Primo maggio/Parte terza/I

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Parte terza - I

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Parte terza Parte terza - II

I primi giorni furono deliziosi in quel quartierino al terzo piano di via Barbaroux, stretto ed oscuro, mobiliato con un gusto abbominevole; dove andarono a rimpiattare, a ore fisse, il loro amore. L’ardore e la grazia di quella personcina flessuosa di adolescente, che vinceva col suo profumo acuto il tanfo della casa vecchia, e trillava e sbatteva l’ali in quel piccolo spazio come un uccello nella stia, arruffando ogni cosa e carezzandogli l’orecchio con languori di voce e fremiti di riso non mai uditi; che univa a un’arte finissima una sventatezza amabile di monella, che saltava sotto il suo bacio come al tocco d’un ferro infocato, e alternava agli slanci dell’amante gli atteggiamenti pensierosi e le parole gravi d’un’ardente compagna di fede, lo tennero per qualche tempo in uno stato d’ebbrezza violenta, in cui i suoi sensi, le sue idee, il suo orgoglio vendicato d’uomo e di marito fiammeggiarono insieme come un incendio sotto la sferza del vento.

Ma quando i baci lasciarono un po’ più di spazio alle parole ed egli guardò attentamente dentro a quell’anima, che delusione! Più tardi, ripensandoci con curiosità di psicologo, egli la paragonò a uno di quei finti libri, legati con eleganza severa, che portano impresso in oro sulla coperta il titolo d’un poema, e non sono altro che scatole piene di confetti o di gingilli. Osservò da prima che essa esprimeva il suo entusiasmo per la causa socialista con certe frasi non sue, che eran sempre le medesime; e cercando sotto a queste frasi, in luogo di trovarvi idee nette e collegate o, se non altro, un sentimento profondo dell’idea grande di cui la credeva compresa, non vi trovò che un’effervescenza superficiale e bizzarra di capricci e di simpatie rivoluzionarie, una specie di erotismo rosso di donnina ribelle a ogni legge, che lo riempì di stupore. In fondo al socialismo, e sotto a ogni teoria sovvertitrice del mondo, pareva che ci fosse per lei un ideale segreto di sensualità, che l’oggetto della sua passione non fossero le idee, ma le persone, e tra queste, non altri che gli amanti. Lo strano era che mostrava d’aver letto molti libri di quella materia; ma non n’aveva assorbito se non quanto si riferiva, in qualunque modo, alle relazioni fra i due sessi. E in questo possedeva un’erudizione singolare. La passione tempestosa di Ferdinando Lassalle per la signorina De Doenniges, il matrimonio in extremis di Augusto Spees, condannato a morte, con la ricca Mina Van Zandt, la tenerezza di Sofia Perowskaia, impiccata, per il giovane Scheljaboff, impiccato, le conquiste del bellissimo Valeriano Ossinski, morto sul patibolo, tutti quegli amori avventurosi di nichilisti e d’anarchici, nati nelle congiure, cementati nelle fughe, sconcertati dalle polizie, interrotti dalle carceri, riannodati negli esili, seguiti in ogni parte dal passo muto delle spie e dal fantasma nero del carnefice, essa li conosceva in tutti i particolari e se ne pasceva l’immaginazione con un’avidità di malata. Forse perché quei minatori temerari del vecchio mondo, che nessun pericolo atterriva, le apparivano d’una fibra più gagliarda e più ardente degli altri uomini; ma fors’anche, e di più, perché seduceva la sua fantasia quell’ideale d’una società in cui le donne avrebbero goduto d’una libertà assoluta, e l’amore, com’essa l’intendeva, sarebbe stato sciolto d’ogni vincolo e d’ogni freno. Alberto si confermò in questo pensiero allorché, seguitando a scrutarla, s’accorse che delle varie teorie socialistiche presenti e passate essa non conosceva che le idee più ardite e più strane intorno agli argomenti più solleticanti: come la ginnastica nuda dei due sessi della Città del sole, la riabilitazione della carne del Saint-Simon, le belle signore della società immaginaria del Morris, offerentisi a tutti, sulle rive del Tamigi, come un premio sociale, e altre cose simili; delle quali doveva sapere assai di più che non dimostrasse con le parole sfuggevoli con cui v’accennava, divagando dalla quistione principale. Ma come e quando poteva aver letto tutte quelle cose, che non si ritrovavano se non in libri speciali? Non era certo il signor Luzzi, che glieli comprasse, o che le