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Ragionamenti/Dialogo nel quale la Nanna insegna a la Pippa/Giornata prima

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Dialogo nel quale la Nanna insegna a la Pippa
Giornata prima

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Dialogo nel quale la Nanna insegna a la Pippa - Dedica Dialogo nel quale la Nanna insegna a la Pippa - Giornata seconda
IN QUESTA PRIMA GIORNATA
DEL DIALOGO DI MESSER PIETRO ARETINO
LA NANNA INSEGNA A LA SUA FIGLIUOLA PIPPA
L’ARTE PUTTANESCA.


Nanna
Che collera, che stizza, che rabbia, che smania, che batticuore e che sfinimento e che senepe è cotesta tua, fastidiosetta che tu sei?
Pippa
Egli mi monta la mosca, perché non mi volete far cortigiana come vi ha consigliata monna Antonia mia santola.
Nanna
Altro che terza bisogna per desinare.
Pippa
Voi sète una matrigna, uh, uh...
Nanna
Piagni su, bambolina mia.
Pippa
Io piagnerò per certo.
Nanna
Pon giuso la superbia, ponla giuso dico: perché se non muti vezzi, Pippa, se non gli muti, non arai mai brache al culo, perché oggidì è tanta la copia de le puttane, che chi non fa miracoli col saperci vivere non accozza mai la cena con la merenda e non basta lo esser buona robba, aver begli occhi, le trecce bionde: arte o sorte ne cava la macchia, le altre cose son bubbole.
Pippa
Sì dite voi.
Nanna
Così è, Pippa, ma se farai a mio senno, se aprirai ben le orecchie ai miei ricordi, beata te, beata te, beata te.
Pippa
Se vi spacciate a farmi signora, io le aprirò a fatto a fine.
Nanna
Caso che tu voglia ascoltarmi e lasciar di baloccare ad ogni pelo che vola, avendo il capo ai grilli come usi di fare mentre io ti rammento il tuo utile, ti stragiuro per questi paternostri che io mastico tuttavia, che fra .XV. dì a la più lunga ti metto a mano.
Pippa
Dio il volesse, mamma.
Nanna
Vogli pur tu.
Pippa
Io voglio, mammina cara, mammina d’oro.
Nanna
Se tu vuoi, anche io voglio; e sappi figliuola, che son più che certa del tuo diventar maggiore di qual sia mai suta favorita di papi, e ti veggo al Cielo: e perciò bada a me.
Pippa
Ecco che io ci bado.
Nanna
Pippa, se bene ti faccio tener da la gente di .XVI. anni tu ne hai .XX. netti e schietti, e nascesti poco doppo al roinare del conchiavi di Leone, e quando per tutta Roma si gridava «palle, palle», io raitava «oimè, oimè»: e appunto si appiccavano l’armi dei Medici su la porta di San Pietro quando io ti feci.
Pippa
E perciò non mi tenete più a vendemiar nebbia: che mi dice Sandra mia cugina che si usano di .XI. e di .XII. per tutto il mondo, e che l’altre non hanno credito.
Nanna
Non tel nego, ma tu non ne mostri .XIV. E per tornare a me, dico che tu mi attenda senza trasognare, e fà conto che io sia il maestro e tu il fanciullo che impara a compitare, anzi pensati che io sia il predicatore e tu il cristiano: ma se vuoi esser il fanciullo, ascoltami come fa egli quando ha paura di non andare a cavallo, se vuoi essere il cristiano, fa pensiero di odirmi nel modo che ode la predica colui che non vuole andare a casa maladetta.
Pippa
Così faccio.
Nanna
Figlia, coloro che gittano la robba, l’onore, il tempo e se stessi dirieto a le bagasce, si lamentano sempre del poco cervello di questa e di quella non altrimenti che il loro esser pazze gli roinasse, e non si avvedendo che le fanfalughe che hanno in capo sono la lor ventura, le vituperano e le minacciano. Onde io delibero che il tuo esser savia gli faccia toccar con mano che guai ai meschini che ci incappano, se le puttane non fosser ladre, traditore, ribalde, cervelline, asine, trascurate, manigolde, da poche, briache, lorde, ignoranti, villane e il diavolo e peggio.
Pippa
Perché, voi?
Nanna
Perché s’elle avessero tanta bontà quanta hanno malizia la gente che pure a la fine è ralluminata dai tradimenti e da le assassinarie che si veggano fare di dì e di notte, doppo un sopportare di sei, sette e dieci anni, cacciatele a le forche, hanno più piacere di vederle stentare che non ebbero dispiacere di vedersi sempre rubar da loro: e non è altro il morirsi di fame di qualunche si sia, mentre saziano di se stesse la lebbra, il cancaro e il mal francioso che le scanna, che il non esser mai state una ora in proposito.
Pippa
Io comincio a intenderla.
Nanna
Odimi pure e ficcati nel capo le mie pistole e i miei vangeli, i quali ti chiariscano in due parole dicendoti: se un dottore, un filosofo, un mercatante, un soldato, un frate, un prete, un romito, un signore e un monsignore e un Salamone è fatto parer bestia da le pazzarone, come credi tu che quelle che hanno sale in zucca trattassero i babbioni?
Pippa
Male gli trattarebbono.
Nanna
E perciò non è il diventar puttana mestiere da sciocche e io, che il so, non corro a furia col fatto tuo, e bisogna altro che alzarsi i panni e dir «Fà, che io fo», chi non vuol fallire il di che apre bottega. E per venir al midollo, egli interverrà, sentendosi che tu sei manomessa, che molti vorranno esser dei primi serviti, e io somigliarò un confessore che riconcili la ciurma, cotanti pissi pissi arò ne le orecchie dagli imbasciadori di questo e di quello, e sempre sarai caparrata da una dozzina: talché ci verria bene che la stomana avesse più di che non ha il mese, ma eccoti che io sto in su le mie, e rispondo a un servidor di messer tale: «Egli è il vero che Pippa mia ci è stata colta Iddio sa come (comar vacca, comar ruffiana, io te ne pagarò) e la mia figliuola, più pura che un colombo, non ci ha colpa, e da leal Nanna, una volta sola ha consentito, e vorria esser ben barba chi mi recassi a dargnele, ma sua Signoria mi ha incantata di sorte che io non ho lingua che sappia dirgli di no: sì che ella verrà poco doppo l’avemaria». E tu, in quello che il messo si move per trottare a portar la imbasciata, atraversa un tratto la casa, e fingendo che i capegli te si sleghino, làsciategli cader giù per le spalle ed entra in camera, alzando tanto il viso che il famiglio ti dia una occhiatina.
Pippa
Che importa il farlo?
Nanna
Importa che i garzoni sono tutti frappatori e ciurmatori dei lor signori; e giugnendo questo che io dico dinanzi al suo, per furar le grazie ansciando e tutto affannato dirà: «Padrone, io ho tanto fatto, che ho visto la putta: ella ha le trecce che paiano fila d’oro, ha due occhi che ne disgrazio un falcone, una altra cosa: io vi mentovai a posta per vedere che segno faceva udendo di voi; che più? ella mi è suta per abbrusciare con un sospiro».
Pippa
Che pro’ mi faranno cotali bugie?
Nanna
Ti cacciaranno in grazia di colui che ti desidera, facendogli parer mille anni lo aspettarti una ora: e quanti corrivi credi tu che ci sieno, i quali s’innamorano per sentire lodare da le fanti le lor padrone, e vengano in succhio mentre le bugiarde e infingarde le pongano sopra il ciel del forno?
Pippa
Le fanti ancora sono de la buccia dei servidori?
Nanna
E peggio. Or tu te ne andrai a casa de l’uomo da bene che io ti do per essempio, e io con teco; e subito arrivata a lui, ti verrà incontra o in capo la scala o fino a l’uscio: fermati tutta in su la persona, che potria sgangararsi per la via; e rassettate le membra sul dosso e guardati un tratto sottomano i compagni che ragionevolmente gli staranno poco di lungi, affige umilmente i tuoi occhi nei suoi, e sciorinata che tu hai una profumata riverenzia, sguaina il saluto con quella maniera che sogliono far le spose e le impagliate (disse la Perugina), quando i parenti del marito o i compari gli toccano la mano.
Pippa
Io diventarò forse rossa a farlo.
Nanna
E io allegra, perché il belletto che ne le gote de le fanciulle pone la vergogna, cava l’anima altrui.
Pippa
Basta dunque.
Nanna
Fatte le cerimonie secondo che si richiede quello col quale tu hai a dormire, la prima cosa te si farà seiere a lato, e nel pigliarti la mano accarezzarà me che, per far correre il volto dei convitati nel tuo viso, terrò sempre fitti gli occhi ne la tua faccia, facendo vista di stupire de le tue bellezze. E così cominciarà a dirti: «Madonna vostra madre ha ben ragione di adorarvi perché le altre fanno donne, ed ella angeli», e si avviene che dicendo simili parole si chini per basciarti l’occhio o la fronte, rivolgetigli dolcemente e sfodera un sospiretto che appena sia inteso da lui: e si fosse possibile che in cotal atto tu ti facessi le guance del rosato che io dico, lo coceresti al primo.
Pippa
Si, eh?
Nanna
Madesì.
Pippa
La ragione?
Nanna
La ragione è che il sospirare e lo arrossare insieme, sono segni amorosi e un principiar di martello; e perché ognuno si contiene stando in sul tirato, colui che ha a goderti la seguente notte cominciarà a darsi ad intendere che tu sia guasta di lui: e tanto più il crederà, quanto più lo perseguitarai con gli sguardi; e ragionando tuttavia teco, ti tirarà a poco a poco in un cantone: e con le più dolci parole e con le più accorte che potrà, entraratti su le ciance. Qui ti bisogna risponder a tempo, e con boce soave sforzati di dire alcuna parola che non pizzichi del chiasso. Intanto la brigata, che si starà giorneando meco, si accostarà a te come bisce che si sdrucciolano su per l’erba, e chi dirà una cosa e chi un’altra, ridendo e motteggiando: e tu in cervello; e tacendo e parlando, fà si che il favellare e lo star queta paia bello ne la tua bocca; e accadendoti di rivolgerti ora a questo e ora a quell’altro, miragli senza lascivia, guardandogli come guardano i frati le moniche osservantine, e solamente lo amico che ti dà cena e albergo pascerai di sguardi ghiotti e di parole attrattive. E quando tu vuoi ridere, non alzar le boci puttanescamente spalancando la bocca, mostrando ciò che tu hai in gola: ma ridi di modo che niuna fattezza del viso tuo non diventi men bella; anzi accrescile grazia sorridendo e ghignando, e lasciati prima cadere un dente che un detto laido; non giurar per Dio né per santi, ostinandoti in dire «Egli non fu così», né ti adirare per cosa che ti si dica da chi ha piacere di pungere le tue pari: perché una che sta sempre in nozze debbe vestirsi più di piacevolezza che di velluto, mostrando del signorile in ogni atto; e ne lo essere chiamata a cena, se bene sarai sempre la prima a lavarti le mani e andare a tavola, fattelo dire più d’una volta: perché se ringrandisce ne lo umiliarsi.
Pippa
Lo farò.
Nanna
E venendo la insalata, non te le avventare come le vacche al fieno: ma fà i boccon piccin piccini, e senza ungerti appena le dita póntigli in bocca; la quale non chinarai, pigliando le vivande, fino in sul piatto come talor veggo fare ad alcuna poltrona: ma statti in maestà, stendendo la mano galantemente, e chiedendo da bere, accennalo con la testa; e se le guastade sono in tavola, tòtene da te stessa, e non empire il bicchiere fino a l’orlo, ma passa il mezzo di poco: e ponendoci le labbra con grazia, nol ber mai tutto.
Pippa
E s’io avessi gran sete?
Nanna
Medesimamente beene poco, acciò che non te si levi un nome di golosa e di briaca. E non masticare il pasto a bocca aperta, biasciando fastidiosamente e sporcamente: ma con un modo che appena paia che tu mangi; e mentre ceni favella men che tu puoi: e se altri non ti dimanda, fà che non venga da te il ciarlare, e se te si dona o ala o petto di cappone o di starna da chi siede al desco dove tu mangi, accettalo con riverenzia, guardando perciò l’amante con un gesto che gli chiegga licenza senza chiederla, e finito di mangiare, non ruttare, per l’amor d’Iddio!
Pippa
Che saria se me ne scappasse uno?
Nanna
Ohibò! Tu caderesti di collo a la schifezza non che agli schifi.
Pippa
E quando io farò quello che mi insegnate e più, che sarà?
Nanna
Sarà che tu acquistarai fama de la più valente e de la più graziosa cortigiana che viva; e ognuno dirà, mentovandosi l’altre, «State queti, che val più l’ombra de le scarpe vecchie de la signora Pippa, che le tali e le cotali calzate e vestite»; e quelli che ti conosceranno, restandoti schiavi, andran predicando de le tue vertù; onde sarai più desiderata che non son fuggite quelle che han i fatti di mariuole e di malandrine: e pensa s’io ne gongolarò.
Pippa
Che debbo io fare cenato che aremo?
Nanna
Intertienti un pochettino con chi sarà dove te, non ti levando mai da canto al drudo, e venuta l’ora del dormire, lasciaraimi ritornare a casa, e poi, riverentemente detto «Buona notte a le Signorie vostre», guardati più che dal fuoco di non esser veduta né udita pisciare, né far tuo agio, né portar fazzoletto per forbirtela: perché cotali cose farieno recere i polli, che beccano d’ogni merda. Ed essendo serrata in camera, guarda pure se tu vedi sciugatoio o scuffia che te si atagli e, senza chiedere, và lodando i sciugatoi e le scuffie.
Pippa
A che fine?
Nanna
A fine che il cane, che è a la cagna, ti proferisca o l’uno o l’altra.
Pippa
E se egli me le proferisce?
Nanna
Piantagli un bascio con una punta di lingua, e accetta.
Pippa
Sarà fatto.
Nanna
Poi, mentre egli si corcarà a staffetta, vatti spogliando pian piano, e mastica qualche parolina fra te stessa mescolandola con alcun sospiro: per la qual cosa sarà di necessità che ti dimandi, nel tuo entrargli allato: «Di che sospiravate voi, anima mia?», allotta squinternane un altro e dì: «Vostra Signoria mi ha amaliato», e dicendolo abbraccialo stretto stretto, e basciàtelo e ribasciàtelo che tu lo arai, fatte il segno de la croce, fingendo di essertene scordata a lo entrar giù: e se non vuoi dire orazione né altro, mena un pochetto le labbra acciò che paia che la dica per esser costumata in ogni cosa. Intanto il brigante, che ti stava aspettandoti nel letto come uno che ha fame bestiale e si è posto a tavola senza esserci ancor suso né pan né vino, ti andrà lisciando con la mano le pocce, tuffandoci tutto il ceffo per bersele, e poi il corpo, calandola a poco a poco a la monina, e dato che le arà parecchi mostacciatine, verrà a maneggiarti le cosce: e perché le chiappettine son di calamita, tiraranno a sé la mano che io ti dico, e festeggiatole alquanto, cominciarà a tentarti, con lo intermetterti il suo ginocchio fra le gambe, di voltarti (non si arrischiando di chedertelo così a la prima): e tu soda; e caso ch’egli imiagolando faccia il bambolino cadendo nei vezzi salvatichi, non ti voltare.
Pippa
E se mi sforzasse?
Nanna
Non si sforza niun, matta.
Pippa
E che è il lasciarselo far più dinanzi che dirieto?
Nanna
Scimonita, tu parli propio da sciocca come tu sei, dimmi: che val più, un giulio o un ducato?
Pippa
Io v’ho: l’ariento è da men che l’oro.
Nanna
Pure il dicesti. Ora io penso a un bel tratto...
Pippa
Insegnatemelo.
Nanna
...bello, bellissimo.
Pippa
Deh sì, mamma.
Nanna
Se pur pure egli ti va ponendo la leva fra le cosce per volgerti a suo modo, atasta si egli ha catenine al braccio o anelli in dito; e secondo che il moscone ti si raggira intorno per la tentazione che gli dà l’odore de l’arosto, prova s’egli se gli lascia tòrre: se lo fa, lascialo fare, e svalisciàtelo de le gioie, lo truffarai per lettera; quando no, digli a la libera: «Dunque vostra Signoria va dirieto a così fatte ribaldarie?». Ciò detto, ti recarà a buon modo, e montandoti a dosso, fà il tuo debito, figlia: fallo, Pippa, perché le carezze con le quali si fanno compire i giostranti son la rovina loro, il dargliene dolce gli ammazza; e poi una puttana che fa ben quel fatto è come un merciaro che vende care le sue robbe: e non si ponno simigliare se non a una bottega di merciarie le ciance, i giuochi e le feste che escano da una puttana scaltrita.
Pippa
Che similitudine che voi fate.
Nanna
Ecco un merciaro ha stringhe, specchi, guanti, corone, nastri, ditali, spilletti, aghi, cinte, scuffioni, balzi, saponetti, olio odorifero, polver de cipri, capelli e centomilia di ragion cose. Così una puttana ha nel suo magazzino parolette, risi, basci, sguardi: ma questo è nulla: ella ha ne le mani e ne la castagna i rubini, le perle, i diamanti, gli smeraldi e la melodia del mondo.
