Produrre sapere in rete in modo cooperativo - il caso Wikipedia/Parte I/Auto-organizzazione nelle reti: il fenomeno dei “sistemi emergenti”

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Parte Prima - Il processo di cooperazione in rete

Auto-organizzazione nelle reti: il fenomeno dei “sistemi emergenti”

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Parte I - La struttura “a bazar” dell’open-source Parte II

La creazione di un ordine da una serie di pratiche apparentemente disordinate e sconnesse è interesse di quella disciplina chiamata scienza dei sistemi emergenti. Come si è detto1, la stessa comunità hacker risponde, strutturalmente, a regole che non seguono una logica “dall’alto”, un ordinamento di tipo verticale, ma si articola secondo un modello auto-organizzato che si sviluppa orizzontalmente, secondo le pratiche di comunicazione tra pari.

Il discorso che si può fare a riguardo, incentrando l’attenzione sui sistemi emergenti cui si è accennato, è molto interessante, pur nella limitatezza delle competenze fisiche, matematiche e biologiche di chi scrive, indispensabili per comprendere appieno la questione nei suoi termini più dettagliati.

Si tenterà comunque un doppio livello d’indagine: da un lato la struttura della rete come substrato concreto “ideale” per la creazione dei cosiddetti sistemi emergenti. Dall’altro le vere e proprie dinamiche peculiari dell’“emergenza” e il loro funzionamento.

Ma anzitutto cerchiamo di chiarire più precisamente il concetto di “sistema emergente”: è una struttura definibile “bottom-up”, dove si risolvono i problemi utilizzando masse di elementi relativamente stupidi anziché un singolo centro direzionale.

In sostanza, i sistemi emergenti sono di tipo adattivo. L’emergenza in tal senso può essere ricondotta a un meccanismo che fonde le regole di basso livello in un’applicazione di alto livello. Tutto questo rientra in una più ampia disciplina che risponde al nome di teoria della complessità2.

Cenni sulla struttura delle reti

Le cause che conducono alla manifestazione di un comportamento di tipo complesso3 sono ancora un mistero per gli studiosi che ci dedicano studi e attenzione.

Uno dei percorsi più intrapresi in questo genere di discipline è quello della ricerca sul comportamento delle formiche all’interno dei formicai4. È apparso evidente infatti come tali piccoli organismi si coordinano e si organizzano secondo logiche ben definite. Pur essendo esseri “stupidi”, considerati privi di forme di intelligenza superiore capace di ragionamento, come nel caso umano, le formiche sono dal principio un fondamentale elemento di studio proprio per la capacità di costituire un ordine organico collettivo, rispondendo semplicemente a bisogni e stimoli locali.

Nel tentativo di affrontare più approfonditamente l’argomento, si è spesso ricondotta a motivazione principale dei sistemi emergenti la struttura delle reti.

Albert-László Barabási, docente di fisica teorica all’Università di Notre Dame, nell’Indiana, ha svolto diverse ricerche sulle reti complesse5. In un difficile e dettagliato excursus, egli ha ripercorso le tappe degli studi sulle reti.

Ha evidenziato con interesse come agli inizi, riconducibili alla fine degli anni ’50, due matematici di nome Erdős e Rényi, non sapendo come spiegare la complessità, parlassero di reti casuali. Ma, ancora più interessante fu un’intuizione di Karinthy, del 1929, che segnalava la presenza in media di 6 gradi di separazione tra due persone. Da questa osservazione si giunge alla conclusione che la vita avvenga su un mondo piccolo perché la società è una ragnatela assai ridotta nelle sue dimensioni “di collegamento”: se tra due individui sussistono soltanto sei legami costituiti da altrettanti “nodi”, di fatto incarnati da persone, è chiaro che si possa pensare al mondo come ad una struttura di dimensioni assai ridotte.

Come si legge nella dissertazione di Barabási, nel web si replica il concetto di “mondo piccolo”: tra un link e l’altro infatti non sembrano esserci più di 19 “click”. La separazione varia a seconda di ciò che viene fatto e poiché seguire tutti i link sarebbe un’impresa impossibile accade che vengano utilizzate delle “chiavi”. Viene addirittura ripreso un concetto di Granovetter, quello dei “legami deboli”, che si è incontrato in precedenza. In sostanza, si afferma che i legami deboli spesso risultino più efficienti di quelli forti, nel caso si stia ricercando qualcosa, ad esempio delle informazioni6.

La ricerca di Barabási porta alla scoperta di una particolarità nella rete: una serie di hub, dei nodi con un elevatissimo numero di link. A livello sociologico, si potrebbero associare alla figura degli opinion leaders, ovvero di quegli individui che hanno più accesso al contenuto dei media e che finiscono per influenzare gli altri che hanno intorno a sé.

Barabási si rese conto che una rete non può essere casuale: dovrebbe essere libera da qualunque tipo di regole e, se lo fosse, dovrebbe sussistere la più alta forma di democrazia, incarnata in una specie di anarchia. Ecco che crolla la visione utopica del cyberspazio egualitario.

Questo tipo di struttura è risultata dominata da una cosiddetta legge di potenza. Si tratta di una curva decrescente in modo continuo, che sta a rappresentare fondamentalmente il fatto che a molti piccoli eventi coincidano pochi grandi eventi. Le reti casuali presentavano una curva a campana, mentre la legge di potenza ci spiega il fatto che vi siano pochi nodi con moltissimi link e molti nodi con un numero di collegamenti ridotti. Le reti di questo tipo sono definite nel testo di Barabási a invarianza di scala.

