Primo maggio/Parte sesta/VI

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Parte sesta - VI

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In quel momento, in casa sua, seguiva una consulta affannosa.

Il giorno prima, appena uscito il Commendatore, tremante e col viso livido, dopo aver intimato solennemente alla figliuola, di non fare un passo né subito, né poi, né mai più verso suo marito, - questa era rimasta in preda a un violento dolore, offesa nell’anima e indignata delle atroci ingiurie lanciate da Alberto a suo padre, appetto alle quali le pareva poca cosa la provocazione. Poi sbalordita, abbattuta, era discesa, e aveva passato il resto della giornata con la suocera, fremente, col Bianchini padre, desolato, e col figliuolo in lacrime, senza trovare un pensiero, senza udire una parola che la confortasse. Ma fu ben peggio il dì dopo, quando, diffusasi la notizia per la via solita delle donne di servizio, essa sentì i primi effetti dello scandalo. Era venuta la mattina la signora Cambiasi, a consolarla, e a darle questo bel consiglio, meditato lungo la via: d’andar dal Questore, il Commendator Roncoroni, compitissima persona, che Cambiasi conosceva, e mettersi d’accordo con lui perché lo mandasse a chiamare e provasse a fargli una "grossa paura", per veder di indurlo a ravvedersi. Partita lei, era venuta per caso la Luzzi, alla quale, spontaneamente, perché non apprendesse la cosa per altra via, essa aveva raccontato tutto. E questa se n’era accorata sinceramente, pure prendendo in segreto vivo diletto di ciò che v’era di drammatico e di "forte" nell’avventura. Poi aveva detto con uno slancio di prima attrice: - Vatti a mettere il cappellino! Andiamo a prenderlo! Io t’accompagno. - Ma Giulia s’era rifiutata con uno scatto dell’anima. Oh mai! Era impossibile! Non gli avrebbe perdonato mai, aveva offeso a sangue suo padre, essa avrebbe approvata, rincrudita l’ingiuria cercandolo, non c’era nulla da fare, nulla da tentare, non c’era più un rimedio, la sua vita era spezzata! - E s’era gettata, piangendo, tra le braccia di sua madre, arrivata in quel punto, tutta in affanno, sfuggita quasi a forza al Commendatore, che, in collera anche con la figliuola, non l’aveva lasciata venire il giorno prima. E pochi minuti dopo, mentre Alberto s’avvicinava a piazza San Martino, entravano Bianchini padre e sua moglie, ancora ansanti d’un battibecco furioso.

Bianchini padre, che aveva visto il dolore d’Alberto, voleva che gli si mandasse il ragazzo, non fosse che per un momento; quel povero suo figliuolo gli aveva fatto compassione; era un dovere d’umanità - si doveva far quello a ogni costo. E tutti i giorni! Tutti i giorni! Tutti i giorni! - Ma sua moglie s’opponeva, risoluta ed aspra. Alberto meritava un castigo; l’unico modo di farlo rinsavire e ritornare era che soffrisse; era tempo finalmente d’usare energia. - E allora i due coniugi s’accapigliavan di nuovo. Bianchini picchiò il pugno sul tavolo, alludendo con audacia insolita alla parte di torto che avevan nell’accaduto certi "signori", accennando a persecuzioni indegne, lasciando sfuggire dei lampi di rinascenti idee socialistiche, e che era tempo finalmente di aprir gli occhi alla verità e alla giustizia. - Alberto è un grande uomo -, concluse con un pugno - e peggio per chi non l’intende! Io lo griderò per tutta Torino! - La suocera, impietosita, propendeva per il sì. La Luzzi aggiunse le sue esortazioni. Il ragazzo piangeva. La Giulia finì con acconsentire, a condizione e lo disse risolutamente, che non gli si dicesse nulla da parte sua. Restava a decidersi chi l’avrebbe accompagnato. Bianchini si rifiutò, commuovendosi: la scena gli avrebbe fatto troppa pena, non ci avrebbe potuto reggere e rimbeccò sua moglie, che fece un atto di disprezzo. Infine pregò la suocera, la quale accettò, stropicciando la sua crocetta con una certa ingenua fede che il veder il ragazzo avrebbe operato un miracolo, e si decise che l’avrebbe accompagnato il giorno dopo, con le debite precauzioni, perché non lo risapesse il Commendatore.

