati contrastati, se Carlo non avesse dovuto ritornarsene in Francia. Il premio però, che dei sofferti travagli ricevette il Poeta, fu tenue d’assai rispetto a coloro, che conseguito aveano rimunerazioni maggiori di un annua pensione corrispondente a 2000 franchi, e di una villetta posta in fianco al Posilippo, Mergillina di nome, più per l’amenità, che per li suoi prodotti; stimata. Dimostrò ben egli il suo scontentamento nel seguente Epigramma:

Scribendi studium mihi, tu Federice, dedisti,
     Ingenium ad laudes dum trahis omne tuas .
Ecce suburbanum rus, et nova praedia donas:
     Fecisti vatem, nunc facis agricolam.1

Pur non mancò in altro tempo di celebrare con [p. 10 modifica]ottimi versi la sua Mergillina, e di predicare la líberalità del Re donatore.

Ma nemmeno di quella potè goder lungamente; perciocchè dietro le suggestioni di Papa Alessandro VI, unitisi Lodovico Re di Francia, sostituito a Carlo, e Ferdinando Re di Spagna per discacciar, come avvenne, dal soglio il Re Federico; essendosi questo ritirato in Francia, il Sannazarò con raro esempio di costante fedeltà, non solo volle seguirlo e a Marsiglia, e nelle Fiandre, nella Normandia fino alla Loira, dove il Re lasciò di vivere; ma ben anche lo soccorse di denaro colla vendita di alcuni suoi propri beni. Compiuti per questo modo li doveri di fedel suddito verso il 1505 se ne ritornò in patria, dove giunto cercò per ogni guisa di piacere alla Regina Giovanna, appo cui ritrovandosi frequenti volte, restò preso dalla bellezza ed ingegno della Marchesa Cassandra, una fra le Dame di onore senza per altro, che verun desiderio meno che onesto nell’animo concepisse; del che ne può essere assicurato chicchesia, pur che sappia aver lui sollecitato il matrimonio di quella con certo Alfonso Castriota, il quale, dopo averle promesso di far lei sua consorte, cercava modo di sdebitarsene. Ma giunto ad una età, che per li sofferti affanni e per lo molto studio gli si rendeva più molesta d’assai, pensò di ritirarsi in un luogo alle falde del monte Vesuvio (forse Sant’Anastasia in vicinanza [p. 11 modifica]di Somma, ch’or più non sussiste) mille passi discosto dalla casa della Marchesa Cassandra, per visitare la quale, benchè vecchio, non tralasciava ogni giorno d’intraprendere quel cammino. Intorno a questo tempo addivenne, che essendo in contesa Francesco I. di Francia con l’Imperatore Carlo V pel regno di Napoli, Filiberto Principe di Orange Generale di quest’ultimo, in un fatto d’arme facesse distruggere la diletta sua Mergillina, del che prese tanto dolore il Poeta, che al dire di Paolo Giovio, forse per lo troppo sdegno, ne venne a morte. Ma già prossimo all’ora estrema avendo inteso che quel fiero nemico delle Muse era morto in battaglia, erettosi sopra il gomito, protestò che ricevuta tal nuova più contento, moriva; e questo accadde in fatto nell’anno 1530, correndo il settantesimo secondo dell’età sua, e, per quanto si dice, nella stessa casa della Marchesana Cassandra, la sola che si prendesse cura, onde le mortali sue spoglie fossero onorevolmente sepolte nel tempio, che, vivendo, a Maria Vergine egli avea consacrato. Prima però se ne trasse l’effigie, la quale coronata d’alloro fu sovrapposta al magnifico monumento innalzato in suo onore nella chiesa stessa, per opera di Fra Giovann’Agnolo Montorsoli eccellente scultore fiorentino. Due medaglie parimenti di lui si conservano, nelle quali (come sta scritto nel Mazzuchelliano Museo T. I. p. 191) al dinanzi vi è il [p. 12 modifica]capo incoronato d’alloro, e al rovescio poi una présenta la sua coronazione fatta per mano del Re, assistito dalla Prudenza e dall’Abbondanza; l’altra il Nascimento di Gesù Cristo. La sua tomba esser dovea ornata dal distico seguente, che il Poeta aveva per sè composto:

Actius hic situs est. Cineres gaudete sepulti,
     Nam vaga post obitus umbra dolore vacat.

Vi fu posto invece il bellissimo di Pietro Bembo:

Da sacro cineri flores. Hic ille Maroni
     Sincerus Musa proximus, ut tumulo;2

ciò ch’è verissimo, perocchè la Chiesa dei Serviti, ove sta il Mausoleo del Sannazaro, non è molto discosta dai giardini di San Severino presso la grotta di Posilippo, nei quali avvi il sepolcro di quel Virgilio, il cui giorno natalizio dal nostro Sincero era celebrato annualmente.