Pippa
Come?
Nanna
Come, ah? Non è niuno che non tocchi il ciel col dito quando l’amica che si ama, mentre ti dà la linguina per cantone, ti grappa il cotale, e stringendolo due o tre volte, te lo rizza, e ritto che te lo ha, gli dà una menatina, e poi il lascia in succhio: e stata così un poco poco, ti si reca i sonagli su la palma crivellandogli con essa soavemente, doppo questo ti sculaccia, e grattandoti fra i peli ritorna a rimenartelo: talché la pinca, che è in sapore, pare un che vuol recere e non pò; ma lo imbertonato a così fatte carezze si sta badiale, e non cambiaria il suo spasso con quello d’un porcellin grattato; e quando si vede cavalcare da colei che egli sta per cavalcare, va in dolcezza come un che compisce.
Pippa
Che odo io?
Nanna
Ascolta e impara a vendere le merci tue: a la fede Pippa che se una che sale il suo amoroso fa una particella di quello che ti dirò, ella è atta a cavargli i denari degli stinchi con altra astuzia che i dadi e le carte non gli cavano di quelli dei giuocatori.
Pippa
Io vel credo.
Nanna
Tienlo pur per certo.
Pippa
Volete che io faccia ciò che voi dite con chi io vado’ albergo?
Nanna
Si, fallo.
Pippa
Come il posso io fare, standomi sopra?
Nanna
Ci mancano vie da farlo saltare!
Pippa
Mostratemene una.
Nanna
Eccola. Mentre egli ti gualca, piagni, diventa ritrosa non ti movere, ammutisci; e se ti domanda ciò che tu hai rugnisci pure, e ciò facendo, è forza che si fermi e dicati. «Cor mio fovvi io male? avete voi dispiacer del piacer che io mi piglio?», e tu a lui: «Vecchietto caro, io vorrei...» (e qui finisci); ed egli dirà: «Che?»; e tu pur mugola; a la fine, tra parole e cenni, chiariscilo che vuoi correre una lancia a la giannetta.
Pippa
Or fate conto che io sia dove voi dite.
Nanna
Se tu sei con la fantasia a far quel che io vorrei che tu facessi, acconciati bene adagio; e acconcia che sei, fasciagli il collo con le braccia e bascialo dieci volte in un tratto, e preso che gli arai il pistello con mano, stringegnelo tanto che si finisca di imbizzarrire: e infocato ch’egli è, ficcatelo nel mozzo e spigneti inver lui tutta tutta; e qui ti ferma e bascialo; stata un nonnulla, sospira a la infoiata e dì: «Se io faccio, farete?»; lo stallone risponderà con voce incazzita: «Sì, speranza»; e tu, non altrimenti che il suo spuntone fosse il fuso e la tua sermollina la ruota dove ella si rivolge, comincia a girarti, e s’egli accenna di fare, ritienti dicendo: «Non anco, vita mia»: e datogli una stoccatina in bocca con la lingua, non ischiodando punto de la chiave che è ne la serratura, rispigni, rimena e rificca; e piano e forte, e dando di punta e di taglio, tocca i tasti da paladina. E per istroncarla, io vorrei che facendo quella faccenda tu facessi di quelli azzichetti che fanno coloro che giuocano al calcio mentre hanno il pallone in mano: i quali schermiscano con artificio e, mostrando di voler correre or qua or là, furano tanto di tempo che, senza esser impacciati da chi gli è contra, danno il colpo come gli piace.
Pippa
Voi mi ammonite ne la onestade, e poi mi ammaestrate ne le disonestà a la sbracata.
Nanna
Io non esco dei gangari punto, e vo’ che tu sia tanto puttana in letto quanto donna da bene altrove: e fà che non si possa imaginar carezza che non facci a chi dorme teco e stà sempre in su le vedette, grattandolo dove gli dole. Ah! ah! ah!
Pippa
Di che ridite voi?
Nanna
Rido de la scusa che hanno trovata coloro ai quali non si rizza la coda.
Pippa
Che scusa è questa?
Nanna
Il dar la colpa al troppo amore; e certo certo, se non fosse il dir così, rimarrebbono più impacciati che non sono i medici quando lo ammalato, che domandano s’ei va del corpo, risponde «Si», non sapendo dargli altro rimedio: onde si vergognano come i vecchi che montatici a dosso ci pagano di doppioni e di cantafavole.
Pippa
Appunto vi voleva dimandare come io mi ho ad arrecare sotto un bavoso correggero che puzza di sotto e di sopra, e in che foggia io mi ho a lasciar pestare dal suo starmi tutta notte a dosso: e mia cugina mi racconta che una non so chi venne meno in cotal novella.
Nanna
Figliuola, la soavità degli scudi non lascia arrivare al naso i fiati marci né la puzza dei piedi: ed è peggio il tòrsi una ceffata che il sopportare il cesso che è ne la bocca di chi spende comperando il patire che si fa dei lor difetti a peso d’oro. E stammi a udire, che ti vo’ contare come hai a reggerti con ogni musico musicorum, e come tu maneggi le nature altrui: e che tu le voglia sopportare con pacienzia, tu sei più padrona di quel che loro hanno che non sono io tua e mia.
Pippa
Entratemi un poco in su questi vecchi.
Nanna
Eccoti a cena con quei lussuriosi che hanno buona volontà e triste gambe. Pippa, le vivande ci sono a sbacco, i vini a l’ordine, le ciance a la signorile; e chi gli ode frappare diria «Questi tali andranno .XV. miglia per ora»: e se le prove del letto si assimigliassero a quelle che fanno intorno ai fasciani e a la malvagia, ne incacarebbero Orlando. Ma se contentassero l’amiche in chiavarle come le contentano in darle dei buon bocconi a tavola, beate loro! I boriosi e volonterosi, sperando nel pevere, nei tartufi, nei cardi e in certi lattovari calidi che vengano di Francia, ne fanno maggiori scorpacciate che i contadini de l’uva; e inghiottendo l’ostrighe senza masticarle, vorrebber pure far miracoli. A così fatte cene puoi tu manicare quasi senza cerimonie.
Pippa
Perché?
Nanna
Perché il piacer loro è d’imboccarti come si imboccano i bambini: e hanno più sollazzo che si mangi a l’affamata, che non ha il cavallo del sufolare del famiglio che lo abevera; e poi i vecchi son nimichi de le sposarie.
Pippa
Sì che io potrò, mangiando seco, rendere i coltellini a le continenze dette di sopra.
Nanna
A la croce d’Iddio che tu mi riesci: e se vai di bene in meglio, l’altre restaranno come il prete da le poche offerte. Mi era smenticato di avvertirti che non ti netti i denti col tovagliuolo, risciacquandogli con l’acqua pura, tosto che arai cenato coi vecchi (come farai nel tuo cenar coi giovani): perché potrebbero schifarsi, con dir seco stessi «Costei dileggia i nostri, che si dimenano standoci in bocca appiccati con la cera».
Pippa
Io me li voglio forbire a lor posta.
Nanna
Faccende.
Pippa
Orsù, io non me gli nettarò.
Nanna
Tu puoi ben razzolargli intorno con uno stecco di ramerino ascosamente.
Pippa
Veniamo al coricarsi seco.
Nanna
Ah! ah! ah! Io non mi posso tener di ridere, perché bisogna che si guardino di non andar al destro come ho detto che te ne guardi tu: oh che vesce, oh che loffe che tranno! I mantici dei fabri non soffiano sì forte, e mentre torcendo il muso si sforzano di cacare stroppelli, tengano in mano uno scartoccio di peneti per racquetar la tossa che gli crocifigge. È ben vero che, spogliandosi in giubbone, son vaghi da vedere. Come si sia, essi, che si ricordano de la gioventudine come dei sermenti verdi gli asini e le micce, stanno in zurlo con più appetito che mai; e abbracciando la ninfa, non ti potria dire con che filastroccola la lusingano; e quelle cianciarelle che le balie usano ai fanciulli che non sanno ciò che si voglino, sono i confetti loro. Ti mettano lo spa[r]viere in pugno, ti suggano le pocce, salgonti a dosso a cavalcioni e ti voltano di qua, ti aggirano di là; onde tu, solleticandogli e sotto le braccia e nei fianchi, mettetegli intorno: e come l’hai fatto risentire, ripiglialo e diguazzalo con tanti arzigogoli che egli alzi la testa balordon balordoni.
Pippa
Anco quei dei vecchi si levano in superbia?
Nanna
Qualche volta, ma l’abbassano tosto, e se tu vedesti tuo padre buona memoria, quando ne la sua malatia si sforzava di levarsi a sedere sul letto ricadendo subito a ghiacere, vedi la menchia d’un simile, la quale è de la natura dei lombrichi, che rientrano in se stessi e risospingansi in fuora caminando.
Pippa
Mamma, voi mi avete insegnato gli atti che io ho a fare stando di sopra e ogni cacariuola che ci accasca, ma non come io l’ho a conchiudere.
Nanna
Non dire altro, che io ti afferro: e mi cresce di sorte l’animo, vedendoti stare a casa, che io vado in cimbalis, e tornando indrieto, dico che tu vuoi dire che io ti dica a che ti hanno a servire i savoretti che tu farai standoti sopra il fottente (parlando a l’usanza).
Pippa
Voi l’avete pel ciuffetto.
Nanna
Non ti ricordi tu, Pippa, quando il Zoppino vendette in banca la leggenda di Campriano?
Pippa
Mi ricordo di quel Zoppino che quando canta in banca tutto il mondo corre a udirlo.
Nanna
Quello è desso. Hai tu in mente il ridere che tu facesti sendo noi dal mio compar Piero, mentre con la Luchina e con la Lucietta sue lo ascoltavate?
Pippa
Madonna sì.
Nanna
Tu sai che ’l Zoppino cantò come Campriano cacciò tre lire di quattrini nel forame del suo asino: e menollo a Siena e lo fece comperare a due mercatanti cento ducati, dandogli ad intendere che egli cacava moneta.
Pippa
Ah! ah! ah!
Nanna
Poi seguitò la storia fino a la metà: e come ebbe adescata la turba ben bene, voltò mantello; e inanzi che si desse a finirla, volse spacciar mille altre bagattelle.
Pippa
La non mi va.
Nanna
Sai tu, baston de la mia vecchiezza, quello che ti interverrà lasciandomi finir di favellare?
Pippa
Che?
Nanna
Quello che interviene a chi mira un che si tuffa sotto acqua notando: che sempre il vede apparire dove mai non pose mente. Dicoti che come l’arai messo in dolcezza coi tuoi atti di sorte che stia per isputar la lumaca senza guscio, fermati con dire «Io non posso più»; prieghi a sua posta, di pure «Io non posso».
Pippa
Dirò anco «Io non voglio».
Nanna
Dillo: perché, dicendolo, verrà in quella volontà che ha chi, ardendo di sete per la febbre che il fa bollire, si vede strappar di mano una secchia d’acqua fresca che la compassione del suo famiglio, traendola del pozzo allotta allotta, gli aveva data. E nel tuo far vista di smontar da cavallo ti prometterà cose grandi: e tu in contegno. A la fine, lanciatosi a la borsa, ti gli darà tutti mentre, fingendo tu di non gli volere, stenderai la mano per torgli: perché il dire «non voglio» e «non posso» in sul bel del fare, sono le recette che vende il Zoppino, nel lasciare in secco la brigata che smascellava, stroncando la novella di Campriano.
Pippa
Gli è fatto il becco a l’oca. Ora al vecchio.
Nanna
Al vecchio che, sudando e ansciando più che non suda e non anscia uno al quale fa il culo lappe lappe, ti stemperarà tutta quanta nel fartelo nol facendo, è forza dar la baia, e ponendogli il viso sul petto, dire «Chi è la vostra putta? chi è il vostro sangue?» e «Chi è la vostra figlia? Pappà, babbino, babbetto, non sono io il vostro cucco?»; e grattandogli ogni bruscolino e ogni rughetta che gli trovi a dosso, digli «ninna, ninna» cantando ancora una canzoncina sottovoce trattandolo da rimbambito: e so ch’egli ti si rivolgerà con atti bambineschi e chiamaratti «mammina, mammotta» e «mammetta». In questo affrontalo, e atasta se la scarsella è sotto il piumaccio: ed essendoci, non ce ne lasciare uno, e s’ella non ci è, faccela essere. E cotale arte bisogna usare, perché i miseroni lambiccano un danaio quattro ore quando non si trastullano: e se ti promettano veste o collane, non te gli spiccar da le spalle finché non si ordina il dono. Poi, o co le dita o con quello che gli pare, mettinlo pure nel dritto e nel rovescio, che non te ne darei un pistacchio.
Pippa
Non dubitate.
Nanna
Odi questa: eglino son gelosi, ed entrano sul gigante menando le mani con le parole a la bestiale: ma se gli vai ai versi, oltre che pioveranno i presenti, ne cavarai uno spasso de l’altro mondo. E mi par vedere uno più scaduto che il bisavolo de l’Antecristo, con i calzoni e il giubbone di broccato tutto tagliuzzato, con la berretta di velluto impennacchiata coi puntali e con un martello di diamanti in una medaglia d’oro con la barba d’ariento di coppella, e le gambe e le mani tremolanti, la faccia guizza; caminando a schincio spasseggiarà fin entro al di intorno a casa, fischiando, abbaiando e ronfiando come i gatti di gennaio. E sto per iscompisciarmi sotto per le risa pensando a una berta che rifaria il millesimo.
Pippa
Ditemela.
Nanna
Un ceretan poltrone gli diede ad intendere che aveva una tinta da barbe e da capegli, sì nera e sì morata che i diavoli son bianchi a comperazione. Ma la voleva vender sì cara che lo fece stare parecchi e parecchi dì a dargli orecchie. A la fin fine parendogli che la sua testa di porro e la sua barba di stoppa gli scemassi reputazione con l’amore, contò .XXV. ducati vineziani al ceretano, il quale, o fosse per burlarlo o fosse per giuntarlo, gli fece i capegli e la barba del più azzurro turchino che dipignesse mai coda di cavallo barbaro o turco: di modo che bisognò raderlo fino a la cotenna, onde ne fu favola del popolo un tempo, anzi se ne ride ancora.
Pippa
Ah! ah! ah! Me lo par vedere, vecchio pazzo. Ma se me ne dà alcuno ne l’unghie, voglio che sia il mio buffone.
Nanna
Anzi fà il contrario; né lo soiare per conto alcuno, e massimamente dove son brigate: perché la vecchiezza dee riverirsi, poi saresti tenuta una sciagurata e una scelerata a dar baie a un cotal uomo: io voglio che tu dimostri di averlo nel core inchinandotigli per ogni paroluzza che ti dice; onde nascerà che degli altri vecchi ringiovaniranno amandoti: e se pur pur vuoi tortene riso, fallo qui fra noi.
Pippa
A farlo, se facendolo ho a far bene
Nanna
Entriamo ne le signorie.
Pippa
Entriamoci.
Nanna
Ecco un signore ti richiede: e io ti mando o tu vai, tanto è. Qui ti conviene dar del buono, perché sono avvezzi con gran donne, e più si pascano di ragionamenti e di chiacchiare che d’altro. Sappi favellare, rispondi a proposito, non iscappare trasandando di palo in frasca: perché i servidori suoi, non pur sua Signoria, ti faranno drieto i visacci, non ti recar là da goffa né da civetta, ma gentilmente. E se si sona o canta, tieni sempre tese le orecchie al suono e al canto, lodando i maestri de l’uno e de l’altro, benché tu non te ne diletti e non te ne intenda, e se ci è alcun vertuoso, accostategli con faccia allegra, mostrando di apprezzar più loro che (mi farai dire) il signor ch’è ivi.
Pippa
A che fine?
Nanna
Per buon rispetto.
Pippa
Suso!
Nanna
Perché non ti mancarebbe altro se non che un tale ti facesse i libri contra, e che per tutto si bandisse di quelle ladre cose che sanno dir de le donne: e ti staria bene che fosse stampata la tua vita come non so chi scioperato ha stampata la mia, come ci mancassero puttane di peggior sorte di me: e se si avesse a squinternare gli andamenti di chi vo’ dir io, si oscurarebbe il sole. E quanti abbai sono suti fatti sopra il fatto mio! Chi riprende ciò che io ho detto de le suore, dicendo «Ella mente d’ogni cosa», non si accorgendo che io lo dissi a l’Antonia per farla ridere e non per dir male, come forse arei saputo dire: ma il mondo non è più desso, né ci pò più vivere una persona che ci sa essere.
Pippa
Non collera.
Nanna
Guarda, Pippa: io son suta suora, e ne uscii perché ne uscii: e s’io avessi voluto informar l’Antonia come elle si maritano, e chiamano il frate «la mia amicizia», e il frate chiama la suora «la mia amicizia», lo arei molto ben saputo dire. E solamente a contare le cose che i brodai raccontano a le sue amicizie quando tornano da predicare di qualche lato, faceva stupire le stigmate: perché io so ciò che fanno con le vedove che gli presentano di camisce, di fazzoletti e di desinari, e le tresche e i guazzabugli. E fu pur grande quella di colui che mentre si scagliava in sul pergamo come un drago, mettendoci tutti per perduti, gli cadde fra il popolo, che a la moccicona lo ascoltava la berretta che si teneva ne la manica, onde viddero i ricami ascosti: nel mezzo del di drento stava un core di seta incarnata che ardeva in un fuoco di seta rossa, e intorno a l’orlo, di lettere nere si leggeva:
Amor vuol fede, e l’asino il bastone;