concedesse di comprarseli, poiché egli doveva averli in orrore come la lebbra. Egli la interrogò più volte su tal proposito, ma la sua curiosità restò insoddisfatta. - Ho letto qua e là -, rispondeva ridendo, e gli chiudeva la bocca con un bacio perché non domandasse di più. Alberto sospettò che avesse preso quella infarinatura da qualche amante socialista od anarchico, colto; poiché non gli durò tre giorni l’illusione d’essere egli il primo con cui ella tradisse i doveri imposti alle mogli nelle società monogamiche. Aveva un bel mostrare, venendo ed andandosene, un sospetto affannoso d’essere spiata, e sobbalzare fra le sue braccia a ogni suon di passo o di voce: egli capiva che, in fondo, era perfettamente tranquilla, che era quello un artifizio per dare al loro idillio un po’ di quel colore drammatico che le piaceva tanto negli amori dei ribelli famosi, e che ella avrebbe voluto, per aguzzare la voluttà, ch’egli fosse già un socialista temuto e vigilato, inferocito dalle persecuzioni e nominato con terrore dalle sue amiche del bel mondo. Quando egli scoperse tutto ciò, tutto l’affetto ch’era nella sua passione cadde, come una perla da un anello, con la stessa rapidità con cui v’era entrato, ed egli si persuase con tristezza che il sentimento vero del socialismo non era possibile in una donna della sua classe, se non come un’eccezione quasi miracolosa, dovuta a doti dell’animo e dell’intelletto rare come l’eroismo ed il genio, e temprate da qualche grande dolore. Quello che agitava la signora Luzzi non era che una forma d’isterismo; il sentimento delle miserie e delle ingiustizie sociali, la pietà e l’amore degli oppressi, quando egli le scandagliava la coscienza, ella non li sapeva nemmeno fingere; tutte quelle buone e vivaci arguzie con cui l’aveva sostenuto nelle dispute in casa sua, non erano state che arti di seduzione dirette a conquistarlo, ispirate da una simpatia tutta sensuale per la sua bellezza bionda ed altera, infiammata da un entusiasmo potente. A capo a una settimana non gli restò più un dubbio su ciò. Ma l’ardore dei sensi sopravvisse in lui al disinganno; non solo, ma per compensarsi di questo, egli si abbandonò a quell’ardore più ciecamente di prima. L’aveva ingannato, era un’anima vuota; ma era pure così snella, morbida, vezzosa e odorosa! Qualche volta egli pensava persino con rammarico, tenendola in braccio, che nella società futura, sottoposta alla rigida legge dell’eguaglianza e del lavoro per tutti, delle donne come quella, con tutte quelle grazie delicate di creatura cresciuta nell’ozio, con quei raffinamenti squisiti dovuti alla consuetudine degli agi e del lusso, quasi fatte e allevate non per altro che per il piacere, che quelle quintessenze d’amanti non ci sarebbero state più. Oltreché era curiosa a studiarsi in tutte le manifestazioni del suo ruzzo rivoluzionario. Anche quel po’ di gelosia, con cui le piaceva di pepare il suo amore, non tirava che da quella parte. Lo stuzzicava a proposito della socialista Maria Zara, con la quale sospettava ch’egli fosse strettamente legato. E perché no? Essa la conosceva di vista: non era bella né giovanissima; ma una figura fuor del comune, un tipo severo e ardito di agitatrice, che doveva celare sotto il velo dell’austerità attrattive fisiche e spirituali non possedute dalle altre donne. E ribadiva il proprio sospetto vedendo com’egli la difendeva quando, per forzarlo a scoprirsi, essa esprimeva riguardo a lei il concetto di tutti, che fosse una donna senza pudore né ritegno, praticante dell’amor libero con tutto il socialismo maschile di Torino. - Una donna che fa ribrezzo! -, diceva, ma con un viso e un accento da parere che, sotto a quel finto ribrezzo, covasse una certa invidia della vita sfrenatamente libera e scandalosa che quella menava in mezzo ai più bollenti e rudi preparatori della rivoluzione. E in quei momenti Alberto ne aveva quasi repugnanza, vedendo in lei una di quelle nature di donna pervertite che, quando un desiderio le trascina, vanno giù senza ribrezzo e senza vergogna anche fino in fondo della scala sociale. Ma questo pensiero non poteva più scemare in lui un amore in cui già la stima era morta. Il loro commercio intellettuale s’andava restringendo ogni giorno. Egli non le parlò più di socialismo che per soddisfare le sue curiosità insistenti intorno agli uomini più