Poesie (Campanella, 1915)/Scelta di alcune poesie di Settimontano Squilla/24. Al Primo Senno. Canzone II

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24. Al Primo Senno. Canzone II

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24. Al Primo Senno. Canzone II
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CANZONE II

madrigale 1

La luce è una, semplice e sincera
nel sole, e per se stessa manifesta,
ch’è di sé diffusiva
e moltiplicativa,
agile, viva ed efficace e presta;
tutto vede e veder face in sua sfera.
Poi, negli opachi mista
corpi, vivezza perde,
né per sé si diffonde.
Di color giallo, azzurro, rosso e verde
prende nome, secondo l’ombra trista
piú o meno la nasconde,
né senza il primo lume può esser vista.

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Questa comparazione è notissima a chi sa che la luce è simile al senno, secondo Salomone, e ch’essa è il primo colore, che per sé si vede e fa veder gli altri enti, di cui si riflette tinta, ed entra negli occhi con la tintura di quelli. Onde san Paolo: «Omne quod manifestatur, lumen est». E questo scrisse l’autor contra Aristotile, che fa il colore oggetto della vista, e non sa che ’l colore è luce imbrattata dalla nerezza della materia e smorta. Nota anche che la luce sente e vede piú che noi, secondo l’autore nel terzo De sensu rerum, e che s’allegra, diffonde, ecc.

madrigale 2

Cosí lo Senno in Dio senza fin puro,
moltiplicabile, unico e veloce,
tutto ad un tratto vede,
forma, insegna e possede;
detto qua «Verbo», e in ciel di miglior voce.
Partecipato poi dal mondo oscuro,
e di finita forza,
teme, ama, odia ed obblia;
né piú «Dio», ma vien detto
«natura», «sénno», «ragion», «fantasia».
E secondo piú o men dura ha la scorza
o piú e manco è schietto,
piú o manco sa; ma in Dio piú si rinforza.

Qualitá del Senno eterno simile alla luce, e del senno creato simile al colore, ch’è luce partecipata. E che, secondo la scorza corporea piú o men ottusa, piú o men sa. E che, da Dio guidato, come il color dalla luce, si rinforza e si fa visibile e conoscente ed attivo, poiché si vede quanto sanno piú gli discepoli di Dio che degli uomini. Nota che da ciò, che Dio partecipato non vien detto «Dio», ma «senno», ecc., si può argomentare che la mente nostra sia una luce o colore partecipante dell’esser divino od esso Dio partecipato, ecc. Theologiza et laetare.

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madrigale 3

Spirto puro, qual luce, di tutti enti
ben s’inface, e gli intende in quella guisa
ch’essi in se stessi sono;
ed a sorgere è buono
a giudicar, di quel che gli si avvisa,
il resto e gli simili e i differenti.
Ma l’impuro infelice,
qual rossor rosse scorge
le cose, e non come enno,
ed una in altra sembianza mal sorge:
laonde il natural mentire indice,
ma non lo scaltro, un senno
di natura corrotta e peccatrice.

Bisogna ben notare questo madrigale, dove si mostra che lo spirto puro, come luce s’infá («afficitur», vocabolo nuovo) di tutt’i colori e gli rappresenta come sono, cosí egli di tutti gli enti; e però gli giudica come sono, e non sa mentire, né vuole. Ma lo spirto impuro, fuliginoso non si infá se non come egli è infatto; e, come il rosso occhiale rappresenta le cose rosse, e non quali sono, cosi l’impuro le sente, e però è per natura mendace. Ed è segno di natura corrotta e viziosa, quando mente non per industria, bisogno e sagacitá, ma naturalmente in tutte cose suol mentire.

madrigale 4

Chi tutte cose impara, tutte fassi,
qual Dio, ma non del tutto ed in essenza,
com’è la Cagion prima.
Ch’alma di tanta stima
far cose vive sol con l’intendenza
potria, e del spazio comprendere i passi,

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quanti il freddo e caldo hanno
gradi, e momenti il moto,
e del tempo gli instanti,
quanti angeli, e vie il lume, e corpi ha il vòto,
le riforme che a lor vengono e vanno,
i rispetti, e sembianti,
quanti atomi in ogni ente e come stanno.

L’uomo, che tutte le cose impara, si fa, qual Dio, tutte cose; e questo lo dice Dionisio Areopagita, allegato pur da san Tomaso. Ma non però è Dio, si perché non può tutte imparare, si perché non si fa tutte per essenza, com’è Dio ogni cosa per essenza eminentemente. E chi fosse tale, saperebbe tutto ’l libro avanti che lo leggesse, e sol con l’intelligenza potrebbe far le cose; come le fa Dio, che è esse, onde le fa senza fatica.

madrigale 5

Chi che si sia purissimo, dappoi
ch’averia conosciuto tutte cose,
non si potria dir certo
d’una sola esser certo,
quant’arti, parti e rispetti Dio pose
in lei, co’ tanti ognor divari suoi.
Ch’e’ non è dentro a quella,
e sé dentro a sé ignora:
onde con sua misura,
né con quella dell’esser certo, fora,
se tutto s’internasse. L’uom, la stella,
l’angel, ogni fattura
diverso han senso pur d’ogni cosella.

Quantunque uno spirto purissimo imparasse tutte le cose, non saperebbe una sola, secondo nel primo della Metafisica s’è pruovato. Perché in quella non può internarsi, e saper quanti atomi ha, e come situati, e quali rispetti con le cose tutte, e col passato e ’l futuro. E, se pur s’internasse, men la saperebbe, poiché se stesso [p. 38 modifica] intra se stesso non conosce. Né con la misura dell’essere lo saperebbe, ma con la sua, le piú alte piú bassamente, le piú basse piú altamente, ecc. ecc. Quia recipiuntur secundum modum recipiente. E però ogni ente ha particolar modo di scienza d’ogni minuta cosa, secondo la Metafisica dell’autore.