Giulia passò anche quella giornata in casa Bianchini, dove le ore passavan lente, silenziose, eterne, non svariate che da brevi ed aspre discussioni dei coniugi Bianchini, e imperiose intimazioni di silenzio della madre ad Ernesta, che si doveva ribever le lagrime e le parole. Un momento, verso sera, capitò il Moretti che dovette ricomporre in fretta il suo roseo viso ridente, udendo la cosa; ma per poco; poiché si offerse subito d’andar ambasciatore, con la beata fiducia di ricondurlo a idee più moderate, esponendogli una sua idea, in cui tutti dovevano accordarsi per risolvere pacificamente la quistione sociale: una "immensa" società di mutuo soccorso fra tutti i lavoratori d’Italia - lavoratori fisici, intellettuali, morali - per provvedere a disoccupati, a vecchi, a infermi, a tutti e a tutto - con libertà d’ottenere una specie d’obolo di S. Pietro dalla società... - E dovettero penare un pezzo a dissuaderlo, a fargli comprendere che non era quello né il mezzo né il momento.

Partito lui, ricaddero nel silenzio. Giulia se n’andò sul terrazzino della piazza, sola, a pensare. E pensò alla sua amica della prima giovinezza, a quella dolce e forte creatura che l’aveva tanto amata, - la sola nelle cui braccia avrebbe voluto gettarsi in quel momento, per confidarle tutto, e chiederle consiglio, conforto... Ed era lì da pochi minuti, quando un moto vicino a lei la fece voltare, e vide un viso sorridente e due occhi avidi che la guardavano. Era Geri figlio, ritto nel terrazzo vicino, il quale non fece abbastanza presto a ricomporre il suo viso ad una espressione di rispettosa condoglianza. Ella, sorpresa, non riuscì a reprimere il rossore della donna che si sente desiderata, e tentò per istinto un sorriso dissimulatore della sua tristezza, che fu male interpretato. Ma alla prima parola, s’accorse con dolore ch’egli pure sapeva già. Quegli parlò con una voce bassa, che le fece l’effetto leggermente sgradevole d’un atto inaspettato di familiarità.

Ma la dichiarazione della sua sincera amicizia per la famiglia, per "tutta" la famiglia, il desiderio di giovarle in qualche modo in quella circostanza spiacevole, l’offerta dei suoi servigi, la speranza che tutto si sarebbe accomodato, furon fatte con accento così rispettoso, quasi umile, e così apparentemente sincero, - che l’effetto sgradevole si dileguò, e, senza pensarci, ringraziandolo e salutandolo, essa porse la mano, che egli prese con tutt’e due, e trattenne un momento.

Ma la sorpresa che le avrebbe fatto in tutt’altra occasione quell’atto, sparve subito nella tristezza che l’invase rientrando in casa col ragazzo. In queste circostanze la sera dopo è più trista di quella del giorno in cui accade la sventura. La casa le parve vuota, vastissima, d’un silenzio di tomba. E provò un fenomeno strano. Suo marito si sdoppiò alla sua immaginazione in due esseri distinti: quello che l’aveva addolorata, offesa, abbandonata, contro il quale era ancora piena di sdegno e d’amarezza; e quello antico, che non le aveva mai dato dolori, che l’aveva sempre amata, e che le era sempre caro. Questo essa rivedeva da per tutto, - vedeva la sua bella testa bionda, quando era tutto immerso nei suoi studi sereni - la gioia dei suoi primi successi - le espansioni luminose della sua mente e del suo cuore, mille memorie, mille intimità dolci, tanti anni felici... E tutto era finito! Essa non vedeva nulla nell’avvenire, nessun avvenimento che li potesse riavvicinare, senza offendere a morte suo padre; - perché Alberto non avrebbe mutato mai le sue idee! Oh di questo si sentiva certa! E per la prima volta si domandò che forza dovesse avere quell’idea nell’anima sua, per fargli preferire tante lotte, tante amarezze, tanti danni, piuttosto che abbandonarla - poiché essa capiva ora come prima non aveva capito mai, quanto pure egli doveva aver sofferto, in ogni forma, e quanto doveva ancora soffrire! E una pietà la prese anche per lui. Ah! Era ben finita! E un’idea le venne, - di andar a svegliare il ragazzo, e di suggerirgli delle parole, delle preghiere da fare il dì dopo a suo padre, di quelle espressioni a cui ella sapeva che, dette dal figliuolo, lo toccavan nel profondo dell’anima... Ma no - era inutile! Alberto aveva impegnato l’onore, era insensato sperare che scendesse a un atto d’umiliazione. No! Era finita. Non rimaneva che un barlume di speranza; quello che per sua madre era quasi una fede: - in un miracolo.