noti del partito, coi quali ella lo credeva in stretta relazione. Che cos’era quel Rateri, direttore della Quistione sociale? Un uomo di talento e d’una grande forza di volontà; ma una specie d’orso, non è vero? Un uomo freddo e superbo, che aveva avuto dei duelli terribili? E com’era quel famoso anarchico, di cui le aveva parlato il Cambiasi, quell’anima perduta, quel demonio scatenato, pronto ogni giorno a morire? Se lo faceva descrivere e diceva che l’avrebbe voluto vedere. E chi era quel Mario Barra che scriveva sulla Quistione sociale degli articoli così strani, dei torrenti di parole, pieni d’ingenuità e d’entusiasmo? Doveva esser un giovane riboccante di vita, e d’animo ardentemente affettuoso... - Ma dove leggi la Quistione sociale? - le domandò Alberto vivacemente - Sei associata? - Oh giusto! Con le idee di suo marito, associata! Egli poteva permetterle qualche scartata socialistica in conversazione; ma un giornale di quello stampo l’avrebbe buttato fuor di casa con le molle. Non lo leggeva per abitudine: glie n’erano venuti tra mano, per caso, due o tre numeri, in cui aveva rinvoltato dei nastri la modista. Ma lo disse con un sorriso curiosissimo, in cui il suo grazioso neo della guancia destra prese per un momento l’espressione d’un occhietto canzonatore. E questa e tutte l’altre stranezze stimolavano i sensi di lui, gli facevano serrar con più forza tra le mani quella bella testa arruffata e malata di borghesina viziosa, e metter nei baci che le dava la rabbia del suo cuore deluso, cercando nella carne di lei ciò che non le aveva trovato nell’anima e nella prostrazione delle proprie forze l’assopimento della coscienza. Ma avvenne l’opposto di quello che pensava, poiché la sua coscienza fu risvegliata appunto da ciò che la doveva assopire. Spuntata appena la sazietà, diradandosi nella sua mente il fumo del senso, egli riconobbe che quella relazione, non più scusata dalla comunione d’una grande idea, mutava affatto la sua condizione morale per rispetto a sua moglie, gli toglieva ogni diritto di lagnarsi di lei, lo metteva nei panni d’un marito ipocrita che nasconde una tresca ignobile sotto il pretesto d’una nobile passione offesa. E cominciò a sentire un disgusto di sé, che cercò di vincere rimettendosi con alacrità al suo lavoro. Ma fece in tal modo quest’altra scoperta ingrata: che si poteva, con una coscienza turbata, vivendo ignobilmente, serbar viva l’ispirazione per ogni altra forma di lavoro artistico; ma che scriver pagine sinceramente e potentemente ispirate a un amor generoso dell’umanità, a un desiderio profondo del miglioramento degli uomini e del trionfo d’un alto e puro ideale di moralità e di giustizia, era impossibile. Si metteva a scrivere e gli pareva di mentire; sentiva un disaccordo odioso tra l’intimo della coscienza e le parole che dettava la penna; gli riusciva difficile e quasi molesto quel lavoro, in cui non si rispecchiava più, come da prima, tutta l’anima sua. E allora si sforzò di ridestare nel suo cuore tutto l’entusiasmo con cui l’aveva cominciato per poterlo spingere innanzi anche a traverso a quell’impedimento inatteso. Ma invece di ritrovar l’entusiasmo, trovò, sviscerando se stesso, che un mutamento s’era operato in lui, quasi incosciente, con una rapidità maravigliosa. Fiaccandogli le forze del corpo e della mente, la voluttà gli aveva messo nell’animo una mollezza rifuggente dalle forti commozioni che porta con sé una nuova fede, una pigrizia del cuore che lo faceva titubare con una inquietudine non prima sentita all’idea degli affanni e delle lotte, a cui sarebbe andato incontro procedendo per la strada dove s’era messo. Egli rimase quasi atterrito la prima volta che, raccogliendosi profondamente nei suoi pensieri, si ritrovò in questo stato. Le idee di prima e la fede gli restavano, benché offuscate da un leggero velo; ma gli s’era smezzato il vigor necessario a combattere per esse: era come un soldato che, svegliandosi davanti a un pericolo, s’accorge d’esser stato disarmato durante il sonno. E così trascinò le giornate, per qualche tempo, incerto, confuso e scontento, interrogando continuamente se stesso, aspettando che cos’altro sarebbe accaduto in lui, con una curiosità quasi paurosa, come avrebbe aspettato un avvenimento esteriore, indeterminato, che dovesse avere una grande importanza nella sua vita.