talché la turba, scoppiata nel tuono de le risa, la riposono per reliquia. E circa le figure di santa Nafissa e di Masetto da Lampolecchio, non è ver nulla, e certissimamente in cambio dei cotali ci sono appiccati per le mura cilici, discipline con le punte di agora, pettini aguzzi, zoccoli con le guigge, radici che testimoniano il digiuno che esse non fanno, ciottole di legno con le quali si misura l’acqua che si dà a chi fa astinenzia, capi di morti che fanno pensare al fine, ceppi, corde, manette, flagelli: le quali cose impauriscano chi le guarda, e non chi erra né chi ce le appicca.

Pippa
È possibile che sieno tante novelle?
Nanna
Ci sono anche di quelle che io non mi ricordo. Ma che averebbono detto alcune ignorantuzze, alcune fiuta-stronzi, se io avesse publicato in che modo la maestra de le novizie si avvede quando suora Crescenzia e suora Gaudenzia è al cane? Petegole di feccia di birro, che voi siate scopate, poiché date di becco fino al favellare de chi ve ne terria a scuola.
Pippa
Che, non si pò favellar come altri vole?
Nanna
Tanto abbin fiato le scimonite come esse non fanno mai altro che appuntare ciò che si favella a la usanza del paese, minuzzando le lor dicerie come si minuzza il radicchio: e ti prego, figliuola mia, che non eschi de la favella che ti insegnò mammata, lasciando lo «in cotal guisa» e il «tantosto» a le Madreme; e dagliene vinta quando elleno con alcune voce nuove e penetrative dicano «Andate, che i Cieli vi sieno propizi e l’ore propinque», dileggiando chi favella a la buona, dicendo «vaccio», «a buonotta», «mo’ mo’», «testé testé», «alitare», «acorruomo», «raita», «riminio», «aguluppa’, «sciabordo», «zampilla», «cupo», «buio», e cento mille d’altre parole senza fette.
Pippa
Cornacchie.
Nanna
Tu l’hai battezzate bene, poiché vogliano che si dica «tosto» e non «presto», «in molle» e non «in macero», e se dimandi loro perché, rispondano: «Perché "porta" e "reca" non è di regola»; di modo che è un pericolo di aprirci più bocca. Ma io, che sono io, favello come mi pare e non con le gote tronfie, sputando salamoia; vado coi miei piedi e non con quelli de la grue, e do le parole come elle vengano e non me le cavo di bocca con la forchetta. Perché son parole e non confezioni; e paio, favellando, una donna e non una gazzuola: e perciò la Nanna è la Nanna, e la genia che va cacando verbigrazie, apponendo al pelo che non fu mai ne l’uovo, non ha tanto credito che gli ricopra il culo; e in capo de le fini, chi tutto biasima senza far nulla, non fa mai sbucare il suo nome de le taverne: e io ho fatto trottare il mio fino in Turchia. Si che cibeche, io voglio ordire e tessere le mie tele a mio senno perché so dove trovarmi l’accia per le fila che ci vanno, e ho molti gomitoli di refe per cuscire e ricuscire i miei sdrusciti e tagliati.
Pippa
Le sfatate vanno stuzzicando il formicaio: e scoppiano se un dì non gli facciamo le fica a occhi veggenti, da che cincischiano il nostro favellare.
Nanna
Gliene farem certo. To’ su questa: una sibilla, una fata una beffana che insegna a cinguettare ai pappagalli, mi dimandò non ier l’altro quel che vuol dire «anfanare», «trasandare», «aschio», «ghiribizzo», «merigge», «trasecolo», «mezza moscia», «sdrucciola» e «razzola»; e mentre io le chiariva le cifere, l’andava scrivacchiando: e mo’ se ne fa bella come fosse sua farina. Ma io, che vivacchio a la schietta, non me ne curo; e non mi dà noia se «covelle» è più goffo che «nulla».
Pippa
Non baloccate più con le punteruole, perché il cervello mi s’ingarbuglia: onde mi si scordarà tutto quello che importa al caso mio.
Nanna
Tu hai ragione; e la stizza che io ho de le alfane che stanno in sugli archetti facendo insalatucce e salsette di paroline affamate, e con ostinazione di zecche e di piattole le voglion vincere, mi ha fatto uscir del seminato. Pure io mi rammento che ti diceva come devi accarezzare i vertuosi che il più de le volte si ritrovano a le tavole dei signori.
Pippa
Cotesto mi diciavate di bel punto.
Nanna
Accarezzagli, ragiona con loro; e per parere che tu ami le virtù, chiedegli un sonetto, uno strambotto, un capitolo e simili pazzie: e quando te gli danno, basciagli e ringraziagli non altrimenti che tu avessi ricevuto gioie. E tuttavia che ti picchiano a l’uscio, aprigli sempre: perché sono discreti; e se ti veggano occupata, senza altro cenno se ne andranno, corteggiandoti doppo le spedizioni.
Pippa
E se pur pure io non avessi fantasia d’aprirgli, che sarebbe?
Nanna
Saresti zombata da le più crudeli villanie che s’udisser mai: per che, tra il cervello che gareggia seco a ogni punto di luna e lo sdegno che pigliarieno per ciò, guarda la gamba. E perché egli è propio costume di donna di non appiccar mai una parola con l’altra, prima che io ritorni al signore col quale sarai, vo’ dirti un tratteto che favellandoti dei vecchi m’era uscito di mente.
Pippa
Debbe esser galante, poiché ritornate indrieto per dirmelo.
Nanna
Ah! ah! Io voglio, Pippa, che di quei confetti che si spargeranno per tutta la tavola levata la tovaglia, che tu ne pigli .V. grani e che, bugliandoli, tu dica: «S’essi fanno bella croce, il mio vecchio caro e dolce non ama se non me, se la croce è sgangherata egli adora la tale». Pippa, se la croce stia bene alza le mani ai cielo, poi, allargate le braccia, legalo tutto con esse e dagli un bascio con tante cacabaldole quante ti sai imaginare: intanto lo vedrai cader giuso come uno che crepa de caldo dove fiata un poco di ventarello. Caso che la croce venga male, lasciati scappare, se si può, due lagrimucce accompagnate da due sospiri ladri, e levati da sedere e vanne al fuoco, facendo vista di stuzzicarlo con le molli perché te si trapassi la collera: in questo il coglion bue te si avventarà a dosso rimbambitamente giuracchiandoti per corpi e per sangui che madesì, e tu, andandotene in camara, affronta lo fin d’un non so che prima che tu facci la pace.
Pippa
Io vi servirò, mamma.
Nanna
Non ho altra fede, figlia. Eccoti al signore, eccoti a lui che frappa d’amori dicendo «La signora tale, madama cotale la duchessa, la reina» (e la merda che gli sia in gola), «mi diede questo favore, e questo altro quella altra», e tu lauda i favori e stupisciti come tutte le belle di Tunisi non si battezzano per tirarselo a dosso, e mentre egli entra in su le prove che ha fatto ne lo assedio di Firenze e nel sacco di Roma, accòstati a quello che ti è più presso e digli, che il giorneon ti intenda «Oh, che bel signore! La grazia sua mi cava di sesto», ed egli fingendo di non intendere, si pavoneggiarà tutto. E sappi che chi non usa seco le astuzie che usano i cortigiani del mal tempo con i monsignori, ponendo sopra de le gerarchie le lor gaglioffarie, gli diventa nimici.
Pippa
Io l’ho inteso.
Nanna
Adulazione e finzione son la pincia dei grandi: così si dice; e perciò sbalestra la soia con tali, se vuoi carpirne qualche cosa; altrimenti tu mi ritornarai a casa con la pancia piena e con la borsa vota. E se non che la loro amicizia ha de l’onorevole più che de l’utile, ti insegnerei a fuggirgli: perché vorrebbero esser soli al pacchio; e perché son signori, che altri non ne desse ad altri; e han per manco, come non vieni o non gli apri, di mandar gli staffieri a bravar la porta, la strada, le finestre e la fante, che di sputare in terra. E paiono quei cagnacci che si imbattono dove molti cagnoletti montano una cagnola: che, sbranando questi e quelli coi rinchi e coi morsi, tengano tutta la via e non ci è dubbio che tal pratica dà la fuga a chi ha paura di concorrer con loro, ed è perfetta per quelle che han più caro il fume che l’arosto.
Pippa
Dio mi aiuti con questi signori.
Nanna
Ma io ti vo’ donare un colpetto che, se i villani crepassero, gli costarà. Come sua Altezza si comincia a spogliar per corcarsi, togli la sua berretta e pontela in capo; poi ti vesti il suo saio, e dà due spasseggiatine per camera: subito che il messere ti vede diventata di femina maschio, te si avventarà come la fame al pan caldo; e non potendo patire che tu vada a letto, ti vorrà fare appoggiar la testa al muro o sopra una cassa. Quello che io ti vo’ dire è che tu ti lasci prima squartare che tu gliene dia, s’egli non ti dà la berretta e il saio per venir poi a lui con l’abito che più diletta ai signori.
Pippa
La vacca è nostra.
Nanna
Ma sopra tutte le cose, studia le finzioni e le adulazioni che io ti ho detto, perché sono i ricami del sapersi mantenere. Gli uomini vogliono essere ingannati e ancora che si avveghino che si gli dia la baia e che, partita da loro, gli dileggi vantandotene fin con le fanti, hanno più caro le carezze finte che le vere senza ciance. Non far mai carestia di basci né di sguardi né di risi né di parole; abbi sempre la sua mano in mano, e talvolta di secco in secco strigneli i labbri coi denti si che venga fuor quello «oimè» troppo dolcemente fatto nascere da chi si sente traffigere con dolcezza: e la dottrina de le puttane sta nel saper cacciar carote a’ ser corrivi.
Pippa
Voi nol dite a sorda né a muta.
Nanna
Io penso...
Pippa
A che?
Nanna
...a me, che voglio insegnarti i modi che debbi tenere per riuscir dove io spero vederti, e io, insegnandotigli, metto ne la via coloro che aranno a far teco: perché, sapendosi ciò che io ti dico, saprassi anco, non ti credere, quando usarai le tue arti, e così i miei avvedimenti simigliaranno una di quelle dipinture che da tutti i lati guardano chi le mira.
Pippa
Chi volete voi che lo bandisca?
Nanna
Questa camera, quel letto quivi, le seggiole dove sediamo, e quella finestrella colà, e questa mosca che mi si vuol manicare il naso (diavol pigliela): le son pur prusuntuose, le vincano le importunità dei gelosi che vengano in fastidio fino a lor medesimi con le spigolistrarie che usano in guardare colei che non si può guardare quando la se delibera di accoccargliene. Con bestia di cotal buccia sappiti governare da savia e fagli più tosto le corna che i cenni. Vien qua: tu sarai amica d’uno che si recarà ad uggia uno che ti accommodarà, non come lui, ma di maniera che il perderlo ti nocerebbe assai assai. Costui ti comandarà che non gli apra, non gli parli, né che accetti niuna cosa del suo: qui bisognano giuramenti diabolici fronte sfacciata, scrollature di capo, voci a l’aria e alcuni gesti che si maraviglino di lui che si crede che tu lo cambiasse per cotal pecora; e soggiugnendo «Stiam freschi se si crede che io mi gitti via con quel cera-di-asino, con quel viso-di-mentecatto» e chiedi tu stessa i guardiani, salariandogli le spie; e tenendoti serrata, stavvi pure; se il sospetto gli si scema punto, non perder tempo. Ma quello che tu gli furi, spendalo ne le contentezze del pover foruscito: tirandolo in casa quando il geloso n’esce o ne lo scarcarsi de le legne, o nel portare il pane al forno. Se il farnetico gli cresce, ordina che di notte venga drento, e nascondalo nel camerino de la fante, dove fà che stia sempre la predella da fare i tuoi fatti, e a posta mangia la sera cose che ti movino il ventre, o finge doglie di fianco, e scappagli da canto tuttavia lamentandoti: e vanne là da colui che, per aspettarti col pifero in mano, farà due chiodi a una calda, e fa dolcitudine che piacendo ti solleticarà tutta, ti farà fare altri «oimè» e altri «i’ moio», e con più gran ramarico che il mal del madrone. Compito il servigio, rivientene a lui scarica d’ogni pena: e questa è la ricetta da salvar la capra e i cogli (diceva lo spenditor de l’Armellino).
Pippa
Si farà.
Nanna
Accadendo che lo spiritato ne abbia qualche fume, mano a negare; e con viso sicuro di sempre «Forbici»; e si egli sfuria, e tu ti umilia con dire: «Adunque mi tenete per una di quelle, ah? E se vi è suto detto, posso io tener le lingue? Se io avessi voluto altri, non arei tolto voi né mi sarei fatta monica per amor vostro» e così schiamazzando ficcategli più sotto che tu puoi e se qualche pugno andassi in volta, pazienzia: perché tosto ti saranno pagati i medici e le medicine, e tutte le muine che farai a lui per radolcirlo, farà a te per racconsolarti; e il «perdonami» e il «feci male a crederlo» ti stuzzicaranno in modo che sarai la buona e la bella: perché se tu confessassi il peccato o volessi vendicarti di quattro pugni che vanno e vengano, potresti o perderlo o sdegnarlo di sorte che ella non andria ben per te. Ed è chiaro che la fatica sta nel mantenersi gli amici, e non in acquistarsegli.
Pippa
Non ci è dubbio.
Nanna
Volgi carta: e trovarai un che non è geloso e pure ama, al dispetto di chi non vuole che amore sia senza gelosia. A l’uomo intagliato in tal legname ci è un lattovaro che, pigliandone una o due imbeccate, si ingelusiarebbe il bordello.
Pippa
Che lattovaro è questo?
Nanna
Fatti scrivere una letterina, da qualcuno che tu te ne possa fidare, come questa che io già imparai a mente:

Signora, io non vi posso salutare nel principio de la lettera, perché in me non è salute, e allora ci sarà, che la vostra pietade si degnarà che io, in quel luogo che più commodo vi paia, potrò dirvi ciò che non ardisco di farvi noto per i scritti né per imbasciate: e perciò vi supplico per le vostre divine bellezze, le quali ha ritratte la natura, col consenso d’Iddio, da quelle degli angeli, che vi degnate che io vi parli: che v’ho a dir cose, che beata voi, e più beata sarete quanto più tosto averò la udienzia che io inginocchioni vi dimando; e spetto una risposta che tenga di quella grazia ch’esce del vostro grazioso aspetto. E quando sia che refutiate di darmela, come refutasti le perle che, non per dono, ma per segno di benivolenzia, vi mandai per... e cetera, io o con ferro o con laccio o con veleno uscirò di guai. E bascio le mani a la chiara Signoria vostra.

Con la soprascritta e con il sottoscritto che saperà fare chi ti scriverà ne lo andare che io ti spiano.

