Primo maggio/Parte quinta/IV

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Parte quinta - IV

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Sopravvennero nuovi guai. Nella scuola, dopo l’ammonizione dell’Autorità, Alberto aveva taciuto per un po’ di giorni. Ma seguiva in lui un fatto psicologico singolare, il quale accompagna ogni grande entusiasmo per una nuova idea, e si nota pure in certe forme incipienti di pazzia: che tutti i suoi pensieri, anche i più remoti dall’idea sociale, fatto un breve giro nella sua mente, andavano a cascare in quella come le farfalle nella fiamma, così che, in realtà, egli non pensava, non sentiva, non viveva più d’altra cosa. Fu quindi forzato, in capo a qualche giorno, a ricominciare. Ma benché usasse anche maggior prudenza di prima, non poté prevenire degli effetti anche peggiori della prima volta. Egli aveva un bel restringersi a biasimare negli scrittori, con linguaggio ponderato e sereno, il vezzo quasi inconsapevole di designare con parole sprezzanti tre quarti dell’umanità e le forme più necessarie e meritevoli del lavoro; a dimostrare che è vano ed illogico l’indignarsi continuamente della volgarità, dell’ignoranza e delle tristi passioni delle moltitudini, senza riconoscere e condannare con eguale e maggior vigoria le cause che le producono; a spiegare che è insipiente e funesta la fede beata nella scienza e nella civiltà, scompagnata da ogni cura di volger quella a vantaggio del maggior numero, e di far di questa la forza d’un esercito, invece che la gloria d’un’avanguardia; a dire che è un errore il voler restringere l’ideale della gioventù nel culto delle memorie nazionali, come se l’umanità non vivesse che del passato, e il presentarle come supremo bene la grandezza apparente della nazione, a qualunque prezzo ottenuta, come se l’amor di patria fosse qualche cos’altro che l’amore dei millioni di creature umane che hanno diritto a goder di qualche bene sulla terra dove lavorano e soffrono; tutte queste semplici verità, nella mente d’una parte dei suoi alunni e delle loro famiglie, per un processo maraviglioso di trasformazione, venivano a dire in ultima analisi: - Spogliare, dividere, livellare, incanagliare, abbrutire -. E l’affetto e il rispetto maggiore, che la manifestazione di quelle idee veniva destando per lui nell’altra parte della scolaresca, minore di numero, ma composta delle nature più aperte e più calde, non valevano a compensarlo dell’avversione e della irriverenza che vedeva crescer nella parte più numerosa; la quale gli esprimeva l’animo proprio perfin nei componimenti scolastici, con allusioni satiriche e citazioni di sentenze opposte alle sue. Il più ardito di questi era il Geri, nei cui saggi letterari riconobbe delle frasi, incastratevi a forza, indubbiamente suggerite dal padre, come: - "Non c’è società possibile senza disuguaglianze di fortuna" - "gente che sogna sapendo di sognare" - "credono d’essere architetti e non sono che minatori" - leggendo le quali ad alta voce egli s’accorse che l’autore le aveva già lette prima ai suoi fidi. Lo interrogò garbatamente, più volte, per discuter con lui quelle idee, e interrogò parecchi altri; ma tutti risposero allo stesso modo, come ripetendo una parola d’ordine: - È il mio modo di pensare -, e opposero a ogni sua ragione un silenzio ostinato e ribelle. Egli che era sempre stato amato dalla scolaresca, s’addolorò di quella malevolenza sprezzante, e si strinse, per consolarsene, con maggior affetto e forse con soverchia familiarità ai suoi devoti, che presero ad affollarglisi intorno all’uscita, e ad accompagnarlo per la via; e questo irritò gli avversari, i quali, facendosi pur insolenti con lui, lo spinsero fuori del riserbo che s’era imposto, a una manifestazione più risoluta delle sue idee, a scatti di sdegno, a parole amare e violente. S’accese allora la passione anche fra le due schiere opposte dei giovani; i quali presero a calunniarlo e a difenderlo, a insultarsi e a minacciarsi a vicenda, capitanati gli uni dal Geri e gli altri dal Rateri, che leticavano più fieramente degli altri, con ragioni e parole prese ad imprestito dal padre e dal fratello. E l’odio fra questi due s’andò addensando tanto che scoppiò. Uscendo una mattina dalla scuola, Alberto vide un affollamento d’alunni nella strada, e in mezzo a questi il Geri, che s’avviava a casa col naso in sangue. Era nato un alterco fra i due. L’uno aveva detto all’altro: - Va da tuo fratello petroliere! - e l’altro gli aveva risposto: - Porta questo a tuo padre borsaiolo! - allungandogli un pugno sul viso.