Piccoli eroi/Don Vincenzo

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Don Vincenzo

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Sciopero allo stabilimento Guerini Dopo la burrasca
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DON VINCENZO.

Lo sciopero durava da dieci giorni e non accennava a finire. Al chiasso e all’eccitamento dei primi momenti, era succeduto una specie di cupo abbattimento.

In villa Guerini erano stanchi di star chiusi come in prigione, e di non veder una fine a quella condizione di cose, ed essere costretti a vivere sempre nell’ansia dell’incertezza; per fortuna avevano la famiglia Morandi e il professore Damiati che passavano quasi tutta la giornata con loro, e ciò li confortava, ma il signor Guerini era stanco, scoraggiato, di cattivo umore.

Nel villaggio si vedevano capannelli d’operai che vagabondavano stanchi anch’essi di quella vita oziosa, ma decisi a continuarla, a resistere per vincere. Anche le donne erano stanche di [p. 250 modifica] aver sempre tra i piedi i loro mariti oziosi e desideravano che quello stato di cose terminasse; in dieci giorni, non s’era fatto un passo; soltanto tutti erano affranti, e capivano che a quel modo non potevano durare.

Don Vincenzo era il più afflitto di tutti, non riconosceva più il suo villaggio quieto e tranquillo e i suoi parrocchiani un tempo tanto laboriosi. Egli li vedeva tutto il giorno all’osteria, li sentiva alzare la voce e tremava per quelle povere famiglie che sarebbero state vittime innocenti. Egli voleva finirla, e dopo aver avuto una lunga conversazione col signor Guerini, decise di parlare la domenica prossima dal pulpito ai suoi fedeli. Infatti, dopo la messa, egli si rivolse al popolo e così incominciò il suo sermone.

«Dove sono, — disse, — i miei fedeli parrocchiani che andavano la mattina al lavoro cantando allegri e felici? Dov’è il mio villaggio tranquillo nel quale non si incontravano che facce liete, e che vedo ora tutto pieno di gente oziosa e vagabonda, di facce scure e minacciose, di persone briache? Io non riconosco più questi bei luoghi dove regnava la pace, dove fervea il lavoro, e mi par d’essere in un altro mondo.

«Io vi parlo come un padre parlerebbe ai suoi figli, penso al vostro bene e a quello delle vostre [p. 251 modifica] famiglie; per me ricchi e poveri siete tutti uguali, e vi assicuro che mi sento una stretta al cuore nel vedervi lasciare il lavoro per motivi futili. Vorrei sapere di che cosa vi lagnate. Non volete multe? Fate in modo di non meritarle, state attenti al vostro lavoro, precisi all’ora di entrare all’officina, e persuadetevi che quando si è in una popolazione tanto numerosa come la vostra, certe leggi ci vogliono per mantenere la disciplina. Volete diminuite le ore di lavoro? Per quali ragioni? Forse per aver più tempo di stare all’osteria e consumare i vostri risparmi? Lasciate chiedere diminuzione di orario a quelli operai che sono infelici davvero, destinati a lavorare nelle miniere, senz’aria, senza luce, esposti ad ogni istante a mille pericoli. Ma voi, vivete in stanze vaste e spaziose, basta guardarvi in faccia per vedere che siete il ritratto della salute, voi dovete mercanteggiare le ore di lavoro? Vergognatevi; eppure anche questo non basta, ed ecco che chiedete una maggiore mercede, e vi lagnate, e dite che siete voi che mantenete il lusso del proprietario, mentre invece dovreste ringraziarlo ch’egli col porsi a capo d’un’industria abbia trovato il modo di occupare degnamente voi e i vostri figli.

«Poi credete d’esser voi soli a lavorare e ch’egli poltrisca nell’ozio. Come v’ingannate! quando [p. 252 modifica] voi riposate in seno alle vostre famiglie, senza pensieri nè preoccupazioni, egli invece pensa a tutta la sua azienda, consuma il cervello sui registri, è turbato da mille incertezze, affranto dalla fatica e dalla responsabilità della fabbrica immensa a cui deve dare l’impulso, non ha un minuto di pace, e voi invece di aiutarlo, gli mettete dei bastoni nelle ruote; quanto siete ingrati! Pensate a quello che era questo paese quando non c’era lo stabilimento Guerini, a quello che eravate voi, condannati a sudare per lavorare una terra sterile, senza un raggio di sole nella vostra vita, senza una speranza per i vostri figli.

«Ora avete il benessere, l’agiatezza, guadagnate abbastanza per vivere e se avete giudizio potete far anche qualche risparmio; alla fabbrica potete occupare i vostri figli; se siete intelligenti, se amate il lavoro, potete riuscire a guadagnare una bella mercede, e la quiete per la vecchiaia; e tutto questo a chi lo dovete? Al signor Guerini. È inutile che facciate rumore, è proprio così. Egli era ricco senza di voi, e v’assicuro che avrebbe potuto vivere benissimo e forse più tranquillo, con quello che possedeva; ma pieno di vita, di coraggio, odiando l’ozio che avvilisce, pensò di adoperare le sue ricchezze per ampliare la piccola filanda lasciatagli dal [p. 253 modifica] padre, e sorse quel vasto stabilimento che per tanti anni fu la vostra provvidenza, che ha dato lavoro a voi e ai vostri figli, e fu la ricchezza di questo paese.