Pippa
Che ho io a farne, scritta che ella è?
Nanna
Piegala sottilmente e infilzala in un guanto, il quale a la disavveduta ti lasciarai cadere in parte ch’egli, che ha la gelosia nei peduli, impari averla nel polmone. Tosto che il trascurato ricoglie il guanto, sentirà il foglio scritto; e sentitolo, il carpirà; e guardandosi da ognuno, si tirarà in un cantoncino solo soletto: e cominciando a leggere, cominciarà a fare i visi arcigni; e venendo a le perle refiutate, soffiarà come uno aspido; e cadutagli la baldanza ne le calcagna, gli verrà l’anima ai denti: perché io mi credo che il demonio entri in colui che intoppa nel suo rivale; e non si potria dire quanta frenesia scompigli colui che, pur dianzi non pensando di aver compagno al tagliere, se ne vede scappare uno che gli mette in compromesso tutta la carne. E letta e riletta la facezia, la riporrà dove la trovò, cioè nel guanto: tu in quello starai spigolando ai fessi o al buco de la chiave; e se vedi il bello, rumoreggia con la fante e le di: «Dove è il mio guanto, balorda? dov’è egli, sventata?». Intanto verrà in campo lo accorato, e tu leva le strida e di: «Sciocca furfanta, tu sarai cagione di qualche scandolo e forse de la rovina mia: mi par vedere se capita a le sue mani che non gli potrò ficcare in testa che io gliene voleva mostrare e dirgli chi è colui che mi manda cotali novelle. Dio sa se perle o ducati hanno potere di farmi d’altri!». Lo sciloppato, udendo ciò, temperata la collara e stato un pocolino sopra di sé, ti chiamarà dicendo: «Eccolo, non più: che non ho altra fede [che] in te; io ho letto il tutto, e non ti mancaranno perle. E ti prego che non mi dica il nome di chi ti fa sì magnifiche offerte, perché forse forse...»; e qui tacendose, gli dirai: «Io non vi ho mai voluto dire i tormenti che io ho e da imbasciadori e da... e basta: io son vostra e voglio essere, e quando sarò morta sarò ancor vostrissima».
Pippa
Apritimi dove la trama riuscirà.
Nanna
A non aver più pace l’animo del trovatore de la lettera anzi, ognuno che vedrà per la tua strada, crederà che sia o chi te la mandò o ruffiano suo: e per non darti cagione di accettare le proferte, verrà via di bello. Ora a questi Mantovani, non vo’ dir Ferraresi, che appena sono smontati a lo alloggiamento che vanno amoreggiando: come i lor ricamuzzi e i taglietti che gli desertano il saio e il giubbone, avessero i privilegi di fargli spedir gratis (dicano in Palazzo). Pippa, se i fottiventi ti vengano ne le branche, spia bellamente quando parteno; e calcula il tempo che ci hanno a stare con gli anelli, con le medagliette, con le collanuzze, con le vesticciuole e con l’altre tavernine che gli vedi intorno: perché nei denari puoi far poco fondamento; e per non ci aver per avventura a ritornar mai più, non ti curare che ti laudino o vituperino.
Pippa
Sarà fatto, ma che sapete voi dei lor denari?
Nanna
Io so che non ne portano mai tanti che bastino per tornarsi indrieto, e se ti impacci seco, spogliagli di cotali frascarie, se non tu rimarrai con le mani piene de le lor cortigianarie d’ambracane.
Pippa
Se mi ci chiappano, a rifar del mio.
Nanna
E caso che alcuno dorma teco, adocchia ogni suo lavoro, e di camiscia o di scuffia da la notte; e la mattina, inanzi che si levi, fà venire una giudea con mille goffezze: e paragonate che tu l’arai con le mantovanarie, falle portar via o tu le buglia in terra, e adirati con teco e con il cucù, e borbotta tanto che ei venga a proferirle; quando no, rinvitalo a dormir e saccheggialo per forza o per amore.
Pippa
Quando eravate giovane, facciavate voi tutte le cose che volete che faccia io?
Nanna
Al mio tempo era un altro tempo, e feci quel che io seppi, come udirai se ti fai leggere la mia vita posta in istampa dal malanno-che-Iddio-gli-tolga: vo’ dir così acciò che, se chi l’ha fatto è bizzarro, non mi facesse peggio che non ti faranno i tuoi innamorati bestiali se non ti saprai mantener con loro. Ma tu potresti dire «Io non mi impacciarò con tali», ma non puoi farlo.
Pippa
Perché no?
Nanna
Perché, avendo tu a esser savia come dei, anco loro ti bisigaranno intorno: e perciò lasciagli sfuriare quando si adirano, e serra le orecchie al «puttana porca poltrona» che ti diranno in un fiato; e benché taglino a traverso il mappamondo con le parole che essi affogano ne lo sputaccio col quale spruzzano il viso di chi gli è presso, non ne sarà altro; e in meno di due credi tornano in buona e ti chieggano perdonanza, ti donano, e ti si vorrebber mettere nel core. E a me piacque il conversar con simili, perché quel nonnulla che gli fa stizzare gli fa anco pacificare; e assimiglio la lor collera a un rannuvolarsi di luglio: che tuonando e balenando, doppo venticinque gocciole piovute giuso, eccoti il sole. Sì che sofferenza ti sarà ricchezza.
Pippa
Sofferiamo, che sarà?
Nanna
Sarà che ognuno ti trarrà dirieto fino a la morte. Ora ecco a te un trincato, un doppio, un volpon vecchio, il quale pesa tutti i tuoi andari; e suso ogni paroletta fa una disputa, cenna col piè al compagno, torce il muso chiudendo l’occhiolino, come dicesse «A me, ah?»: e tu salda, non ti guastando mai, anzi fa sempre la semplice e la babiona, non gli chiedere e non gli contrastare; s’ei ti favella, favellagli, s’ei ti bascia, bacialo e s’ei ti dà, togli; e usa una arte sì bella che egli non possa giugnerti ne la ghiottoneria. Anzi fa che cominci a dir seco stesso che tu sia me’ che il pane: non ti lasciando perciò sarchiar l’orto se non ti paga il terreno nel quale vuole spargere il seme; e si come egli si aiuta con ogni sua gherminella per non si lasciare intendere, così tu ti aiutarai con ogni tua astuzia di far sì che egli confessi che in te non è cosa che non s’intenda. Onde è forza che il menda-squarsci ti fidi la sua sfedata fede; e andando da Baiante a Ferante, egli sarà tuo, e tu non sarai sua se non quanto vorrai essere.
Pippa
Mi maraviglio, mamma, che voi non teniate scola addottorando la gente in così fatte galantarie.
Nanna
Io ho una parte in me che rifarebbe una imperadrice, io non son boriosa: era ben già, Dio mel perdoni. Ma non perdiam tempo: e impara a corrucciarti e a far pace con i tuoi seguaci come io ti insegno; e non ti paia troppo lungo libro questo che io cerco che tu sappia a correlingua: perché il puttanesimo ha tanto ingegno che, senza maestro, in otto dì sa molto più che non si pò sapere; or pensal tu se trasandarai avendo la Nanna per guida.
Pippa
Purché sia così.
Nanna
Così sarà, non dubitare. Corrucciati con grazia, Pippa: fallo in un certo andare che ognuno ti dia ragione. Se l’amico tuo ti prometterà Roma e toma, statti spettando la promessa un dì o due senza fargliene motto; passato mezzo il terzo dàgli un bottoncino; ed egli: «Non ti dubitare, che vedrai e basta»; e tu mostrati allegra ed entra in ragionar del Turco che dee venire, del papa che non crepa, de lo imperadore che fa miracoli, e del Furioso e de la Tariffa de le cortigiane di Vinegia, che dovea dir prima; poi lasciati cadere il mento in seno e ammutisce in un tratto, e pensa e ripensa un pezzo; e levandoti suso, dì con voce fioca: «Io non l’arei mai creduto». In questo mi par veder lo indugia-presenti dirti: «Che ci è di nuovo?»; e tu a lui: «Dove foste ier sera?»; e senza volerne altra risposta, fuggiti in camera e serratici drento; e s’ei picchia, lascialo picchiare; s’egli abbaia, lascialo abbaiare: che io per me gli darò sempre il torto, e giurando gli affermarò che ti è suto detto che viene a spassar teco il martello che egli ha con la tale. E son certa che se ne andrà giù per la scala bestemmiando e negando; e volendo ritornar ivi a un pezzo, o allotta o il dì che viene, fagli risponder che hai da fare o che sei accompagnata.
Pippa
Sì, sì: la pace si farà col portarmi la promessa a doppio.
Nanna
Ora sì che io son certa che tu sarai tu con altro viso che io non sono stata io. Attendimi pure: usa anco una foggia di corrucci fatti con la tua pasta, cioè corrucciati teco medesima nel più bello del motteggiare, e acconciati là con la palma a la guancia.
Pippa
E perché questo?
Nanna
Per far che egli, che non pò star senza te, venga a te dicendo: «Che griccioli son i vostri? sentitevi voi male? màncavi niente? parlate»; e ti darà del voi per placarti. E tu rispondi «Deh lasciami stare, io te ne prego orsù, levamiti dinanzi levati de qui, dico, che sì, che sì tu cerchi rogna», dandogli sempre del tu per parer di prezzarlo poco. E ciò farai perché egli ti toccarà per farti ridere: le quali risa fa che non ti scappino dal volto né dagli occhi se non ti dà qualche cosa; e dandotela, a sua posta s’ei dice che anco i bambini si corruccino fuor di proposito e fanno la pace daendosigli de le cucche.
Pippa
Queste son favole: io vorrei che voi mi dicessi come si fa la pace con uno assassinato, poniam caso, da me o io da lui.
Nanna
Io tel dirò: s’avviene che lo assassinamento venga dal canto tuo, come si dee arcicredere che venga, china le spalle e parla onesto, dicendo con ognuno: «Io ho fatto da giovane e da pazza e da trascurata femina, il diavolo mi accecò, io non merito perdonanza; e s’Iddio mi scampa di questa, mai più mai più esco dei suoi comandamenti»; e levando il turaccio al tino de le lagrime, piagni più che se tu mi vedesse fredda ai piedi: che Iddio me ne guardi e conduca a tale chi mal ci vuole.
Pippa
Amen.
Nanna
Lo schiamazzio e il pianger che tu farai gli sarà riportato a staffetta, perché un tale ti tien sempre le spie: e chi gliene raccontarà con lo aggiugnerci qualche cosetta del suo, lo farà mutar fantasia; e benché giuri di mangiarsi prima le mani per fame che favellarti, e che egli possa esser dato a la beccaria dai suoi nimici, con l’altre filastròcchele che cascano fra i denti a chi si lascia trasportar da l’ira, non ne sarà nulla, né andrà ne lo inferno per tali sboccamenti, perché messer Domenedio non fa conto degli spergiuri degli innamorati, i quali non ponno far testamento mentre anfanano in albagia ammartellata. E quando pure la ostinazione durassi in lui ostinato fin entro ne le fasce, scrivegli una bibbia: và e trovalo a casa e mostra di volergli spezzar la porta; e non ti aprendo, pazzeggia con parole alte, maladisci. E non ti giovando, fà vista di volerti impiccare: ma guarda che lo scherzar non torni da senno, intervenendo a te come a non so chi in Modena.
Pippa
Oh! se io mi appicco né da beffe né da dovero, che io sia impiccata.
Nanna
Ah! ah! ah! Eccoti il verso di sciorre il nodo: fà la cerca per casa, per i forzieri e per ogni buco, e fà un fardello di sue camisce, di sue calze e di ciò che ci è di suo, fino a un paio di pianelle logre, guanti vecchi, berretta da la notte e ogni ciabatteria; e si hai maniglie o anello che ti abbia dato, rimandagliene.
Pippa
Non farò.
Nanna
Fallo pur sopra di me, perché l’olio santo di chi lavora in estremo amando, è il vedersi restituire i doni offerti a la manza: per i quali si chiarisce de la stima che si fa di lui e de la robba sua. Onde viene in tanto dolore, che la minor pazzia che faccia è il trarre i sassi: e senza più indugio pigliarà le merciarie e te le rimandarà del certo.
Pippa
E s’egli fosse uno spilorcio?
Nanna
Gli spilorci non danno e non lasciano cosa di valuta: perciò arrischiati a far l’atto che io ti dico; e se non si fa la pace di marcone, dimmi che io sia una ignocca. Come sono alcune che si piantano là distese; e purché sieno tenute de le prime, gli par aver acconci i fatti suoi vendendo le lor carni a libbre e a chi più ne dà: e son pur carni, e non massarizie d’incanto. Poverette poveracce, che non sanno il fine che nel principio e nel mezzo si accorda con gli spedali e coi ponti, dove elle, sfranciosate, sconquassate e deserte, fan recere qualunche le può sofferire di guardare. E ti dico, figlia, che il tesoro che hanno trovato gli Spagnuoli procaccini nel Mondo Nuovo, non pagaria una puttana per brutta e disgraziata che ella sia: e chi pensa finamente a la vita loro, peccarebbe dannatamente a non confessarlo. E che io favelli con la bocca de la verità, eccone là una obligata a costui e a colui: ella non ha mai una ora di riposo, né se va né se sta, né a tavola né in letto; perché, avendo sonno, non può dormire; anzi bisogna che ella stia desta e faccia carezze a un rognoso, a un che ha la bocca di sterco, a un bufolaccio che la pesterà tutta quanta, e s’ella nol fa, i ramarichi sono a l’ordine, e «Tu non mi meriti, tu non sei degna di me, s’io fosse quel poltrone o quel furfante, tu vegghiaresti». S’ella è [a] tavola, ogni mosca gli pare un baco; e nel dare un boccone a chi che si sia altri, bronfia e fuma per la rabbia, masticando pane e gelosia magra. S’ella va, eccolo in furia, e con dir «Trama ci è», ti tien la favella, bandendo per le piazze il tradimento che gli pare che gli sia suto fatto: e portando odio a questo e a quello, non truova luogo. S’ella sta, e abbia quel non so che che spesso spesso fa stare altrui tutto maninconoso senza aver maninconia, onde non puoi fare la cera che tu suoli, il sospetto si distringa: e «Io ne era chiaro, io ti puzzo, io so ben dove ti duole, ben lo so bene; a te non mancaranno uomini, né a me donne per denari, che puttane ci sono a iosa». Ma questi sarieno manuscristi e morselletti dorati non ci essendo quel vituperio vituperoso che manda il lezzo in abisso non che in Cielo: noi siam menate e rimenate per tutti i versi e di dì e di notte, e chi non consente a tutte le sporcarie che si sa pensare, si mor di stento. Chi la vuol lessa e chi la vuole arosto, e hanno trovato il «conno indrieto», il «gambe in collo», «a la giannetta», la «grue», la «tartaruga», la «chiesa in campanile», la «staffetta» il «pascipecora» e altre attitudini più strane che i gesti dichi atteggia: talché io che posso dir «Mondo fatti con Dio», mi vergogno a dirlo. Insomma oggidì si fa notomia di qualsivoglia signora, e perciò sappici esser, Pippa, sappilo fare: altrimenti a Lucca ti viddi.
Pippa
Meffé sì che ci vuole altro a esser cortigiana che alzarse i panni e dir «Fà, che io fo», come dicesti dianzi, e non ne sta nel buona robba: voi sète indovina
Nanna
Come uno spende dieci ducati in cavarsi tutte le voglie che si pon cavare di una giovane, egli è suto crocifisso a Baccano; e come ci fanno uno straccio intorno, il popolo strabilia e va chiacchiarando per tutto come la tal traditora ha rovinato il cotal garzone. Ma quando giuocano le costole del petto rinegando il battesimo e la fede, son laudati, che se ne spenga il seme. Lascimiti fornir di contare quello che io ti ho promesso e poi consumarò tutto domani in leggerti il calendario degli uomini ladroni; e ti farò piagnere mentre che io ti dirò le crudeltà e i tradimenti che i turchi, i mori, i giudei fanno a le feminucce; e non è tosco, né pugnale, né fuoco, né fiamma che ci possa vendicare: e io per me ne ho due paia in su l’anima, e me ne son confessata e non me ne son confessata
Pippa
Non vi stizzate.
Nanna
Non può far che i ribaldi che me la faccino salire: e udirai come sanno ritorre quel che danno, e la valentigia loro in isfregiare e in dar trentuni. Ora io non vo’ che sia il dirieto consiglio che io ti ho a dare circa la ciancia, la maniera e il modo che hai a usare negli intertenimenti: perché son la chiave del giuoco.
Pippa
Qui vi voleva io.
Nanna
E qui mi hai. Lo intertenere con quella certa ciarlia che non vien mai in odio, è il limone che si spreme ne le coradellette soffritte ne la padella, e il pepe che ce si spolverizza suso ed è una dolce novella, quando ti ritrovi a trebbio con diverse generazioni, sodisfacendo a tutti con un berlingare che non venga in fastidio; e han pur troppo del buono alcuni motti insalati e alcune strettine che si danno a chi entra sul volertici còrre: e perché i costumi altrui son di più ragioni che le fantasie de le persone, studia, spia, antivedi, considera, pon mente, asottigliati e crivella i cervelli di tutti. Ecco a te uno spagnuolo attillato, odorifero, schifo come il culo d’uno orinale, che si rompe tosto che si tocca; la spadiglia a canto, fumoso, il mozzo dirieto, «Per vida de la imperadrice», e con l’altre sue lindezze a torno. E tu a lui: «Io non merito che un si gran cavaliere mi faccia cotanti onori; vostra Signoria copra la testa: io non la ascoltarò se quella non se la copre»; e se le «vostre Altezze» che ti darà nel capo e i basci coi quali ti succhiarà le mani, fossero l’archimia di arricchirti, tra quelle e le cerimonie sue tu avanzaresti la redità di Agostin Chisi.
Pippa
Io so ben che non ci è guadagno con loro.
Nanna
Tu non hai da fare altro seco che render fume per vento, e fiato per quei sospiri che sanno sì sbudellatamente formare: inchìnati pure ai loro inchini, basciandogli il guanto, non che la mano e se non vuoi che ti paghino de la vincita di Milano, disbrigategli dianzi il meglio che sai.
Pippa
Farollo.
Nanna
Stà salda. Un francioso, aprigli tosto, aprigli in un baleno, e mentre tutto allegro ti abbraccia e a la carlona ti bascia, fa comparire il vino. E con tal nazione esci de la natura de le puttane, che non ti darieno un bicchier d’acqua se ti vedesser transire, e con due fette di pane, cominciate a domesticar l’amore insieme; e senza star molto in sul convenevole, accettalo a dormir teco, cacciando con bel modo ogn’altro. Intanto parrà che tu abbia a fare il carnasciale, tanta robba ti digrandinerà in cocina. Che più? Egli ti scapparà de l’unghie in camiscia: perché i bottiglioni, che sanno meglio perdere che guadagnare, e più facilmente scorda[r]si di se stessi che rammentarsi d’ingiuria che si gli faccia, non darà punto di cura se tu lo rubi o no.
Pippa
Franciosi da bene, che voi siate benedetti.
Nanna
Pensati pur che essi dan denari, e gli Spagnuoli coppe. I Todeschi mo’ son fatti d’un’altra stampa, e ci è da farci suso disegno: parlo dei mercatanti che s’imbertonano negli amori, non vo’ dir come nel vino, perché ne ho conosciuti dei costumatissimi, ma come ne le luteranarie; e ti daranno de granducati se gli saprai andare ai versi, non sbaiaffando che sieno tuoi innamorati, né che ti faccino, né ti dichino: pelali secretamente, che si lasciaranno pelare.
Pippa
Buon ricordo
Nanna
La lor natura è dura, acra e bestiale, e quando s’intestano una cosa, Iddio solo gliene caveria: e perciò ungegli con le dolcezze del sapergli conoscere.
Pippa
E che arò io a fare altro?
Nanna
Io ti vorrei confortare a una impresa, e non mi arrischio a farlo.
Pippa
A che?
Nanna
A nulla
Pippa
Ditemelo; che io il vo’ sapere.
Nanna
Non voglio, perché mi saria di biasimo e di peccato.
Pippa
Perché mi avete messo in fantasia di intenderlo?
Nanna
A dirtelo, che domin sarà. Se tu ti puoi rimescolare coi Giudei, mescolatici, ma con destrezza e trova scusa di voler comperare spalliere, fornimenti da letti o simili frascariuole: e vedrai che ci sarà ben qualcuno che ti rimetterà nel banco dinanzi gli avanzi di tutte l’usure e di tutti i rubbacchiamenti loro, aggiugnendoci fino agli aggi; e se puzzano di cane, lasciagli puzzare.
Pippa
Io credetti che voi mi volesse dir qualche gran cosa.
Nanna
Che so io? Il fetor di che essi ammorbano mi metteva pensiero a dirtelo. Ma sai tu come ella è: i guadagni sfoggiati di chi navica stanno nel pericolo de le galee dei Catelani, de lo anegare, de lo andar in man dei Turchi di Barbarossa, del romper la nave, del mangiare il pan secco e verminoso, del ber l’aceto adacquato, e degli altri disagi che ho inteso dir che ci sono; e se chi va per mare non cura né venti né piogge né stento veruno per ispacciare la sua mercatantia, perché non ha una cortigiana a farsi beffe de la puzza dei Giudei.
Pippa
Voi fate le simiglianze bellissime. Ma s’io mi impaccio con loro, che diranno i miei amici?
Nanna
Che vuoi tu che dichino se nol sanno?
Pippa
Come no?
Nanna
Non gnelo dicendo tu: il giudeo, perché non gli sieno peste l’ossa, starà zitto come un ladro.
Pippa
A cotesto modo si.
Nanna
Io ti veggo un fiorentino in camera con i suoi chiacchi-bichiacchi. A carezzarlo, perché i Fiorentini fuor di Fiorenza son simili a persone che hanno piena la vescica e non ardiscano di andare a pisciare per rispetto del luogo dove si trovano: che usciti di quivi, allagano uno spazio lungo lungo con l’urina che versa il lor pincone. Dico che son più larghi altrove che in casa stretti; oltra di questo, son vertuosi, gentili, politi, argutetti, saporitini: e quando non ti dessin mai altro se non la lor galante favella, non ti potresti tu contentare?
Pippa
Non io.
Nanna
Il mio è un modo di dire: basta che spendano al possibile, fanno cene papali e feste con altro garbo che non fan gli altri; e poi a ognun piace la lor lingua.
Pippa
Venitemi un poco in sui Viniziani.
Nanna
Io non te ne voglio informare: perché, s’io ne dicessi quanto meritano che se ne dica, mi sarebbe risposto «L’amore te ne inganna», e certamente egli non me ne inganna punto: perché son iddii e padroni del tutto e i più bei giovani e i più begli uomini e i più bei vecchi del mondo, e cavatigli fuor di quelle veste savie, tutto il resto de le genti parrebbero fantaccini di cera al paragone, e benché sieno altieri per aver di che essere, son la bontà ritratta al naturale. E ancorché vivino da mercatanti, circa il fatto nostro la fanno a la reale; e chi gli ha pel dritto è felice. E ogni altra cosa è burla, salvo i cassoni che hanno zeppi zeppi di ducati: e tuoni o piova se sa, che essi non te ne darieno un bagattino..
Pippa
Dio gli mantenga.
Nanna
Egli lo fa bene.
Pippa
Ma or che mi ricorda, chiaritimi perché la signora che ne tornò l’altro dì non ci ha saputo stare: e secondo che mia santola ha detto, se ne è tornata qui con venti paia di forzieri pieni di sassi.
Nanna
Ti dirò: i Viniziani hanno il gusto fatto a lor modo; e voglino culo e tette e robbe sode, morbide, e di quindici o sedeci anni e fino in venti, e non de le petrarchescarie. E perciò, figliuola mia, pon da canto le cortigianie e contentagli del proprio, se vuoi che ti gittino dirieto oro di fuoco e non ciance di nebbia. E io per me, sendo uomo, vorrei colcarmi con una che avesse la lingua melata, e non addottorata, e più mi saria caro di tenere in braccio una robba sfoggiata che messer Dante; e credo che sia altra melodia quella di una mano avventurata che fa le ricercate del liuto pel seno, fermandosi nel corpicello non troppo fitto in drento né troppo spinto in fuora; e il suono de la mano che dà de le sculacciatine nel consacrato de le meluzze mi par d’altra soavità che la musica che fanno i piferi di Castello quando i cardinali vanno a Palazzo in quei cappucci che gli fan parere civette in una buca. E mi par veder la mano che io dico spiccarsi dal suono e ripatriarsi nel corpetto: il quale, nel raccogliere e nel mandar fuor l’anscio, si alza e abbassa come farebbe una dipintura s’ella avesse lo spirito.
Pippa
O voi sète la sufficente dipignitrice con le parole: e mi son tutta risentita udendovi; e mi è parso che la mano che dite mi abbia tocco le pocce e... presso che non vel dissi.
Nanna
Io mi sono avveduta del tuo risentirti al viso: che ti si è tutto cambiato, poi fattosi rosso, mentre ti ho mostro quel che non si vede. E per saltarti da Fiorenza a Siena, dicoti che i Senesi pazzaroni son dolci matti, ancorché da parecchi anni in qua sono incattiviti, secondo il cicalar d’alcuni; e di quanti io ho praticati uomini, mi paiano il caffo. Essi tengano, circa le gentilezze e le vertù, del fiorentino; ma non sono sì scaltriti né sì tirati dai cani: e chi gli sa ingannare, gli scortica e rade fino al vivo; e sono pinchelloni anzi che no, e pratiche onorevoli e piacevoli.
Pippa
Faran dunque per me.
Nanna
Sì certo. Or oltre a Napoli.
Pippa
Non me ne ragionare, che solo a pensarci mi vien l’asima.
Nanna
Audi, signora mea, per vita di tua morte. I Napolitani son fatti per cacciar via il sonno, o per torne una scorpacciata un dì del mese, quando tu hai il tuo tempo nel cervello o sendo sola o vero accompagnata d’alcuno che non importa. Ti so dire che le frapperie vanno al cielo: favella dei cavalli, essi gli hanno dei primi di Spagna, di vestimenti, due o tre guardarobbe; danari in chiocca, e tutte le belle del Regno gli moiano drieto. E cadendoti o il fazzoletto o il guanto, lo ricolgano con le più galanti parabole che s’udisser mai ne lo seggio capuano: sì signora.
Pippa
Che spasso.
Nanna
Io soleva già far disperare un traditor che si chiama Giovanni Agnese, con isforzarmi di contrafarlo ne le parole, perché nei fatti il boia non lo contrafaria, sì è egli la schiuma de la ribaldaria dei ribaldi: e un genovese ne scoppiava de le risa; al quale mi rivoltai una volta e dissi: «Genova mia, superbia tua: per saper voi comprar la vaccina senza lasciarvi dar punto d’osso, noi altre potiamo civanzar poco a darvene». Ed è così: perché stracavano il sottile dal sottile e lo acuto de lo aguzzo; e son troppo buon massai, e la tringiano come si dee, e non ti darebbono tantino di più. Gloriosi nel resto non ti potrei dir quanto; amatori di gentil creanze napolitane aspagnolate, riverenti: facendoti parer di zuccaro quel poco che ti danno, non mancando mai di quel tanto. Tu a costoro falla saper buona, e mesura le tue cose come essi mesurano le loro; e senza farti stomaco con quel favellar in gorgia, col naso e col singhiozzo: tòtela come ella va.
Pippa
I Bergamaschi han più grazia che la lor favella.
Nanna
Ci sono anche dei dolci e dei cari, sì certo. Ma veniamo ai nostri Romaneschi: da le crocchiate salviti Rienzo. Figlia, se tu ti diletti di mangiar pane e prevatura, e punte di spade e di picche per insalata condita ne le belle bravate che i lor bisavoli solevano fare ai bargelli, impacciati seco. Infine il di del sacco ci cacò suso (con riverenzia parlando), e perciò papa Clemente non gli guatò mai più.
Pippa
Non vi scordate di Bologna: se non per altro, per amor del conte e del cavaliere già tutti di casa nostra.
Nanna
Scordarmene ah? Che sarieno le stanze de le puttane senza l’ombra di quei loro sperticati fusti,
nati qui sol per far numero ed ombra,