Geloso della propria sua gloria, vien detto fosse parchissimo nel lodare altrui; nullameno sapeva render giustizia ad un merito sommo ed a tutti è noto siccome alla presenza d’Ippolito Cardinale de’ Medici, essendogli presentato il divino poema del Fracastoro, si protestasse di nulla aver fatto con quel suo faticare, e ri,pulire di ben vent’anni, cedendo così da generoso la palma al suo vincitore. Amico della virtù e degli nomini veramente onesti, meritò finchè visse l’amicizia dei più celebri ai tempi suoi; nè [p. 13 modifica]quello, che lo spinse fu che un generoso disdegno ad inveire, e contro Cesare Borgia Duca di Valentino tiranno crudelissimo, e contro Angelo Poliziano letterato superbo, quantunque illustre, e¨· contro qualche altro Principe della Chiesa. In pietà poi e religione non la cedette ad alcuno. Eresse egli sulle rupi di Mergillina un tempio in onore del parto di Nostra Donna, cui edificò a lato un Collegio di Monaci col nome di Servi di Maria, ai quali assegnò l’annua reudita di 8000 scudi tratti dal suo; ed onorò con altro tempietto quel San Nazaro, nel cui giorno festivo egli nacque, e dal quale la sua famiglia trasse, come dicemmo, la denominazione .

Da ultimo le sue opere sono le seguenti. — I. L’Arcadia bell’intessuto di prosa e di versi, per il quale descrive un certo suo viaggio, che immagina fatto nell’antiche regioni d’Arcadia . Poesia pastorale più vaga di questa non s’intese giammai; e l’egloga quinta in morte del pastore Androgeo è un capo d’opera nel suo genere critici l’hanno ripreso per il troppo far uso di rime sdrucciole, ma la destrezza, con la quale si cava da quell’imbarazzo, genera più che noja diletto. — II. Il Parto della Vergine poema eroico in esametri, e diviso in tre libri. Incoraggito da Leon X, quel gran protettore degli uomini illustri, non venne a capo del suo lavoro (per motivo di soverchia incontentabilità, onde fu da taluno [p. 14 modifica]chiamato Poeta Statarius) che sotto il Pontificato di Clemente VII, il quale con apposito Breve nel ringraziò, facendogli insieme di molte e grandi profferte, che poi, tardo com’era nel ricompensare il merito, non ebbero effetto. Quanto a me credo, che il favore prestatogli dalla corte di Roma, e la qualità dei tempi nei quali fu scritto procurassero a questo poema la rinomanza, che tutti sanno. Fuvvi per altro chi non pago della sola dizione, per verità virgiliana, giunse con il suo scandaglio a trovarvi il fondo: e d’altronde sappiamo che ne credesse dopo la comparsa della Sifilide il Sannazaro medesimo. Lo Zoppio in ottava rima, il Bigoni, il Barbo, il Giolito, e meglio di tutti il Casaregi in sciolti lo hanno tradotto3. Io pure ho ciò fatto in ottava rima, ma sperai di presentar al pubblico un miglior libro nel tradurre. — III. Le Pescatorie, bel ritrovamento del Sannazaro, il quale ne tolse l’idea da un idillio di Teocrito, in cui due pescatori dopo aver dormito in una povera capanna sulla riva del mare, si raccontano i sogni loro4. Furono composte dall’autore al numero di dieci, ma dopo il suo ritorno dalla Francia, se creder deesi a Paolo Manuzio, non ne ritrovò che cinque soltanto. Appena pubblicate, come attestano il Giovio ed il Volpi, la fama loro oscurò ed oppresse quella del suo poema. Il Baldi, il Rota, il Tasso padre, il Giannetasio, il Conte Matteo di San Marino e Vische [p. 15 modifica]in Piemonte, e ultimamente il Vianelli di Chioggia lo hanno felicemente imitato. Quanto alli suoi traduttori veggasi la prefazione. — IV. Li Salici breve poemetto fatto ad imitazione d’Ovidio nella metamorfosi di Dafni, con appresso un frammento d’un egloga indiritta a certo Puderico, di cui sappiamo, che, benchè cieco, il Poeta consultava il giudizio. — V. Una Lamentazione ai mortali sulla morte di Cristo Signore, che in parte si vede in terzine tradotta nelle rime stesse del Sannazaro. — VI. Tre libri di Elegie veramente degne di Properzio, intorno a varj argomenti. — VII. Tre libri di Epigrammi, tra i quali quello in onore della città di Venezia gli meritò per decreto del Senato un premio di cento ducati d’argento per cadaun verso. Ve ne sono però molti di proibiti, li quali nell’edizione del Comino del 1719 veggonsi stampati in un foglio a parte con la data di Amsterdamo. — VIII. Le sue Rime intitolate alla Marchesa Cassandra, nelle quali imitò felicemente il Petrarca.