«È vero, ne convengo, anche il signor Guerini ha approfittato del vostro lavoro, ma voi che cosa sareste senza di lui? È inutile che vi vogliate sostituire a lui, che gridiate all’ingiustizia; a questo mondo tutti abbiamo assegnata la nostra parte, e tutti abbiamo diritto di vivere, dal più piccolo insetto all’animale più intelligente, ma tutti dobbiamo stare al nostro posto.

«Voi tutti, siete come le ruote che compongono una macchina: ognuna ha la propria parte per piccina che sia, ma se non è combinata assieme alle compagne, se non è messa al suo posto da un ingegnere intelligente, non è che un pezzo di metallo inutile, buono solo da mettere nei ferravecchi.

«Il proprietario è l’ingegnere, e mettetevi bene in testa che voi nulla valete senza di lui.

«Io parlo pel vostro bene; lo vedete, che io conduco una vita semplice e modesta come voi.»

— Mangia dei buoni capponi, — s’udì una voce gridare fra la folla.

«È vero, — riprese il prete — alle volte mi permetto il lusso di mangiar bene, ma è cosa che potete fare voi pure; soltanto preferite bere [p. 254 modifica] dei litri di vino di più. Ma vi ripeto, non faccio lusso, e se vado nelle case dei signori, è quale vostro ambasciatore; narro loro i vostri bisogni, le vostre pene, e a voi porto i soccorsi che essi mi danno; e se foste venuti da me invece di abbandonare il lavoro, forse le cose si sarebbero accomodate e voi non sareste stati tutti questi giorni vagabondi, oziosi, come bestie raminghe senza casa nè tetto. No, non è possibile che questo fatto sia venuto da voi, siete stati certo mal consigliati da qualche scioperato che non avendo voglia di lavorare trascina gli altri nella strada cattiva; e Dio voglia che non ve n’abbiate a pentire.

«Debbo confidarvi una cosa che mi venne all’orecchio? E vi assicuro che è proprio la verità. Sapete che cosa il signor Guerini ha intenzione di fare?

«Se domani non tornate al lavoro, egli, stanco di lottare con voi, di assistere alla vostra ingratitudine, ha deciso di chiudere lo stabilimento, di vendere le macchine, e andare lontano a riposarsi in quiete, e lo farà di sicuro perchè è disgustato del mondo e di voi.

«Ecco a qual decisione l’avrete trascinato. E voi che cosa farete? Chi ne soffrirà in questa lotta? Chi avrà compassione di voi, che pure avrete voluta la vostra rovina? [p. 255 modifica]

«Me ne dispiace per le vostre famiglie, che non ne hanno colpa, per i vostri figli innocenti. Ma voi, donne, perchè non pregate i vostri mariti che ritornino a migliori consigli? Perchè non li supplicate che questo fatto crudele non avvenga? Pensate che cosa sarà il nostro villaggio una volta che sarà chiuso per sempre quel tempio del lavoro; ch’era l’allegria e la gloria del nostro paese! Non vedete? passando davanti allo stabilimento sembra di passare davanti ad un cimitero, tutto è mesto e silenzioso; quel luogo dove pochi giorni sono regnava il moto e la vita, quel luogo dal quale i vostri mariti uscivano contenti dopo una giornata di lavoro, a godere l’aria aperta, la casa, i figli; lieti perchè avevano fatto il loro dovere e guadagnato il pane per sè e la propria famiglia. Io tremo pensando all’avvenire che vi aspetta; alla miseria, alla fame, a quello che sarà di voi tutti quando vi mancherà il lavoro; pensateci finchè siete in tempo; io v’ho avvertito, ho fatto il mio dovere.»


Finita la predica, un mormorìo s’udì echeggiare per la chiesa; pareva il mare in burrasca, tutti si domandavano se fosse vera la notizia che aveva dato don Vincenzo; alcuni alzavano le spalle, dicendo che il curato era d’accordo coi [p. 256 modifica] signori e aveva fatto per spaventarli; però, specialmente le donne, le quali avevano fede nel loro curato che aveva sempre detto la verità, tremavano che quel fatto si avverasse, e pregavano i mariti che ritornassero al lavoro. Essi si riunirono a gruppi sulla piazza della chiesa parlando vivacemente e discutendo sulla notizia che avevano intesa, incerti su quello che dovessero fare.

Decisero di recarsi in commissione da don Vincenzo per assicurarsi se fosse vero quello che aveva affermato, e dirgli nello stesso tempo le loro ragioni.