disse la canzona? Parlo in quanto a l’amore, e non a l’armi. Diceva frate Mariano, secondo che un bel pollastrone di. XX. anni tutto sua cosa mi raccontava, che mai vidde pazzi più paffuti né più ben vestiti. Onde tu, Pippa, fagli festa come a riempitori de la corte che tu arai; e pigliati piacere di quella lor favella spensierata e dolciona: e non è in tutto in tutto senza utile cotal pratica; e saria utilissima più che niuna altra se si dilettassero di capre come si dilettano di capretti. Il resto poi dei Lombardi lumaconi e farfalloni, tratta a la puttanesca, carpendone quel che tu puoi, e più presto, meglio: dando a ognuno del cavaliere e del conte nel mostaccio; e il «signor sì» e il «signor no» è il loro occhio. E con tali qualche truffetta non guastaria la minestra; ed è onesto a fargliene e vantarsene ancora: perché anche essi truffano le povere cortigiane e poi se ne vantano per tutte le osterie dove alloggiano. E acciò che tu sappi ciò che sia il truffare senza truffare, te ne vo’ dir due non dette a l’Antonia cicalaccia: anzi me le ho riserbate in petto pei casi che potessero intravenire.

Pippa
Oh! io ho caro di saperle.
Nanna
La prima truffa è bassa bassa, l’altra poi sarà alta alta. E per venir a la dolce, dico che io aveva una putta che mi si morì di tredeci anni, tuffolotta tuffolotta, bella bellissima, astuta, trincata, cattiva al possibile, gazzolatrice Dio tel dica: una cotal volpetta, una cotal sottopiattoncella da fuggirla. A costei insegnai io come ella dovesse fare a guadagnarmi, anzi a trafugarmi, i denari de le spese minute: e a che verso, Nanna? Imparato che ella ebbe a furar le grazie di chiunque mi capitava in casa, e domestico e forestiero, dando ciance ora a questo e ora a quello, di maniera che quello e questo non aveva altro giuoco che adastarla, io gli faceva tener in mano una scodella di porcellana spezzata in tre parti, e tosto che alcun gentiluomo bussava la porta ella tirando la corda si recava in capo la scala scapigliata, gridando con voce sommessa: «Oimè che io son morta, oimè che io sono spacciata», e facendo vista di volersene fuggir via, l’altra mia fante vecchia la teneva forte per un lembo de la gonnella dicendo: «Non far, non far, che la signora non ti farà male». Il non-ci-pensa, vedutola così sottosopra, tutto scompigliato la piglia pel braccio con dire: «Che cosa è? di che piagni tu? di che gridi?»; ed ella: «Sciagurata me, che ho rotto questa che costò un ducato: lasciatemi andare, che mi ammazzarà se mi ci giugne». E diceva così fatte bugie con una certa sorte di atti nuovi e con alcuni sospiri accorati e con una finzione di venir meno che aria mosso a compassione la giustizia del governator da la man mozza, non che il cavalier che veniva per cicalar meco: che mi stava a un fesso de la camera, con il grembiule in bocca per non esser sentita smascellare, mentre egli, più stretto che un pugno, le poneva in mano lo scudo, mettendolo a conto di limosina, e credeva crepare quando la vecchia gnele toglieva, e dandola giù per la scala, gli faceva credere di andare a ricomperarne un’altra.
Pippa
Che ladra.
Nanna
In questo io compariva in sala, ed egli: «Io vengo a far riverenzia a vostra Signoria»; e pigliandomi la mano, me la basciucchiava bavosamente. E postosi a giornear meco, stato così un terzo d’ora, la putta ne veniva a me con la sirocchia de la scodella rotta, e dicendomi «La vado a riporla in camera vostra», le diceva: «Che hai tu? che vuol dir che tu sei tutta accigliata?»; e la ghiottoncella marioletta lo accennava che non me dicessi la trama.
Pippa
Infine lo esser cortigiana va più oltre che il dottore.
Nanna
E così, accoccandola a ognuno che veniva, tenendo ora un bicchiere, ora una tazza e ora un piattello in mano, traendo e quando due e quando quattro e quando cinque giuli di questa borsa e di quella, le spese minute de la mia casa facevano di belle sdravizze. Ora a la grande.
Pippa
Ecco che io me la beo prima che la cominciate.
Nanna
Un officiale, un che d’uffici aveva presso a duemilia ducati di camera d’entrata, era innamorato di me sì bestialmente che ne purgava i suoi peccati. Costui spendeva a lune: e bisognava strologare, ti so dire, chi ne voleva cavare, quando egli non era in capriccio di darti. E quello che più importava, la bizzarria nacque il dì che egli venne al mondo; e per ogni paroluzza non ispiccata a suo modo entrava su le furie, e il cacciar mano al pugnale e accostartelo fino in sul viso col taglio era la minor paura che ti facesse: e perciò le cortigiane lo fuggivano, come i villani la piova. Io che ho dato la tema a rimpedulare, mi stava con lui a tutto pasto; e benché mi facesse dei suoi scherzi asinini, mi riparava saviamente, pensando sempre a fargliene una che scontasse il tutto. A la fine tanto pensai che io la trovai: e che feci? Io mi fidai d’un dipintore: di maestro Andrea, io il dirò pure; e gliene diedi alcune fettucce, con patto che egli stesse a l’ordine: e nascoso sotto il mio letto, con i colori e coi pennelli, mi scolpisse un fregio nel viso quando fosse il tempo. Mi apri’ anco con mastro Mercurio buona memoria: so che lo conoscesti
Pippa
Conobbilo.
Nanna
E gli dissi che, mandando per lui la tal sera, venisse a me con stoppa e uova: ed egli, per servirmi, non usci di casa il dì de la festa che io voleva fare. Ora eccoti che maestro Andrea è sotto il letto, e mastro Mercurio in casa, e io con l’ufficiale a tavola; e avendo quasi finito di cenare, io gli mentovai un camarier del Reverendissimo, al qual non voleva che io favellasse per nulla, appunto per farlo uscire: né bisognò troppo levatura al levato, e dicendomi «Slandra, sfondata, bandiera», nel volere io cacciargliene in gola con la mentita, mi diede in una gota una cotal piattonata col pugnale, che me la fe’ sentire. E io che ne la gaglioffa aveva non so che lacca oliata datami da maestro Andrea, me ne imbratto le mani e fregomele al viso: e con le più terribili strida che cacciasse mai donna di parto, gli feci credere al fermo che il colpo fosse giunto di taglio. Onde spaurito come uno che ammazza uno altro, datala a gambe, se ne fuggì al palazzo del cardinal Colonna; e serratosi ne la stanza d’un cortigiano suo amico, gridava pian piano: «Oimè, che io ho perduto la Nanna, Roma e gli uffici». Intanto mi rinchiudo in camera con la mia fante vecchia solamente; e maestro Andrea scovato del nido, in un tratto mi dipinse un fregio a traverso la guancia dritta, che guardandomi io ne lo specchio, fui per cascar in angoscia del triemito. In questo mastro Mercurio, chiamato da la trufaruola de la scodella spezzata, vien dentro con dir: «Non dubitate, che non ci è mal niuno», e dato agio a lo asciugar dei colori, acconciata la stoppa con olio rosato e chiara, e così fasciata la ferita con grazia e previlegio, e uscito in sala dove era concorso gran brigata, dice: «Ella non può campare»; e corsa la voce per tutta Roma, ne viene il sentore al micidiale che piangeva come un fanciul battuto. Vien la mattina: ecco il medico, che tenendo una candeluzza da un danaio accesa in mano, leva la cura; talché non so quante persone che avevano messa la testa drento a l’uscio de la camera, che aveva serrate tutte le finestre, ne lagrimarono, e non so chi, non gli bastando l’animo di veder sì crudel ferita, stramortì vedendola: e così il romore era publico de la mia faccia, a la più trista, guasta per sempre. E il malfattore, mandando denari, medicine e medici, cercava pure di ripararsi dal bargello, non si assicurando a fatto del favor colonnese. Passati otto dì, faccio dar nome che io scampo: ma con un segno più aspro, a una cortigiana, che la morte; e l’amico a volerla acquetar con gli scudi; e mettendo mezzi di qua e mezzi di là, tanto adoprò amici e padroni, che io venni a lo accordo, non mi lasciando mai vedere se non da un certo monsignor di fava sbaccellata che il praticava. Insomma cinquecento ducati si sborsarono per il danno e cinquanta tra medico e medicine, e io gli perdonai, cioè promessi di non perseguitarlo col governatore, volendo da lui pace e mallevadore: e questi furono denari che io spesi in questa casa, senza il giardino che io ci ho aggiunto di poi.
Pippa
Voi foste un valente uomo, mamma, nel farne una così fatta.
Nanna
Ella non è anco a le alleluia, e non ne verrei a capo uguanno se io te le volesse contar tutte: che in buona fé io non ho scialacquato il tempo che io son vissa, meffé no, che io non lo ho scialacquato, or và.
Pippa
Ce si conosce a l’uscio.
Nanna
Or via: non mi parendo che i cinquecento con i cinquanta appresso avesser tocco il palato al mio appetito, trovai una malizia puttanesca, puttanissimamente: e a che modo, tu? Io feci nascere un napolitano mariuolo dei mariuoli: e con nome di aver un segreto da levare ogni segno di taglio che nel volto altrui fosse stato lasciato per ricevere di ferita, venne a me dicendo: «Quando sia che si dipositino cento scudi, io farò sì che vi apparirà tanto d’immargine quanto ne appare qui», e aprendo la palma de la mano, la mostrò. Io mi scontorco, e dico con un sospir finto: «Andate e contate questo miracolo a chi è cagione che io non sia...», e volendo dir «più dessa» mi volto in là piagnendo gatton gattone. Il mariuolo con troppo onorevoli drappi a torno, si parte e va a l’ufficiale condotto fra male branche: e pongli inanzi la prova ch’egli frappa di fare. Or pensal tu se il crocifisso, nel disperar di non mi aver mai più a godere, depositò il centinaio. Ma a che fine alungartela? Il segno che non ci era se ne andò con l’acqua santa che sei volte mi spruzzò nel viso, con alcune parole che, parendo che dicessero mirabilium, non dicevan nulla: talché i cento piaceri (disse il Greco) vennero in man mia.
Pippa
Benvenuti e buono anno.
Nanna
Aspetta pure. Sparso il romor del mio esser rimasta senza un segno al mondo, ognun che aveva fregi sul mostaccio correva a la stanza del mariuolo come le sinagoghe correrebbono intorno al Messia s’egli fosse smontato in piazza Giudea; e il traditore, empita piena la borsa d’arre, tolse su i mazzi: parendogli che la discrezione che doveva avere io in premiarlo dei ducati che mi fece guadagnare, avessi avuto altri.
Pippa
L’ufficiale seppelo, inteselo e credettelo?
Nanna
Lo seppe e non lo seppe, lo intese e non lo intese, il credette e nol credette.
Pippa
Basta dunque.
Nanna
Ne la coda sta il veleno.
Pippa
Che ce n’è anco?
Nanna
E del buono ci è. Il mestolone, doppo tanti sborsamenti, per i quali si disse che vendette un cavalierato, si riconciliò meco per mezzo dei mezzani e per via de le sue lettere e imbasciate che mi cantarono il suo passio; e venendo a me per gittarmisi ai piedi con la coreggia al collo, componendo per la via alcune parole da rificcarmisi in grazia, passò da la bottega del dipintore che mi aveva dipinto la tavoletta col miracolo, che io diceva di portare in persona a Loreto: e affisandoci gli occhi, si vidde ritratto ivi col pugnale in mano, e sfregiar me poverina; e questo era niente, se non avesse letto di sotto:
IO SIGNORA NANNA
ADORANDO MESSER MACO,
BONTÀ DEL DIAVOLO CHE GLI ENTRÒ NEL BICCHIERE,
IN PREMIO DEL MIO ADORARLO,
EBBI DA LUI IL BARLEFFO
CHE MI HA GUARITO QUELLA MADONNA
A LA QUALE IO APPICCO QUESTO BOTO.
Pippa
Ah! ah!
Nanna
Altro viso fece egli leggendo il caso suo, che non fanno i vescovi ai patafi, sotto i piedi dei demoni che gli bastonano, quando sono scommunicati: e ritornatosi a casa tutto fuor dei gangari, con una vesta mi fece consentire a levare il suo nome de la tavoletta.
Pippa
Ah! ah! ah!
Nanna
La conclusione è questa: il bravo-a-suo-costo mi diede anco i denari per andare là dove io non mi botai: né bastò che io non ci volsi andare, che gli fu forza di farmi assolvere dal papa.
Pippa
È possibile ch’egli fosse sì insensato, che venendo a voi non vedessi che nel vostro viso non ci fu mai fregio?
Nanna
Io ti dirò, Pippa: io tolsi non so che cosa, simile a la costala d’un coltello, e me lo fasciai ne la gota stretto stretto; e ve lo tenni suso la notte, e tosto che egli comparse me la sfasciai. Onde per un pezzo tu ti aresti creduto, vedendo il livido ch’era intorno a la carne infranta, che fosse stato un taglio risaldato.
Pippa
Così sì.
Nanna
Ti vo’ dir quella da la grue, e poi ti finirò il proposito che ti ho a finire.
Pippa
Ditela pure.
Nanna
Io finsi di volerla far segnata per la volontà di mangiare una grue con le pappardelle; e non se ne trovando da comperare, fu forza che uno mio innamorato mandassi a mazzarne una con lo scoppietto: e così l’ebbi. Ma che ne feci io? La mandai a un pizzicagnolo, il quale conosceva tutti i miei suditi (o «vasalli» che Gian Maria Giudeo chiamassi quei di Verucchio e de la Scorticata). Mi era scordato: io feci giurare a colui che me la donò di non dir nulla; ed egli dimandandomi ciò che importassi il dirlo, gli risposi che io non voleva esser tenuta ghiotta.
Pippa
Gli facesti il dovere. Ora al pizzicagnolo.
Nanna
Io gli feci intendere che non la vendesse se non a chi la comprassi per me; ed egli, che mi aveva servito in cotal vendite de l’altre volte, mi intese a la bella prima: e a pena l’appiccò in bottega, che un di quelli che sapevano la mia impregnaggine le fu a dosso con dirgli: «Quanto ne vuoi?», «Ella non si vende», rispose il trincato per fargliene venir più voglia, anzi perché gli costasse cara; ed egli a scongiurarlo con dir «Costi ciò che vuole»; a la fine ne ritrasse un ducato. E mandatemela a casa per il famiglio, si credette che io mi credessi che gliene avesse donata un cardinale: e io, facendone festa, la rimando partito che si fu, a rivenderla. Che più? La grue fu comperata da tutti i miei amici, e sempre un ducato: e poi mi rivenne a casa. Or pàrti, Pippa, che sia burla il sapersi mantener puttana?
Pippa
Io stupisco.
Nanna
Veniamo ormai a la via che tu debbi tenere in pigliar pratiche.
Pippa
Sì, che importa il tutto.
Nanna
Verranno a te cinque o sei uccelli nuovi, e saranno in compagnia di qualche tuo domestico; fagli una accoglienza signorile: ponendoti seco a sedere, entrando in ragionamenti piacevoli e quanto più onesti che tu puoi; e mentre favelli e ascolti squadra i garbi loro, e ritrae dai modi che tu gli vedi tenere quel che se ne può ritrarre, e scantucciato con galantaria il tuo conoscente, dimanda de la condizione di ciascuno; poi ritorna a bomba, e al più ricco affige il guardo, e con gesto lascivo il vagheggia facendo il morto di lui; e non levar mai i tuoi occhi dai suoi senza sospiri, e imparato solamente il nome suo, nel dipartirsi digli «Io bascio la mano a vostra Signoria tale»; agli altri «Io mi vi raccomando». E fatti a la gelosia tosto che ti escano di casa, né ti lasciar rivedere se non quando egli si rivolge indrieto donneandoti, e in quello che stai in perderlo di vista, spigneti tutta tutta fuore, e mordendoti il dito minacciandolo, fagli segno che ti abbia insaponato il core con la sua divina presenzia, e vedrai che ti ritornarà a casa solo, con altra sicurtà che non venne accompagnato: e fà tu, Pippa, poi.
Pippa
Bello vedervi favellare.
Nanna