Da qui si ha una prima visione del passaggio da disordine a ordine: in un’apparente moltitudine sregolata di link si ritrovano nodi altamente funzionali allo scopo e strutturati in modo ordinato per questo motivo.

Inoltre, il fatto che questi hub presentino un maggior numero di link testimonia il fatto che ci sia una situazione di collegamento preferenziale: la rete è tutt’altro che democratica. Ma cosa guida un link verso un nodo piuttosto che un altro? Barabási parla della fitness del nodo, ovvero della sua capacità di attrazione.

Una delle caratteristiche più interessanti, anche in riferimento al discorso sull’auto-organizzazione è che i sistemi di tipo “naturale”, ecologici, sono caratterizzati dalla resilienza, ovvero dall’autoaggiustamento, dalla capacità di ricondursi ad un equilibrio interno.

Funzionamento e caratteristiche di base dei sistemi emergenti

La rete è il substrato di ogni struttura emergente. Come si è spiegato in precedenza, stiamo riferendoci sia a una rete di tipo ecologico-naturale, sia a una rete informatica.

Ci si concentri ora su una panoramica generale sul funzionamento dei sistemi emergenti. Essi sono, si è stabilito in precedenza, forme intelligenti e collettive che derivano da una moltitudine per lo più “stupida” e senza coerenza e legame interno. Ciò che dà vita a questo macro-comportamento è il crearsi di uno scopo che guidi i singoli membri verso l’effettiva pratica. Una delle caratteristiche fondamentali di queste strutture è che nel comportamento emergente, come evidenzia Johnson nel suo lavoro divulgativo sull’argomento7, i singoli individui rivolgono l’attenzione all’immediato vicino anziché attendere ordini dall’alto: questo modello di “acculturamento imitativo” è lo stesso tipo di processo che si è osservato nella trattazione sulla cultura hacker. In tale situazione, l’errore è insignificante.

Johnson ha indicato cinque principi alla base della formazione della macrointelligenza: la quantità, nella quale si disperde l’errore e avviene il massimo della cooperazione; l’ignoranza individuale, che mantiene in equilibrio il sistema; gli incontri casuali, che rendono il sistema dinamico quanto basta; le configurazioni dei segnali e infine, l’osservazione dei vicini.

Il vantaggio dell’“intero” che va a costituirsi è che può persistere nel tempo: Johnson sostiene in più punti della sua dissertazione che il comportamento globale dura più a lungo delle parti che lo compongono.

I sistemi nascono comunque da una situazione relazionale, che però si ferma al feedback interazionale che si crea in doppia direzione. Non si tratta di una situazione anarchica: da una configurazione del genere, non potrebbe mai uscire un sistema che funzioni.

Kevin Kelly parla di un nuovo filone olistico, dove si viene a creare una situazione di equilibrio spontaneo con una mano invisibile che governa8. Stanchi della libertà romantica che vede la piena realizzazione della volontà dell’individuo, i nuovi soggetti vanno incontro alla costituzione di un superorganismo. L’emersione, sostiene Kelly, è un fenomeno del tutto naturale e, come ogni processo di questo tipo, è difficile capire da dove giunge: per ora non si ha ancora chiaro in mente da dove arrivi il superorganismo.

L’autore di Out of control però presenta anche un grave limite nella sua dissertazione, che è insito nel titolo stesso dell’opera: com’è possibile che, come sostiene l’autore, tutto debba seguire il proprio corso? Il fatto che non vi sia un “io centrale” non presuppone che tutto debba seguire la propria logica interna. È necessario una certa qual forma di ordine e di controllo.

D’altro canto, in tutta la disciplina, o per lo meno nella sezione affrontata in questa sede, sembra vi sia un “buco nero”. Studiando sistemi come i formicai, o gli alveari, si ignora un aspetto fondamentale che viene solo accennato da Johnson, quello della “volizione”.

Com’è possibile far collassare strutture osservate in configurazioni che vedono all’origine membri o elementi fondamentalmente “stupidi” su un processo di auto-organizzazione umana? Sembra si voglia scartare del tutto l’aspetto che ci rende non semplici “oggetti senzienti”9, ma esseri umani capaci di pensiero e soprattutto di relazioni storicamente situate. L’aspetto della relazione e delle aspettative di appartenenza ad una comunità vengono sostanzialmente ignorate dall’approccio emergente, pur nell’interessante lettura che dà dei fenomeni di auto-organizzazione.

Ciononostante è sicuramente indispensabile dare spazio all’evoluzione e all’ampliamento di tale campo di studi, che si trova senza dubbio in una fase di sviluppo ancora originaria, per lo meno all’interno della branca delle scienze umanistiche.


Note

  1. Cfr. paragrafo 2.3.2
  2. Riferimento ad una macroarea biologica che riconosce il “complesso” in una serie di comportamenti che, rispondendo a logiche locali, finiscono per creare un insieme omogeneo con comportamento riconoscibile come prodotto di tale “tutto”.
  3. D’ora innanzi, per tutto il capitolo, si userà il termine “complessità” e l’aggettivo derivato nel senso esplicato nella nota precedente.
  4. Si veda a proposito Kelly 1994 e Johnson 2001 che hanno abbondantemente trattato lo studio etologico dei formicai.
  5. Cfr. Barabási 2004, ed. or. 2002
  6. Ibidem, viene fatto il riferimento alla ricerca di un lavoro: come appare a livello empirico, spesso è più utile seguire un legame debole che però potrebbe a sua volta avere un collegamento utile per il mio scopo, che un legame forte dettato da affetto e tradizione.
  7. Cfr. Johnson, ibidem
  8. Cfr. Kelly, ibidem
  9. Cfr. Rheingold 2002