Essi erano un po’ meno arditi perchè avevano saputo il rifiuto di alcune società operaie alle quali avevano domandato soccorsi, essendovi altri scioperi, sicchè se proprio il signor Guerini avesse chiuso lo stabilimento, non avrebbero dopo poco tempo avuto da vivere.

Furono scelti gli operai più stimati e che sapevano parlar meglio per recarsi da don Vincenzo.

Essi, quando furono alla sua presenza, dissero che non pretendevano di mettersi al posto del proprietario, ma volevano la giustizia; lavoravano e avevano diritto di poter viver bene.

Don Vincenzo fece loro capire che il modo di vivere era una cosa relativa; egli sapeva che [p. 257 modifica] il Guerini era uno dei proprietari giusti, di quelli che cercano il benessere degli operai, ma non poteva dar retta ai loro capricci; si sa, il danaro più se n’ha, più ve ne sarebbe bisogno, e dovevano contentarsi e non esiger troppo.

Volevano parlare tutti ad un tratto, tanto che don Vincenzo dovette alzare la voce per rimetter un po’ d’ordine. Narravano che avevano tutti numerose famiglie da mantenere, e che i viveri crescevano di prezzo ogni giorno. Tutto ad un tratto entrò un uomo conducendo, anzi quasi trascinando, una ragazza pallida, magra, che metteva compassione.

— Vede se siamo ingiusti? — disse rivolto al prete, — mia figlia è ammalata e non ho mezzi per farla guarire; noi non domandiamo di aver dei palazzi, delle carrozze, ma almeno abbiamo diritto d’avere il necessario per curare i nostri figli ammalati; non domandiamo per le nostre famiglie che soffrono che una parte di quello che gettano via i ricchi nei divertimenti.

— Ha ragione; bene! — gridarono tutti quegli operai, facendo eco alle parole del loro compagno.

— Adagio, — disse don Vincenzo, — qui si va fuori del seminato; tutti quelli che mi hanno chiesto dei soccorsi, sono stati esauditi, anzi la [p. 258 modifica] la signora Guerini mi dà ogni anno una somma da distribuire a questo scopo; perchè non mi avete detto nulla della vostra figliuola? — disse rivolto all’operaio che avea parlato.

— Sono troppo orgoglioso per domandar l’elemosina, — egli rispose.

— E chi può sapere che avete la figlia ammalata? Potete farne una colpa al signor Guerini se lo ignora? Poteva indovinarlo? In che modo? Vedete, avete delle pretese eccessive. Il vostro principale, se avete in casa degli ammalati, son sicuro che farà qualche cosa a vostro favore, ma non potrebbe farlo per tutti indistintamente, altrimenti dovrebbe poi domandare l’elemosina per sè e per i figliuoli.

È già un po’ di tempo che io ho consigliato il signor Guerini d’istituire una cassa di soccorso per gli operai ammalati, e che tutte le multe che vengono pagate vadano a beneficio di quella cassa; ora vi faremo aggiungere qualche cosa anche per le vostre famiglie, quando c’è qualcuno ammalato; va bene? Ecco; basterà la fede del medico che dichiari vostra figlia ammalata perchè possiate avere un supplemento alla paga; credete, tutti sono disposti a pensare al vostro bene, purchè siate ragionevoli; ma ve lo dissi, se continuate a star oziosi, si chiuderà la fabbrica; e allora piangerete, ma inutilmente. [p. 259 modifica]

Terminato questo discorso il prete stette ad aspettare.

Gli operai si consultarono fra loro a bassa voce, poi uno parlò a nome di tutti:

— Non piace nemmeno a noi stare in ozio, e desideriamo riprendere i lavori; siamo disposti a cedere qualche cosa, se anche il principale farà qualche concessione; per esempio possiamo rinunciare alla diminuzione d’orario, se ci aumenta almeno il salario.

— Non posso promettervi nulla, — disse don Vincenzo, — parlerò al signor Guerini in proposito; ma se volete un mio consiglio, tornate domani al lavoro, e vi prometto ch’egli farà il possibile per contentarvi.

— Prima ci conceda quello che è giusto, e poi ritorneremo.

— Andate, o altrimenti ve ne pentirete, — disse il prete congedandoli.

— Verremo più tardi a sentire la risposta.

Dopo qualche ora ritornarono da don Vincenzo e seppero che se tornavano al lavoro, il signor Guerini dava un aumento ai migliori operai, e la signora stabiliva della sua cassetta particolare una cassa di soccorso per le famiglie degli operai ammalati; ma se la mattina non entravano allo stabilimento, la fabbrica sarebbe stata chiusa per sempre, perchè il Guerini era stanco [p. 260 modifica] d’essere compensato così male da persone ch’egli aveva beneficate.

Dette queste parole, don Vincenzo licenziò gli operai i quali stettero tutto il giorno formando dei crocchi in mezzo alla piazza, incerti su quello che dovessero decidere.