Ti vo’ dire una cosa ora che io l’ho ne la mente: non rider mai col parlare ne l’orecchia a chi ti siede a lato, né a tavola, né al fuoco, né altrove, perché è una de le cattive pecche che possino aver le donne, e da bene e puttane, né si cade mai in cotal menda, che ognuno non sospetti che tu ti facci beffe di lui: ed escene spesso di matti scandoli. Doppo questo, non comandare a le fanti in presenzia de la gente, facendo la reina; anzi quello che puoi far da te fallo: che ben si sa che tu hai de le serve e che, avendole, gli puoi comandare; e non gli comandando con grandezza, ne acquisti benivolenzia; e chi ti vede, dice «Oh che gentil creatura, con che grazia ella si adatta a fare ogni cosa». Caso che ti sentano fumare e minacciarle, non si spacciando in ricoglierti uno stecco che ti sia caduto di mano o in forbirti una pianella, fanno giudizio che guai a chi tu ti cogli sotto mostrandosi l’uno a l’altro la tua superbia coi cenni.
Pippa
Ricordi santi, ricordi buoni.
Nanna
Ma dove lascio io il tuo sapere essere a un convito dove sarà una mandra di cortigiane, la natura de le quali fu sempre invidiosa, ritrosa, scandolosa e fastidiosa? Tu mi conoscerai quando tu non mi averai.
Pippa
Perché mi dite voi cotesto?
Nanna
Per non te lo avere a dire, te lo dico. Eccoti a un pasto dove sono invitate, sendo il carnasciale, parecchi e parecchi signore: le quali compariscano in sala tutte in mascara, ballano, seggano e parlano senza volersela cavar dal viso; e fan bene a star così mentre la turba che non ha a cenar con loro si sta godendosi del suono e del ballo; ma fanno poi male, quando si lava le mani, a non voler mangiar a la tavola apparecchiata per ognuno, e chi va in qua e chi va in là, e bisognaria fare le camere per negromanzia per contentar tutte quelle che vogliono mangiar sole con gli amorosi, scompigliando la cena, la festa la casa, i servidori, gli scalchi, i cuochi e il malanno e la mala pasqua che Iddio gli dia: e ogni dì sia anno e pasqua per loro.
Pippa
Fastidiose.
Nanna
Speranza, io ti vo’ insegnar qui a cavar con la tua gentilezza il core a ognuno.
Pippa
Certo?
Nanna
Certissimo.
Pippa
Ditemi come e pagatevi.
Nanna
Spiegati là, senza fartene punto pregare, e assèttati in quel luogo che ti si mostra; e dì: «Eccomi qui, tale quale mi ha fatto chi mi fece»; tu toccarai così dicendo il ciel col dito, bontà de le laude che ti daranno fino agli spedoni di cocina.
Pippa
Perché si fuggano elleno per le camere?
Nanna
Perché si vergognano dei paragoni. Chi è grimma non vuol parer d’essere; chi è brutta non patisce che una bella gli stia presso; chi ha i denti fracidi non vuole aprir la bocca dove sia chi gli abbia scasciati; altra che non ha la veste, la collana, la cinta e la scuffia che ha questa e quella, parendole essere il seicento e da più di tutte ne l’altre cose, starebbe prima a patto di morire che farsi vedere in publico. Alcuna il fa per dapocaggine, altra per pazzia, e altra per malizia, e più oltra ti dico che, staendosi da loro stesse, dicano il peggio che sanno o che possono l’una de l’altra e «Quella filza di perle non è la sua, quella cotta è de la moglie del tale, quel rubino è di messer Picciuolo, e del Giudeo la cotal cosa», e così si imbriacano di maldire e di più ragion vino. Ma se gli rende agresto per prugnole da chi cena dove te: alcuno dice «La signora tale fa bene a nascondere la sua malagrazia», altri grida «O signora cotale, quando pigliate voi l’acqua del legno?»; altri ride a più potere del marchese ch’egli ha conosciuto negli occhi di colei e di costei, altri loda per uomo d’un grande animo il buon lasciami-stare per arrischiarsi a dormire a canto de la sua diva più simile al satanasso che a la versiera: a la fine, voltandosi tutti a te, ti offeriranno l’anima e il corpo.
Pippa
Io vi ringrazio.
Nanna
Quando tu sarai dove ti dico, fatti onore: che a te facendolo, a me lo fai. Accaderà che andrai al Popolo, a la Consolazione a San Pietro, a Santo Ianni e per l’altre chiese principali e di solenni: onde tutti i galanti signori, cortigiani, gentiluomini, saranno in ischiera in quel luogo che gli sarà più commodo a veder le belle, dando la sua a tutte quelle che passano o pigliano de l’acqua benedetta con la punta del dito, non senza qualche pizzicotto che cuoca. Usa, in passare oltra, gentilezza: non rispondendo con aroganza puttanissima; ma o taci, o dì con reverenzia o bella o brutta: «Eccomivi servitrice», che, ciò dicendo ti vendicarai con la modestia. Onde, al ritornare indirieto, ti faranno largo e te si inchineranno fino in terra: ma volendo tu dargli risposte brusche, gli spetezzamenti ti accompagnerebbeno per tutta la chiesa, e non ne saria altro.
Pippa
Io ne son certa.
Nanna
Nel porti poi inginocchioni, stà onestamente suso la predella del più guardato altare che ci sia, col libricino in mano.
Pippa
A che fare il libricciuolo, se io non so leggere?
Nanna
Per parer di sapere: e non importa se tu lo voltassi ben sottosopra, come fanno le romanesche perché si creda che elle sien fate, e son fantasime. Orsuso mo’, a le qualità dei giovanastri: nei quali non porre speranza, facendo disegno ne le promesse loro, perché non sono istabili; e aggirando tuttavia come il cervello e il sangue che gli bolle, si innamorano e snamorano secondo che si imbattano a innamorarsi; e se pur pure gliene dai talvolta, fatti pagare inanzi. E trista a te se ti incapestri, né in loro né in altri: perché innamoracchiarsi sta bene a chi vive di rendita, e non a chi ha da vivacchiare di dì in dì; e quando non fosse mai altro, tosto che sei impaniata, sei disfatta: perché l’animo che è fitto a un solo, dà licenzia a tutti quelli che solevi accarezzar del pari. Onde puoi far conto che una cortigiana ammartellata d’altro che de le borse, sia uno tavernaio ghiotto e imbriaco: il quale si mangia e si bee ciò che doveria cavarsi di corpo per vendere.
Pippa
Voi le sapete tutte tutte tutte.
Nanna
Mi par sentire sfracassarti la porta da un capitano (o Iddio, oggidì ognun si chiama «il capitano», e mi par che fino ai mulattieri salgano al capitaniato): dico sfracassare, perché le fanno picchiare con bravaria, per parer di esser bestiali, parlando tuttavia con alcuni dettaregli spagnuoli, mescolandoci dei franciosi ancora. Non dare udienza a cotali tentenna-pennacchi; e se pur gli ami, fidati di loro come ti fideresti dei zingani, perché son peggio che i carboni, che o cuocano o tingano: gran gracchiare che fanno con lo aspettar de le paghe; e chi vuole esser pagata del calare che vogliano che faccia il re e de le vincite che farà la madre Chiesa, diègli da far la ninna; ma chi brama denari, lodagli per Orlandi dal quartieri, e tiri via: altrimenti ne portarà la testa rotta, come farà anco dai gavinelli giovanacci mattacci, che il maggiore onor che ti faccino è il bandire i difetti del tuo diritto e del tuo roverscio, vantandosi che ti fanno trarre e menar di bello.
Pippa
Baionacci.
Nanna
In gran pelago si arrischia di notare chi diventa puttana per cavarsi la foiaccia e non la fame: chi vuole uscir di cenci, dico, chi vuol distrigarsi dagli stracci, sia saviolina, e non vada zanzeoni coi fatti né con le parole. Eccoti una comparazioncina calda calda: perché io favello a la improvisa, e non istiracchio con gli argani le cose che io dico in un soffio, e non in cento anni come fanno alcune stracca-maestri-che-gli-insegnano-a-fare-i-libri, togliendo a vittura il «dirollovi» il «farollovi» e il «cacarollovi», facendo le comedie con detti più stitichi che la stitichezza; e perciò ognuno corre a vedere il mio cicalare, mettendolo ne le stampe come il Verbum caro.
Pippa
A la comperazioncina.
Nanna
Un soldato che è valente in isgallinare i pollai dei villani e in dilungare i canonici dei prigioni solamente, passa per poltrone e a malo stento ha la paga: così mi dice un de la guardia, dice anco che chi combatte e fa de le prove, è cercato da tutte le guerre e da tutti i soldi del mondo. E così una puttana che sa farsi lavorare e non altro, non esce mai d’un ventaglio spennacchiato e d’una vesticciuola di ser ermisino. Sì che, figliuola, o arte o sorte bisogna: e quando io avessi a chiedere a bocca, non ti nego che io non volessi più tosto sorte che arte.
Pippa
Perché?
Nanna
Perché ne la sorte non è fatica niuna; ma ne l’arte si suda, ed è forza strolagare e viver d’ingegno, come mi pare aver detto. E che sia il vero che ne la sorte non ci sia scropoli, guarda quella furfanta gaglioffa lendinosa de la tu-m’intendi, e chiarisciti.
Pippa
O non è ella ricca a macca?
Nanna
E perciò ti dico io: ella non ha grazia, non ha vertù, non ha fattezza niuna che le stia bene a dosso; non ha persona, è goffa, passa la trentina: e con tutto questo par che ella ci abbia il mèle, sì le corre ognun drieto. Sorte, ah? sorte, eh? dimandane i famigli, i ragazzi, i ruffiani, e nol mel far dire, poiché la sorte gli fa signori e monsignori: e ciò vediam noi tuttodì. Sorte, eh? sorte, ah? Messer Troiano scarpellava i mortai, e ora ha il bel palazzo; sorte, eh? sorte, ah? Sarapica stregghiò i cani, e poi fu papa; sorte, ah? sorte, eh? Acursio era garzone di uno orafo, e diventò Iulio secondo; sorte, eh? sorte, ah? E certo quando la sorte e l’arte sono in una puttana, susum corda: perché cotal cosa è più dolce che quel «costì costì» che si dice allor che il dito, il qual ti gratta, doppo il «più giù, più su, più là, più qua», trova il bruscolino che ti rode; ed è beata chi ce le coglie tutte due. Arte e sorte, ah? sorte e arte, eh?
Pippa
Tornate dove mi lasciasti.
Nanna
Io ti lasciai al disconfortarti de la amistà dei giovanacci budelloni, e da quella dei capitani nel pennacchio; e ti diceva che gli sfuggissi, come anco ti dico che corra dietro a le persone riposate: perché non ti daranno men denari che costumi
Pippa
Un poco più baiocchi e manco gentilezze
Nanna
Egli è così; tuttavia le persone riposate danno del continuo di questi e di quelli: e perciò chi è di sì dolce natura è il fatto nostro, perché in mantenersi con tali si ha il piacere d’una balia che dà il latte, governa e alleva un cittino senza rogna, il quale non piagne mai né dì né notte Volgiti poi ai fastidiosi misericordia, con simili spògliati la superbia che noi donne puttane portiamo da la potta che ci cacò e quando i rincrescevoli ritrosescamente ti favellano, ti gridano, ti rimproverano e motteggiando ti offendano, stà in quella scrima che usa chi scherza con l’orso: e sappi fare in modo che gli asinacci non ti giunghino coi calci, e fà che ti lascin sempre del suo pelo in mano.
Pippa
S’io nol faccio, che mi dipinghino.
Nanna
Doppo a cotali fère, vengano gli spadaccini: quei bravi-in-casa-e-intorno-al-boccale, e poi non darebbero nel culo a Castruccio, e non restando mai di far tagliate, ti porranno il mare in un bicchiere. O non sarai tu da più che l’Ancroia se gli fai stare fin del vestitello di maglia e de la spada che portano senza proposito a lato?
Pippa
Sarò.
Nanna
Tra l’una e l’altra spezie sono i mattacchioni, i quali hanno sempre le risa in sommo: e con quello «ah ah, ah» che gli rovescia indrieto spensieratamente, diranno a lettere di speziale ciò che ti han fatto e ciò che ti voglian fare, e siaci pur chi vuole, che allotta alzano le boci quanto più gente veggano, e lo fanno per natura e per mostrare il buon compagno, e aran per manco di alzarti i panni in presenzia di chi si sia, che di sputare in terra. E tu a dirgli villania scapigliandoli con la sicurtà che essi scapigliano te: e lo puoi fare, perché non pongano mente a cosa niuna, vivendo a la libera.
Pippa
Crederesti voi che simili brigate mi garbano.
Nanna
Tu me ti simigli avendoci il gusto. Ma dimmi, non ti ho io ditto che i bizzarri sono come le scimie, le quali si racquetano per una nocciuola, perché anche il mare, che è sì gran bestia, passatagli la stizza, fa men rimore d’un fossatello?
Pippa
Mi par de sì.
Nanna
Sì che io te ne ho favellato; ma degli ignorantacci no: infine, con tali che sono peggio dei poltroni, degli asini, dei miseri, dei bestiali, degli ipocriti, dei savi, dei taccagni e de il resto de le generazioni, non so regolarti. Essi hanno sempre a schifo il meglio; e ogni piacer che gli fai, son le tre acque perdute: i zoticoni te si avventano a dosso con niuna avvertenza ; e in ciascuno atto, con tuo danno e vergogna, fan fede de la lor castronaria.
Pippa
Perché con mio danno e vergogna?
Nanna
Perché, sendo senza costumi e senza sugo, siedano di sopra ai più degni, favellano quando hanno a tacere e stan queti dovendo favellare: onde son cagione dil privarti de l’amicizia de le persone da bene. Ed è chiaro che chi gli ha visti fra le dame facendo gli amori, vede tanti porci fiutar rose in un giardino: e perciò rompegli l’ossa col bastone de la prudenzia.
Pippa
Gli romperò anche il core. Ma i bizzarri e i fantastichi, non son tutti uno?
Nanna
Appunto: i fantastici son peggio che oriuoli stemperati, e son più da fuggire che i pazzi scatenati; e vogliono e non vogliono, ora son muti, ora assordano con le chiacchiere; e il più de le volte hanno la luna, né sanno perché. E santa Nafissa, che fu la pacienzia e la bontà istessa, non saperebbe essere coi grilli loro: e perciò il primo dì che gli conosci, fà seco fave e fagiuoli.
Pippa
Ubidirovvi.
Nanna
Che di’ tu dei sali-sapienzia-in-bocca-al-mammolo? Che crudeltà, che penitenza è a regnare con gli arcisavi: i quali, per non ispiegare le labbra che essi acconciano a lo specchio, non parlano mai, o se pur parlano, aprano la bocca con una diligenzia che rincastra le labbra ne le pieghe di prima; e sempre interpetrano le tue parole al contrario, mangiano per dottoraria, sputano tondo, guardano basso; vorrieno esser visti con puttane e non vorebbono che si sapesse; si guardano a darti in presenzia del servidore e han caro che sappino che ti dona.
Pippa
Che uomini son dunque questi?
Nanna
S’alcun viene mentre ti sono in casa, si ascondano in camera: e facendo il bau ai fessi de l’uscio, crepano sino a tanto che non ti fanno dire a chi è cagione del loro appiattarsi: «Messere è in camera». Doppo questo misurano il sonno, il vegghiare, il cibo, il digiuno, lo andare, lo stare, il far quel fatto il nol fare, il favellare, lo star queto, il ridere, il non ridere, e cotante cacarie fanno ogni atto, che le donne novelle ne perderebbero: e questo anco si comporta. Ma è pur troppo quando ti stuzzicano tanto che è forza dargli conto di quel che tu hai e di ciò che tu fai dei tuoi avanzi. E perché un savio, o che si tiene per dir meglio, ha de lo avaretto, lambiccando la fatica che è il guadagnargli, arteggia sempre col senno loro: e fingendo ogni tuo andamento, fà che tu sia la Sapienzia Capranica in fare scappucciar Salamone. E ho di buon luogo che non ci sono le più insalate pazzie di quelle che a la fine fanno i savi non amando: or pensa ciò che son quelle che gli sbucano del capo quando sono innamorati morti.
Pippa
E che gli farò io, dando ne le mie ragne cotali barbagianni.
Nanna
Hotti io detto nulla degli ipocriti?
Pippa
Madonna no.
Nanna
Gli ipocriti, che non sel toccano mai se non col guanto e i veneri di marzo e le quattro tempora hanno in divozione de le divozioni vengano a te guatton guattoni, e se gli dici richiedendoti de l’onor drietovia, «Co’ così drieto?», ti risponderanno «Noi siamo peccatori come gli altri» Pippa sorellina, tien secreto il fatto di costoro, né scargagliare, con il non poter tener l’olio, la lor poltroneria, che buon per te: i ribaldi, i nimici de la fede, poppano, pescheggiano e trapanano i buchi e le fesse al par di qualsivoglia gaglioffo; e trovando persone che sappino sepellire le tristizie di che si dilettano, danno senza misura e rinodatisi la brachetta, sempre cincischiano col menar de le labbra il miserere il domine ne in furore e lo exaudi orationem, avviandosi passo passo a grattare i piedi agli incurabili.
Pippa
Che siano atanagliati.
Nanna