E queste sono quelle opere, che terranno in vita il nome del Sannazaro, per quanto durerà tra gli uomini’di lettere quel buon gusto, che sino a qui le ha riputate degne dell’universale estimazione ed applauso.

Note

  1. [p. 113 modifica]Eccone la traduzione:

              Tu Fedrico al compor forza mi desti,
                   Ch’ogni ingegno a lodarti ecciti e desti.
              Nuove terre a me in dono, e ville or dai;
                   Vate m’hai fatto; agricoltor mi fai.

  2. [p. 113 modifica]Io l’ho tradotto cosí:

              Dà fiori al sacro cenere. Qui posa
                   Quel Sincero, che a Maro è sì vicino,
                   E per la tomba, e per lo stil divino

  3. [p. 113 modifica]Il Nascimento di Cristo traduzione in ottava rima di Girolamo Zoppio. Bologna 1555 in 4to. Libro rarissimo. — I tre libri del Parto della Vergine di Azio Sincero Sannazaro, tradotti in versi toscani da Lodovico Bigoni. Venezia 1765 appresso Paolo Colombani. — La stessa opera tradotta in sciolti da Stesser Giambattista Barbo Padovano Accademico second. Padova 1604 nella sta,peria Pasquati in 4to. — Del Parto della Vergine del Sannazaro libri tre tradotti in versi toscani da [p. 114 modifica]vani Giolito de’ Ferrari. Venezia 1588 appresso i Gioliti. — De Partu Virginis libri tres etrusco carmine redditi a comite Joa: Bartholomaeo Casaregio nunc primum conlati cum Vaticano, et Mediceo codice ec. cura et studio Antonii Francisci Gorii. Florentiae 1740 in 4to ex Typographia Cajetani Albizinii.
  4. [p. 114 modifica]Quanto al merito di questa invenzione sembra, che il Landi nel suo compendio della Storia Letteraria del Tiraboschi (tom. 4 pag. 344 dell’edizion di Venezia del 1804 þella traduzione del ch. ab. Antonio Moschini) voglia attribuirlo a Bernardo Tasso; ma io per verità duro fatica a crederlo, e perchè il Tasso nacque nel 1493, e il · Sannazaro nel 1458; e perchè è il Sannazaro stesso che di essere stato il primo in più luoghi delle opere sue va dicendo; e perchè Gregorio Giraldi, e Gerardo Giovanni Vossio me ne assicurano. Pure lasciando stare cotesti miei dubbj, sarà meglio vedere di quanto pregio siasi giudicato un tale ritrovamento, al qual fine piacemi riferire le parole stesse dell’illustre Sig. Consigliere Giambattista Corniani, che nel suo Commentario ragionato intorno i secoli della letteratura Italiana (stampato a Brescia nel 1806 per Nicolò Bettoni tomo IV. pag. 25) così si esprime: „Meritò applauso il Sannazaro per un altro genere di composizione in esametri, di cui può egli chiamarsi a ragione l’inventore. Da un Idilio di Teocrito, in cui vengono introdotti due pescatori, trasse l’idea delle sue Egloghe Pescatorie. Fontanelle gli seppe poco grado di questa sua introduzione. Egli pretende, che il Sannazaro abbia fatto un mal cambio dei pastori coi pescatori, mentre si dice, che la situazion di questi ul- [p. 115 modifica]ultimo offre alla poesia soggetti meno aggradevoli di quella de’ primi (Discours sur la nature de l’Eglogue). Se il Fontanelle si fosse ritrovato nelle sue circostanze, avrebbe per avventura pensato diversamente. Il Sannazaro nel più bel clima d’Italia vedea dalla sua Mergillina i pescatori approdare colle barchette, deporre le prede, asciugare le reti sul vicino Posilipo, che stende le falde in un ridente mare. Il prospetto del mare aggiunge indubitatamente vaghezza al paesaggio campestre. Mi pare, che frammischiando ai fiori, alle fronde, alle ombre delle circostanti rive le immagini dei pescosi stagni, delle muscose grotte, dei tufi, delle conchiglie, dei coralli ec. non si possa che accrescere la grazia, il diletto, e l’amenità della scena. Niente poi v’ha di più delizioso di una sera estiva sul mare rallegrata dai raggi della luna, che si rifrangon nell’onde, e della frescura dei Zeffiri, che lievemente le increspano. Il Sannazaro colpito da tanti lusinghieri oggetti prende la penna per dipingerli vivamente, e lascia che il bello spirito geometra misuri a suo senno le bellezze poetiche col compasso. Delle censure del letterato Francese il compensamen gli encomj di un dotto Spagnuolo (Gio. Luigi della Cerda della compagnia di Gesù in Com. ad VII. Aeneid.) il quale non ebbe difficoltà di affermare, che Napoli avea maggior ragione di andar fastosa per l’Egloghe Pescatorie del Sannazaro, che per la Tebaide di Stazio, altro suo celebre figlio.”