Ragguagli di Parnaso (Laterza)/Centuria prima/Ragguaglio II

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Centuria prima - Ragguaglio II

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RAGGUAGLIO II

L’ordinaria guardia del territorio di Parnaso, avendo fatto cattura di un poetaccio capitalmente sbandito da Parnaso, gli trova nelle calze un mazzo di carte da giuocare; le quali vedute da Apollo, ordina ch’egli nelle pubbliche scuole legga il giuoco del trionfetto.


Affine che gl’ignoranti con la lordura degli animi loro sopramodo sporchi non profanino i virtuosi luoghi di Parnaso, sono giá molti anni che Apollo fece venir di Sicilia due compagnie di poeti frottolanti e barzellanti, uomini arrischiati nella rima e valenti coi concetti in mano: officio de’ quali è perpetuamente scorrer il paese e tener netta la campagna. Questi, otto giorni sono, fecero prigione un poetaccio capitalmente sbandito da Parnaso, al quale con tutto che fosse stato interdetto l’uso dei libri e l’esercizio della penna, egli nondimeno, al dispetto di Apollo e in dispregio delle serenissime muse, tutto il giorno si vedeva sporcar le carte di versi e fino pretender il sovrano nome di poeta.

Aggravò il demerito di quell’uomo miserabile un mazzo di carte da giuocare che gli sbirri, mentre lo cercavano, gli trovarono nelle calze: le quali, per esser mero vizio, portano con esso loro la pena capitale; onde subito essendo state portate ad Apollo, egli sommamente rimase maravigliato della brutta invenzione che hanno saputo ritrovar i viziosi, per gettar il tempo, consumar la riputazione e le facoltadi. Ma molto maggiore si fece lo stupore di Sua Maestá, quando intese che tant’oltre era passata la sciocchezza degli uomini, che chiamavano giuoco quella cosa nella quale tanto crudelmente si fa daddovero, e che dilettazione, trastullo e passatempo stimavano il metter in compromesso quel danaro che si acquista con tanti sudori e che serve a tante cose, che senza lui il moderno mondo riputarebbe Aristotile un ignorante, Alessandro Magno un plebeo. A costui chiese Apollo qual giuoco delle carte sopra tutti gli altri piú gli era familiare; e perché ei gli rispose esser il trionfetto, Apollo gli comandò che lo giuo[p. 16 modifica]casse: e avendo egli ubbidito, non cosí tosto penetrò Sua Maestá i cupi magisteri di simil giuoco, che esclamò il giuoco del trionfetto esser la vera filosofia dei cortigiani, la necessarissima scienza che doveano apprender gli uomini tutti che non voleano viver alla balorda; e mostrando che molto gli dispiacesse raffronto che era stato fatto a quell’uomo, prima l’onorò col nome di virtuoso, e appresso, avendolo fatto sciorre, comandò ai bidelli che la mattina seguente aprissero un particolar ginnasio, dove col salario di cinquecento scudi Tanno quell’uomo singolare per pubblico benefizio dovesse leggere il prestantissimo giuoco del trionfetto, e sotto gravissime pene impose ai platonici, ai peripatetici, a tutti i filosofi morali e ad ogn’altro virtuoso di Parnaso, che dovessero apprendere scienza tanto necessaria: la quale acciò non cadesse loro dalla memoria, gli obbligò ad esercitarsi in quel giuoco un’ora del giorno.

Ancor che ai letterati cosa molto strana paresse che da un giuoco vilissimo da sbirri fosse stato possibile cavar documento alcuno utile alla vita degli uomini, sapendo nondimeno tutti che Sua Maestá giammai non comandò cosa che a’ suoi virtuosi non apportasse frutto grandissimo, cosí volontieri ubbidirono, che la scuola di quel giuoco fu frequentatissima. Ma come prima i letterati scoprirono i magisteri cupi, i secreti reconditi e gli artifici ammirandi dell’eccellentissimo giuoco del trionfetto, fino all’ottavo cielo commendarono l’alto giudizio di Sua Maestá, celebrando e magnificando per tutto, che né la filosofia, né la poetica, né le mattematiche, né l’astrologia e le altre piú pregiate scienze, ma che solo il mirabilissimo giuoco del trionfetto, a quelli particolarmente che negoziavano nelle corti, insegnava l’importantissimo secreto, che ogni cartaccia di trionfo piglia tutte le piú belle figure.