Saranno anche peggio un dì, non dubitare; e le loro animucce si calpestaranno dai piedi di quelli avaroni, miseroni, porconi che fin col chiavare stanno in sugli avanzetti: con questi traditori bisognaria, per fargli uscire, l’arte che essi hanno in sapere metter da canto. Oh che penitenzia che è il cavargli i denari di mano! Né ti credere che il lor pero se le lasci tòrre per iscrollare: una mamma amorevole più di tutte l’altre non fa tante bagattelline al figliuolino che non vuole addormentarsi né mangiar la pappa, quanti bisogna fare atti intorno a uno avaro, e mentre ne cava fuora uno, il parletico gli vien fra le dita, e ogni moneta scarsa adocchia per darti. Con i traditori tendi i lacciuoli, e piglia i merloni a la trappola come si pigliano le volpi vecchie; e quando vuoi che venghino via, non chiedere a la grossa, ma beegli il sangue a ciantellini a ciantellini, dicendo: «Io non la posso fare a petizione di cinque ducati tignosi».
Pippa
Che, la veste?
Nanna
La vesta, sì. E così dicendo lo vedrai storcere come un che vorria fare il suo bisogno e non sa dove; e storcendosi masticare, grattarsi la testa, pigliarsi la barba e far di quei volti di matrigna che fa un giocatore che non ha né buon né tristo ed è invitato del resto: pur te gli darà rimbrontoloni. Avuti che tu gli hai, dagli una frotta di basci con mille muine; e stata così un tre dì, soffia, morditi le dita, e non gli far cera: e si egli ti dice «Che hai?», rispondegli: «Una pessima sorte ho, e di qui nasce che son nuda e cruda, e ciò mi avviene per essere troppo buona: che, se io fosse altrimenti, men di quattro scudi non mi terrebbero con questa gonnelluccia». Ed eccoti a mal partito il misero poltrone, con dirti: «Tu non ti empisci mai, tu gli gitti nel fango; to’ qui, e non mi romper più il capo, che non te ne darei un minimo»; e riserrando la scarsella andrà di subito a trovare il modo di rubàgli o a questo o a quello.
Pippa
Perché non gliene chiedere tutti in un tratto?
Nanna
Per non lo spaventare con la quantità.
Pippa
Vi intendo.
Nanna
Coi liberali, mo’, non accade astuzia asinina, ma leonesca: e quando se gli chiede, chieggasegli corampopolo, perché i boriosi crescano un somesso come gli publichi per grandi: che da grandi è il dare, se bene i grandi non l’usano e senza che gli dimandi tosto che entri in dire «Io voglio fare una robba in su le forge», diranti: «Purché ci sia brigata, và: che te la vo’ fare io». A costoro, figliuola cara, sia liberale tu ancora, e assettati come ti recano, e non gli disdir mai la cosa che ti chiede il loro appetito.
Pippa
È onesto che io il faccia.
Nanna
Avvertisci a certi che non ti darebbero un curiandolo, chiedendolo tu; altri non ti servirieno d’un danaio se tu non gli fosse con gli spiedi ai fianchi. Ai cortesi non dar legge, ma lascia fare a la lor natura, la quale sguazza donandoti del continuo; e pargli, dando senza richiesta, non ispendere puttaneggiando, ma guadagnare signoreggiando: perché, come ti ho detto, i signori doverebbero donare. Onde con simili non hai a fare altro che compiacergli e stimargli, non solo dirgli «Datemi e fatemi»; ma dandoti e facendoti, finge di non voler che ti dieno né che ti faccino.
Pippa
Molto bene.
Nanna
Ai somari (disse la Romanesca) non lasciar mai di non perseguitargli col «dammi» e «fammi»: perché i villancioni vogliono esser trafitti da cotali pungoli; ed essendoci gente quando gliene dici, l’hanno stracaro, acciò che paia che sien pratichi e non corrivi; oltra questo gli par pizzicar di gran baccalario facendosi pregare da la signora; e benché sieno parenti dei formiconi di sorbo, se scoppiassero, escano per bussare.»
Pippa
Usciranno o morranno.
Nanna
Non vo’ che mi si scordi: ancora che io dica e «tu» e «voi» nel favellar mio, fà che tu dica «voi» a ogni uomo, e giovane e vecchio, e grande e piccolo, perché quel «tu» ha del secco e non garba troppo a le persone. E non ci è dubbio che i costumi sono buon mezzani a farsi in suso: e perciò non esser mai prosuntuosa nei tuoi andari, e atienti al proverbio il qual dice «Non motteggiar del vero e non ischerzar che dolga». Quando sei e con gli amici e con i compagni di chi ti ama, non ti lasciare scappar cose di bocca che pungano; né ti venga mai voglia di tirare capegli o barba, o di dar mostacciate, né pian né torte, a niuno: perché gli uomini sono uomini, e toccandosigli il muso, torcano il ceffo, e sbrufano come son punto punto offesi e ho visto far di bestiali cenni, e fatti ancora, ad alcuna fastidiosa che piglia sicurtà fin di tirar le orecchie altrui: e ognun le dice «Ben ti sta».
Pippa
Meffé sì, che le sta bene.
Nanna
Una altra cosa ho da rammentarti: esci de la via de le puttane, che il non osservar mai fede è la lor fede; e stà prima a patto di morire che di piantare alcuno; prometti quello che tu puoi mantenere e non più, e vengati che partito si voglia, non dar la cassia coi piantoni a chi merita di dormir teco, salvo se venisse il francioso che ti ho detto. E venendo, chiama colui che dee venir la sera, e digli: «Io vi ho promessa questa notte, ed è vostra, perché io son vostrissima; ma io potrei guadagnare con essa una buona mancia: sì che prestatemela, che ve ne renderò cento per una. Un monsignor di Francia la vuole, e gliene darò se vi piace, e se non vi piace, eccomi al comando di vostra Signoria». Egli, vedendosi stimare, per donarti come savio quello che non ti può vendere, chinandosi al tuo utile, oltra che ti fa la grazia, te ne resta schiavo; ma se tu senza fargliene motto lo piantasse, andaresti a rischio di perderlo: e più anco che, lamenta [n] dosi de la villania che gli faresti, ti metteria in uggia di tutti quelli che ti avevano in fantasia.
Pippa
Onde sarebbe male sopra male, volete dir voi.
Nanna
Tu l’hai detto. Or scrivi questa: egli avverrà che tu sarai fra tutti i tuoi amanti; per la qual cosa debbi pensare che se i favori non vanno del pari, la mostarda sale al naso di chi ne ha meno. E perciò pesagli con la bilancia de la discrezione; e caso che l’animo vada più a uno che a un altro, fingi, mostralo coi segni e non con gesti sbracati; e fà sì che questo o quello non se ne parta adirato e con teco e col favorito: ognuno che spende merita; e se chi più ne dà più ne doveria avere, facciasi con bel modo, la via ci è per andare in tutti i paesi del mondo: sì che sappi fare, sappi vivere, sappici essere.
Pippa
Lo farò per eccellenza.
Nanna
Or questo è il punto: non ti dilettare di scompigliare le amicizie con il riportar di ciò che tu odi, sfugge gli scandoli e dove tu puoi metter pace, fallo. E intervenendo che la tua porta sia impeciata o arsa, rìdetene: perché sono i frutti che nascano degli arbori che gli ammartellati piantano nei giardini puttaneschi; né per villania che te si faccia o te si dica, non metter mai a le mani coloro ai quali puoi comandare. S’un ti fa dispiacere, tace; e non correre a dirlo piagnendo a chi muor per te e ha il cervello che gli fuma. E quando ti viene in casa uno di questi spassa-martello, non dir male di colei con la quale egli è in uno di quei corrucci che si ripacificano con tutte le vergogne e con tutti i danni di chi sbrascia; anzi riprendalo e dì: «Voi avete torto ’ adirarvi con lei, perché ella è bella vertuosa, da bene e aggraziata al possibile», e qui verrà che egli che de l’altro dì ritornarà a la mangiatoia, te ne arà obligo, ed ella che lo intenderà, te ne renderà il cambio, caso che alcuno dei tuoi pigli ombra teco
Pippa
Io so che voi sète fina
Nanna
Figliuola, vattene con questa: se io che sono stata la più scelerata e ribalda puttana di Roma, anzi d’Italia, anzi del mondo, con il far male, con il dir peggio, assassinando gli amici e i nimici e i benvoglienti a la spiegata, sono diventata d’oro e non di carlini, chi sarai tu vivendo come io ti insegno?
Pippa
Reina de le reine, non pur signora de le signore.
Nanna
E perciò ubidiscimi.
Pippa
Io vi ubidirò.
Nanna
Fallo, non ti perdendo nel giuoco; perché le carte e i dadi sono gli spedali di chi ce si ficca drento: e per una che ne porti nuova la sbernia, [c]e ne son mille che ne van mendicando. Il tavoliere e lo scacchiere ti ornino la tavola; e quando si giuoca un giulio o due, ti bastano per le candele: perché il poco che si vince tutto è de la Signoria vostra; e non si giocando a la condennata né a la primiera, non si sente mai uno scorruccio, né si dice mai parola che non si convenga; e quando sia che uno appassionato ne’ giocacchiamenti ti voglia bene, chiedegli di grazia, ma che ognuno oda, che non giuochi più: e mostra di farlo perché egli non si rovini, e non perché gli dia a te.
Pippa
Io v’ho pel becco.
Nanna
Riprendalo anco del suo darti troppo da mangiare: fingendo di farlo per non ti dilettare, e non perché tu gli voglia per moia. E sopra ogni ricordo, ti do per ricordanzia che ti diletti di avere in casa persone degne: che, se ben non sono innamorate di te, te acquistano amorosi con la lor presenzia, facendoti onorare dagli altri. Il tuo vestire sia schietto e netto; ricami per chi vuole gittar via l’oro e la manifattura, che vale uno stato: e volendosi rivendere, non se ne trova nulla; e il velluto e il raso segnato dai lavori dei cordoni che ci sono suso, è peggio che di cenci. Sì che stà in su l’avanzare per cotal modo, perché in capo de le fine le robbe nostre si convertano in danari.
Pippa
Sta bene.
Nanna
Ci resta mo’ le vertù, de le quali naturalmente le puttane son nimiche come di chi non gli porge a man piene. Pippa, niuno è atto a negarti uno stormentino; e perciò a uno chiedi il liuto, a l’altro l’arpicordo, a colui la viola, a costui i fiuti, a questo gli organetti e a quello la lira: che tanto è avanzato. E facendo venire i maestri per imparare le musiche, tiengli in berta, e fagli sonare a stracci, pagandogli di speranze e di promesse, e di qualche pasto a cavallo a cavallo. Doppo gli stormenti, entra ne le pitture e ne le sculture; e carpisce quadri, tondi, ritratti, teste, ignudi e ciò che tu puoi: perché non si vendano manco che i vestimenti.
Pippa
Non è egli vergogna a vendere i panni di dosso?
Nanna
Come vergogna? Non è più strano il giocargli nel modo che fur giocati quelli di messer Domenedio?
Pippa
Voi dite il vero.
Nanna
Certo il giuoco ha il diavolo nel core; e perciò ritorno a dirti che non tenghi carte né dadi in casa: perché basta vedergli, ed è bello e spacciato chi se ne consuma. Io ti giuro per la vigilia di Santa Lena da l’Olio che atoscano le brigate che le guatano, non altrimenti che si ammorbino altrui i panni apestati che si toccano dieci anni da poi che sono stati rinchiusi.
Pippa
Carte e dadi, in là.
Nanna
Ascolta, ascolta quel che io ti dico circa la boria de la pompa de le feste Pippa, non ti aguluppare in cacce di tori, né in correre di inguintane né a l’anello; perché ne escano di mortali inimicizie, né son buone ad altro che a dare spasso ai putti e a la canaglia: e se pure hai volontà di vedere ammazzarne e del correre a queste e a quello, và e vede cotali giuochi a casa d’altri. E accattando tu saî, robboni o cavalli di pregio da mascararti, fanne quello conto che ne faresti essendo tuoi, e rendendogli non gli rimandare senza nettargli, come usano le puttane, ma forbitissimi e ripiegati nel modo che stavano in prima: perché i padroni te ne portano odio bestiale, facendo altrimenti; e spesso spesso si adirano con chi è stato cagione che te gli prestino.
Pippa
Non mi avete per sì trascurata, e son micce chi nol fa.
Nanna
Propio micce. Or s’io ti volesse dire in che forgia ti hai a conciar le trecce, e come trarne fuora una ciocchetta che ti forcheggi per la fronte o intorno a l’occhio, onde si chiuda e apra con la capestraria de la lascivia, bisognaria cicalar fino a notte; così volendo insegnarti a tener le pocce in seno con un modo che chi le vede a lo sportello de la camiscia gli affisi il guardo ficcandolo drento a quel tanto che se ne scorge: facendone più carestia che non ne fanno divizia alcune le quali par che le voglino gittar via col farle saltar fuora dei petto e del vestimento. Ora io me ne spedisco in uno o due fiati, o in tre al più.
Pippa
Io vorrei che voi durasse di favellare un anno.
Nanna
Quello che io mi scordo a dirti, e quel che io non so, ti insegnarà il puttanesimo da per sé; perché i punti suoi stanno in se stessi, e nascano in un tratto non aspettato d’altrui e non pensato da lei: onde suplisci col tuo naturale a la mia naturaccia smemorata. Ma non t’ho io a dire?
Pippa
Che?
Nanna
I preti e i frati mi volevano sdruscire il cervello, e uscirsene per le maglie rotte.
Pippa
Guata ribaldi.
Nanna
Anzi ribaldoni e ribaldacci.
Pippa
Come mi avete detto ne la maniera che io ho a vivere con loro, vo’ sapere che male mi farà il tormi de la verginità.
Nanna
Nulla, poco.
Pippa
Farammi gridare con le strida d’un che si taglia l’anghio?
Nanna
Appunto!
Pippa
Come chi si acconcia una mano sconcia?
Nanna
Manco.
Pippa
Come si cava un dente?
Nanna
Meno.
Pippa
Nel modo che si taglia un dito?
Nanna
No.
Pippa
A la forgia di chi si rompe il capo?
Nanna
Tu non ci sei.
Pippa
A la via di chi si apre un panereccio?
Nanna
Vòi tu che io te lo incastri ne la fantasia?
Pippa
Voglio.
Nanna
Rammentati tu di averti mai grattata una certa lazzarina minuta come la stizza?
Pippa
Me ne rammento.
Nanna
A quel cociore che ti abbruscia grattata che ti hai, si assimiglia il dolore che si sente mentre ti si taglia il vergine donzellesco.
Pippa
O perché si ha così gran paura di questo perder di verginità? E ho pure inteso che alcuna si fugge del letto, altra grida acorruomo, altra scompiscia squacquaratamente le casse, la camera e ciò che ci è.
Nanna
La paura che hanno coloro che non sanno di che, si usava al tempo antico, quando le donne novelle andavano a marito con le corna, e quando si gittava il gallo da la finestra facendo segno de le nozze; e non è diferenzia dal pentimento di non se lo aver cavato prima, tosto che altri ha in mano il dente che gli ha dato tanta passione, dal pentirsi di quelle che hanno indugiato per amore de l’«egli mi farà male» a farsi grattar la grignappola: e quello «io mi credeva che il cavarsi il dente fosse qualche gran cosa» esce di bocca a la putta che ce l’ha lasciato entrare animosamente.
Pippa
Io ne ho piacere.
Nanna
Come si par vergine cento volte, se tante bisogna mostrar d’essere, ti insegnarò io il dì inanzi che entri in campo: e questo secreto sta ne lo allume di rocco e ne la ragia di pina bollita con detto allume; ed è una frascariuccia provata da tutti i bordelli.
Pippa
Tanto meglio.
Nanna
Ora ai frati: che fin di qua mi puzzano di lezzo caprino di micca, di savore e di porco, benché ce ne sono degli attillati ancora, e di quelli che ulezzano più che le botteghe dei profumarieri.
Pippa
Non perdete tempo, perché io voglio che mi dite in che modo io ho a sbellettarmi e a imbellettarmi, voglio anco sapere se volete che io vada dirieto a le fatture, a le stregarie e agli incanti, o no.
Nanna
Non mi ragionare di coteste pazziule da schiocche: i tuoi incantesimi saranno i miei ricordi saporiti e freschi, de lo strisciare ti dirò come tu dei farlo. Ma i frati mi chiamano e diconmi che io dica come oggimai le femine gli san di tanfo; e tutto vien dai preti, i generali, i priori, i ministri, i provinciali; e l’altre ciurme tengano de la lega dei reverendi e dei reverendissiml: e quando dormano con una donna ne fan quel guasto che fa de le vivande un che ha cenato a crepastomaco allotta allotta. E benché si canti loro la canzona che si canta ai vecchi, cioè il
Luma, lumachella
cava fuor le tre cornella
le tre e le quattro
e quelle del marescalco,

non se gli rizza fino a tanto che non si corcano seco i lor mariti.

Pippa
O hanno marito i frati e i preti?
Nanna
Così avessero eglino moglie.
Pippa
Fuoco!
Nanna
Io te lo vorrei dire e non te lo vorrei dire.
Pippa
Perché no?
Nanna
Perché come si dice il vero, si crocifigge Cristo, io l’ho pur detto, ed è una bella opera, che a dir la bugia si riceva bene e a dir la verità male. Dunque è trista lingua quella che mi dice puttana vecchia e ruffiana ladra. E perciò ti dico che i pesci grossi de la frataria e de la pretaria dormano con le cortigiane per vederle trassinare dai lor bardassoni, bardassoni sì; e aguzzansi lo appetito mentre le veggano trapanare per alia via (disse la pistola): e debbi tenergli per amici, e andare quando ti chiamano; perché i tu-mi-intendi, che gli fan fare ciò che vogliano, s’intabaccano di subito, e trannoti dirieto tutte l’entrate del vescovado, de la badia, del capitolo e de l’ordine.
Pippa
Ho speranza di far mio, praticandoci, fino al campanil de le campane.
Nanna
Farai il tuo debito, se lo farai. Ah! ah! ah! Io mi rido dei mercatanti, dei quali non ho parlato.
Pippa
Anzi sì.
Nanna
Tu vuoi dir dei Todeschi: essi son quasi tutti fattori d’altri, e perciò si guardano di venire a te, come ti ho detto. Ma i mercatanti grandi, i padri dei denari, l’anguinaia che gli giunga da che vogliono che lo stato puttanesco dirivi da quel che ci danno a soldo a soldo: e per un che spenda, ce ne son venti che han sempre amannito «Io gli ho dati a usura, volli dire a cambio», quando gli chiedi una cosa. Ma il tradimento è che falliscano coi sacchetti pieni, murandosi in casa o sepellendosi vivi ne le chiese, e poi dicano «La tal puttana mi ha rovinato». Io ti consiglio, Pippa, a dargli la cassia: perché le menchione, non sapendo perché, tengano che sia gran riputazione la loro amicizia; e come si dice «Chi è quello?», par che lo intendere che sia mercatante le canonizzi per dee; ma non son tante cose, non, per l’anima mia.
Pippa
Ve lo credo.
Nanna
Altro che guanti e lettere in mano e che anello in dito bisogna che mostrino al fatto nostro.
Pippa
Così credo io.
Nanna
Figliuola, io ti ho detto una leggenda da duchessa; e sappi che de le tue madri non ne nascano per le siepi; e non conosco predicatore in Maremma che ti avesse fatto il sermone che ti ho fatto io: e se lo terrai a mente, io voglio esser messa in gogna se non sei adorata per la più ricca e per la più savia cortigiana che fosse mai e che sia e che sarà; onde io morendo morrò contenta. E sappi che le puzze, i mocci, gli sputacci, i fastidi dei fiati, dei lezzi, de le bizzarrie e de le maladizioni dei tuoi amici son come il vino che ha la muffa: che chi ne bee tre dì si scorda del tufo. Ma odi anche due paroline circa due coselle.
Pippa
Circa quali?
Nanna
La prima è che non tenghi i guanciali di velluto suso i matarazzi i seta: che le spuzzette gittano per terra facendo stare inginocchioni chi gli favella (porche poltrone che vi morrete anco di fame ne le carrette). Doppo questo abbi discrezion ne le mani, e menale pei bossoletti bellamente, e non ti intonicare il viso a la lombardonaccia: un pochettin pochettin di rosso basta a cacciar via quel pallido che spesso spesso sparge ne le guance una mala notte, una indisposizione e il farlo troppo. Risciacquati la bocca la mattina a digiuno con l’acqua del pozzo; e se pur vuoi che la pelle ti si netti e stia lucida e sempre in uno essere, ti darò il libro da le mie ricette, dove impararai a mantener la faccia e a far vaga la carne, e ti farò fare una acqua di talco mirabile; e per le mani ti darò una lavanda delicata delicatissima. Ho una cosa da tenere in bocca che, oltra che conserva i denti, converte il fiato in garofani. Io stupisco di alcune tinche infarinate che si dipingano e invernicano come le mascare modanesi incinabrandosi le labbra talché chi le bascia sente incendersi le sue straniamente e che fiato, e che denti, e che grinze fanno a questa e a quella i lisci sbardellati! Pippa...
Pippa
Madonna?...
Nanna
...non usare moscadi, né zibetti, né altro odore acuto: perché son buoni a ricoprir la puzza di chi pute. Bagnuoli sì: e, più spesso che tu puoi, lavati e rilavati a ogni otta, perché il lavarsi con acqua dove sieno bollite erbe odorifere, fa rimanere ne le carni quel non so che di soave che esce dai panni lini di bucato pure allora tratti del forziere e dispiegati. E come un che vede il suo candido non si pò tenere di non fregarsene il viso, così un che scorge il petto, il collo e le gote pure pure non pò far che non le basci e ribasci. E perché i denti ti si nettino bene, inanzi che levi piglia l’orlo del lenzuolo e fregategli parecchi volte: e leverassi tutto quello che ce s’impone, per esser tenero prima che ci entri l’aria. Ma ecco una frotta di gentilezze che mi scappano de la fantasia appunto nel volerti io finirla col «non t’ho altro a dir che io mi ricordi»: e sappi che io sono un pozzo cupo cupo il quale ha tanta grossa la vena che, più se ne cava, più ce n’è. Or legati questa al dito.
Pippa
Io me la lego.
Nanna
Come si appressa San Filippo, comincia a dire ai tuoi passionati che hai in boto di far dire .XX. messe la vigilia del santo del tuo nome, e di dar mangiare a dieci poveri; e taglieggiagli de la spesa. E venuta la vigilia e la festa, borbotta, mena rovina, dicendo: «Egli mi è forza di caricar la coscienza e l’anima mia ancora»; «E perché?», risponderanno i goffi; «Perché i preti vanno oggi e domani a vettura, e non mi ponno servir de le messe»; e rimettendole a una altra infornata, i danari ti rimarranno in mano con onor tuo.
Pippa
La mi quadra.
Nanna
Caso che tu ti vegga in casa una mandra di amici e di gentiluomini corsi a intertenersi teco, fingi che ti sia venuto capriccio di andare a piedi due ore: e senza metterci né sal né olio, polisciti con una arte che paia a vanvara; e dàlla fuor de l’uscio con loro, con dire «Andiamo a la Pace»; e ivi, detto uno straccetto del paternostro, piglia la strada del Pellegrino: e a ogni merciaio ti ferma, coi fargli portare ciò che hanno di bello e di mesture e d’ambracani e altre frascariucce, e non dire, come tu vedi qualcosa che ti garbi, «Comprami questa tu, e tu quest’altra», ma «Questa e questa mi piace», falla por da canto replicando «Io mandarò a torle»; e così fà dei profumi e de simili bagattelle.
Pippa
Dove traete voi?
Nanna
Al colombaio loro.
Pippa
Con che balestra?
Nanna
Con quella de la lor liberalità: la quale si terrebbe vituperata se allora o poco doppo non comperassi le cose poste in serbo da te, a te donandole.
Pippa
Chi non ha ingegno, suo danno.
Nanna
Ritornata che tu sarai a casa, trita il favore minutissimamente e fà nel modo che io ti dico.
Pippa
Voi mi avete detto del favore.
Nanna
Io te l’ho detto e te lo vo’ ridire di bel nuovo: perché il saper ciarmar le genti è il rimedio il qual danno contra il veleno i ciarmatori. E perciò ponti in una seggiola bassa bassa e fanne assettar due fra i tuoi piedi, e sedendo in mezzo a due altri, allarga le braccia e dàgli una mano per uno: e voltandoti ora a questo e ora a quello, ne contentarai pur due con la ciancia. Il resto favoreggia con gli sguardi e con il chiuder de l’occhioletto; dàgli ad intendere che il core sta negli occhi, e non in le mani e nei piedi e ne le parole: così l’arti de la tua grazia la fregaranno a otto goccioloni in un tratto
Pippa
Caccia paro.
Nanna
E ancora che non ti andassi a gusto né quel né questo, sforza la natura; e specchiati in uno infermo il qual piglia la medicina contra stomaco per guarire del male: come guarirai tu, non del povero, che, senza esser altrimenti puttana, sei ricca, ma de la cortigiana, diventando signora più ne lo avere che nel nome.
Pippa
Si per credere vale, io son dessa.
Nanna
Attàccati a questa: non ti lasciare metter suso da quelli che ti sbracano per tenerti a posta loro; non gli dar fede, sien pur grandi e ricchi quanto sanno: perché la rabbia de lo amore e la smania de la gelosia gli mette suso; e per fin che la gli dura fanno miracoli; e questo ti pò giurare Angela Greca, che n’ha avanzati i piedi fuori del letto. Importa bene il trovar così fatti partiti, perché gli altri intabaccati saltano, e sappi che quando non ci fosse altro avanzo nel darsi in preda a molti, si diventa più belle: e ne fanno fede le case disabitate, che fino ai ragnateli le invecchiano; e i ferri, per farsi brunire, ne guadagnono il lustro.
Pippa
È vero.
Nanna
E poi chi dubita che gli assai non faccino gli assai e i pochi il poco, è un cavallo: ed è chiaro che io vo’ che tu sia una lupa la quale entra in una mandra di pecore, e non dove n’è una sola. Io la vo’ dir mo’: figliuola mia, se ben la invidia fu puttana, e perciò è il cocco de le puttane, serretela in corpo e quando senti o vedi che la signora Tullia e la signora Beatricicca sfoggi di razzi, di spalliere, di gioie e di vestimenti, mostrane allegrezza e dì: «Veramente la lor vertù e le lor gentilezze meritano maggior cose; Iddio facci di bene a la cortesia di chi gliene ha fatto dono». In questo elleno ed eglino ti porranno uno amor grande; e ti porrebbero altrettanto odio se tu torcessi il grifo con dire: «Siamo chiare se ci par esser la reina Isotta: io vedrò anco l’una parte e l’altra andare a cacar senza lume». E per mia fé che il martorio che ha una puttana nel veder bene addobbate l’altre puttane, è più crudele che non è una doglia vecchia di mal francioso anidiata ne la cavicchia d’un piede o ne la chiovola d’un ginocchio o ne la commessura d’un braccio: o per dir più forte, una di quelle doglie di testa le quali guariria santo Cosmio e Damiano.
Pippa
Doglie ai preti.
Nanna
Veniamo a le divozioni utili al corpo e a l’anima. Io voglio che tu digiuni non il sabato, come le altre puttane le quali vogliono essere da più del testamento vecchio, ma tutte le vigilie, tutte le quattro tempora e tutti i venardì di marzo; e dà nome che in così sante notti non dormi con persona: intanto vendile nascosamente a chi più ne dà, guardandoti che i tuoi amanti non ti colghino in frodo.
Pippa
S’io ne pago gabella, a rifar del mio.
Nanna
Nota questa galantaria. Fingeti talora ammalata, e statti in letto un due dì tra vestita e spogliata: che, oltra a lo esser cortigiata come signora, i vini cappati, i capponcelli e le buone cose verran via pian piano; perché cotali son truffe dei cenni e non de la lingua.
Pippa
Mi piace cotesto poltreggiare con utile e con pompa.
Nanna
Circa il pregio dei piaceri che tu venderai, bisogna chiarirti: perché è di grande importanza. Tu hai a farla con astuzia, e considerare la condizione di chi ne vuole; e far sì che, mentre chiedi le dozzine dei ducati, non ti scappino de le reti né l’un paio né ’l mezzo paio. Fà che gli assai si bandischino e i pochi si celino, quello che ne dà uno il faccia e nol dica, quello che ne dà dieci trombeggiasi: e in capo del mese il trafugoni è tutto avanzato. E chi non consente se non a le ventine, è una finestra impannata, la quale squarcia ogni venticciuolo. Qui mi accade avvertirti di un bel tratto. Figlia, mentre uccelli ai tordi grassi, venendone uno a la ragna, non lo spaventar con lo strepito, ma ritiene il fiato finché ci dà: come è preso, pelagli il culo, tra morto, vivo e balordo.
Pippa
Non intendo.
Nanna
Dicoti che venendoti fra i piedi un che ha il modo, nol vogli sbigottire col chiedergli le pazzie, ma togli quei che ti dà impastoiato che egli è, scorticalo tutto quanto: che un baro che vuole assicurare uno che pò perdere, si lascia vincere parecchi poste, e poi gliene fa seconda.
Pippa
Farassi.
Nanna
Non perder mai tempo, Pippa: và per casa, ficca due punti per un bel parere, maneggia drappi, smusica un versolino da te imparato per burla, trempella il manecordo, stronca il liuto, fa vista di leggere il Furioso, il Petrarca e il Cento, che terrai sempre in tavola; fatti a la gelosia e levatene, pensa, ripensa a lo studiare il puttanesimo: e come il fare altro ti rincrescerà, serrati in zambra, e tolto lo specchio in mano, impara da lui ad arrossarti con arte, e i gesti, i modi e gli atti coi quali hai a ridere e a piangere ne lo abbassare gli occhi nel grembo e ne lo alzargli dove bisogna.
Pippa
Che punti sottili.
Nanna
Mi viene in mente il gergo furfante da furfanti afurfantati: non te ne dilettare, né ascoltar chi se ne diletta, perché saria forza che tu fosse tenuta una lana di quelle che so dire io, né apriresti mai bocca che ognuno non sospettasse di te, e benché io ti dia licenzia di usar le truffe il dì de la loro stagione e con alcuno di quelli che fa Domenedio per non gli tornar più a vedere, il gergo non ti ametto per conto niuno.
Pippa
Basta accennarmi.
Nanna
Io non ti insegno in che modo dei ripararti dagli scandoli commessi con le scuse e con le risposte, perché la tua avvertenza mi tocca il piè e mi fa cenno che non duri fatica a dirtelo. Onde io la ubidisco; e dicoti che circa il dar passione a chi ti ama, fallo in forgia che non pata tanto che si avezzi a patir di sorte che ne faccia quello abito che fa uno de la quartana stata con seco a pigione cinque o sei anni. Usa la via del mezzo, atenendoti al libro del Sarafino, il qual dice:
Né troppo crudeltà né troppo grazia
perché l’una dispera e l’altra sazia.

Non ti mostrar tanto d’uno, si ben ne credi ogni bene, che non possa dargli due colpi di martellino ne l’ancudine del core. E sopra tutto spalanca la porta a chi ti reca, e conficcala a chi non ti porta: e fà che chi manda (col far tu vista che non ti oda) senta quando fai intendere a chi non porge «Vogliami pur bene il tale, che non mi curo d’altri». Sia sempre la prima a corrucciarti con gli offesi da te: perché, vinti da l’amore, ti diranno maxima colpa dei tuoi fallimenti. E caso che ti adiri con qualcuno, non metter troppo tempo in mezzo a l’ira; che andresti a rischio di restarne senza; perché il suo si somiglia a una certa famarella rimasta ne lo appetito non sazio a suo modo, che levandosi da tavola si passa in un tratto: non assaggiaria un boccon più per nulla.

Pippa
Io l’ho provato.
Nanna
Hotti io favellato dei giuramenti?
Pippa
Sì, ma ridicendovi.
Nanna
Io mi dico e ridico secondo l’usanza de le donne: che replicano ancora una medesima cosa dieci volte, come ho fatto forse io.
Pippa
Voi mi diceste che io non giurassi per Dio né per santi; e poi mi insegnaste a sacramentare con chi per gelosia mi vietasse qualche amicizia.
Nanna
È vero, sì che giura e non bestemmiare: perché sta male in bocca d’uno che si abbia perdute le budella, non che in una femina che sempre guadagna.
Pippa
Taccio.
Nanna
Ammaestra la fante e il famiglio in sapere, mentre cicalano coi tuoi amanti, sendo tu in camera, a mettergli inanzi alcuni tuoi appetitetti, e sappin dirgli: «Volete voi farvi schiava la signora? Or comperatele la cotal cosa, perché ella ne ha una voglia spasimevole». Ma fà che non chiegghino se non gentilezze, come sarebbero uccellini con le gabbie dorate, un pappagalletto di quei verdi...
Pippa
Perché non bigio?
Nanna
Coston troppo; e tu per tal verso puoi ritrarne il poco. Appresso torrai a certi tempi impresto da questo e da quello ciò che ti pare; e ritarda il rendere, e se non te si richiede non dare: perché l’uomo che ti ha prestato indugia, mastica e aspetta la tua discrezione. In questo mezzo ne l’animo di molti nasce una certa grandezza la qual si vergogna di rimandar, poniam caso per veste, saio o camiscia che ella si sia: onde spesso spesso avanzi di belle cosette.
Pippa
Ci mancava questa.
Nanna
Io l’ho pescata: eccoti un .XV. dì inanzi a San Martino e tu fa un concistoretto di tutti i tuoi amanti: e sedendogli in mezzo, fagli tutti i favori che sai e che puoi; e intonicati che tu gli hai con le cacarie, digli: «Io voglio che facciamo il re de la fava, e che fino a carnasciale duriamo a darci una cena per uno; e cominciaremo da me: con patti che non si spenda le pazzie, ma onestamente, spassandoci il tempo». E cotale ordine e di grande spasso e d’assai utile, perché ci sono degli avanzi per più vie: prima, la cena che farai uscirà de la borsa loro, doppo questa, il re è obligato a dormir teco la sera de la sua cena, la qual dormitura è forza che sua Maestà paghi da re, da l’altro canto, d’ogni mangiar che si fa, i suoi retagli ci spesacchiano una stomana; e graffignando guadagnarai di olio, di legne, di vino, di candele, di sale, di pane e di aceto: e quando tu potesse con qualche secreto rivendere a questo e a quello cotali civanzamenti, fallo; ma se si sapesse te si levarebbe un nome da non trovar sapone che gli lavassi il capo: onde è bene di non ci si arrischiare.
Pippa
Oh questa sì che è cottoia.
Nanna
Ora ti do tanti rubini per tante parole: e certo le puoi infilzare come s’infilzano le perle. Fatti talora fare dai succhi de la fante un signuzzo ne la gola, o darti due fitte coi denti in una gota: acciò che si diguazzi lo stomaco di colui che si crede che sia suto il suo concorrente, guasta anco il letto di giorno, rabùffati i capegli e fatti rossa con lo afaticarti, ma poco e vedrai sbuffare chi è geloso di te come sbuffa un che trova la moglie in peccavisti.
Pippa
La mi è andata al core.
Nanna
Al core andarà ella a me se le mie parole fanno quel frutto nel tuo cervello che fa il grano seminato nei campi, ma se elle son gittate al vento, con la mia pacienzia e disperazione ci sarà la tua rovina: e in una stomana ti esce di sotto ciò che io ti lascio in redità. E si avviene che tu ti atenga ai miei consigli, benedirai l’ossa, le polpe e la polvere di tua madre; e l’amarai morta come credo che tu l’ami viva.
Pippa
Il potete stracredere, mamma.
Nanna
Ora io la mozzo qui; né ti dolere se la giunta è maggior de la derrata: bastiti il mio non ti voler dire altro.

«Che voreste voi più dirmi?», rispose la Pippa a sua madre. Ed ella, levatasi suso essendo indoglita per il troppo sedere, sbadigliando e stirandosi se ne andò in cocina, e ordinata la cena, la sua figliuola sacente, per l’allegrezza de lo avere ad aprir fondaco, l’andò sbocconcellando: e pareva propio una fanciulla a cui il padre ha promesso maritarla a lo amante suo, onde tutta lieta non cape a pena ne l’alterezza di se stessa. Ma perché l’una era stracca per il favellare e l’altra per lo ascoltare, se ne andarono a dormire insieme in un letto medesimo. E la mattina levandosi tutte sincere, desinarono quando tempo gliene parve, e ritornando al ragionare, la Pippa che aveva fatto un bel sogno in sul far del dì, lo squinternò a la madre: appunto quando ella apriva la bocca per contarle i tradimenti che escano de l’amore degli uomini.

Il fine de la prima giornata.