Rime (Dante)/CIV - Tre donne intorno al cor mi son venute

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CIV - Tre donne intorno al cor mi son venute

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Dante Alighieri - Rime (XIII secolo)
CIV - Tre donne intorno al cor mi son venute
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Rime varie del tempo dell’esilio

 
Tre donne intorno al cor mi son venute,
e seggonsi di fore;
ché dentro siede Amore,
lo quale è in segnoria de la mia vita.
5Tanto son belle e di tanta vertute,
che ’l possente segnore,
dico quel ch’è nel core,
a pena del parlar di lor s’aita.
Ciascuna par dolente e sbigottita,
10come persona discacciata e stanca,
cui tutta gente manca
e cui vertute né belta non vale.
Tempo fu già nel quale,
secondo il lor parlar, furon dilette;
15or sono a tutti in ira ed in non cale.
Queste così solette
venute son come a casa d’amico;
ché sanno ben che dentro è quel ch’io dico.

Dolesi l’una con parole molto,
20e ’n su la man si posa
come succisa rosa:
il nudo braccio, di dolor colonna,
sente l’oraggio che cade dal volto;
l’altra man tiene ascosa
25la faccia lagrimosa:
discinta e scalza, e sol di sé par donna.
Come Amor prima per la rotta gonna
la vide in parte che il tacere è bello,
egli, pietoso e fello,
30di lei e del dolor fece dimanda.
"Oh di pochi vivanda",
rispose in voce con sospiri mista,
"nostra natura qui a te ci manda:
io, che son la più trista,
35son suora a la tua madre, e son Drittura;
povera, vedi, a panni ed a cintura".

Poi che fatta si fu palese e conta,
doglia e vergogna prese
lo mio segnore, e chiese
40chi fosser l’altre due ch’eran con lei.
E questa, ch’era sì di piacer pronta,
tosto che lui intese,
più nel dolor s’accese,
dicendo: "A te non duol de li occhi miei?".
45Poi cominciò: "Sì come saper dei,
di fonte nasce il Nilo picciol fiume
quivi dove ’l gran lume
toglie a la terra del vinco la fronda:
sovra la vergin onda
50generai io costei che m’è da lato
e che s’asciuga con la treccia bionda.
Questo mio bel portato,
mirando sé ne la chiara fontana,
generò questa che m’è più lontana".

55Fenno i sospiri Amore un poco tardo;
e poi con gli occhi molli,
che prima furon folli,
salutò le germane sconsolate.
E poi che prese l’uno e l’altro dardo,
60disse: "Drizzate i colli:
ecco l’armi ch’io volli;
per non usar, vedete, son turbate.
Larghezza e Temperanza e l’altre nate
del nostro sangue mendicando vanno.
65Però, se questo è danno,
piangano gli occhi e dolgasi la bocca
de li uomini a cui tocca,
che sono a’ raggi di cotal ciel giunti;
non noi, che semo de l’etterna rocca:
70ché, se noi siamo or punti,
noi pur saremo, e pur tornerà gente
che questo dardo farà star lucente".

E io, che ascolto nel parlar divino
consolarsi e dolersi
75così alti dispersi,
l’essilio che m’è dato, onor mi tegno:
ché, se giudizio o forza di destino
vuol pur che il mondo versi
i bianchi fiori in persi,
80cader co’ buoni è pur di lode degno.
E se non che de li occhi miei ’l bel segno
per lontananza m’è tolto dal viso,
che m’have in foco miso,
lieve mi conterei ciò che m’è grave.
85Ma questo foco m’have
già consumato sì l’ossa e la polpa,
che Morte al petto m’ha posto la chiave.
Onde, s’io ebbi colpa,
più lune ha volto il sol poi che fu spenta,
90se colpa muore perché l’uom si penta.

Canzone, a’ panni tuoi non ponga uom mano,
per veder quel che bella donna chiude:
bastin le parti nude;
lo dolce pome a tutta gente niega,
95per cui ciascun man piega.
Ma s’elli avvien che tu alcun mai truovi
amico di virtù, ed e’ ti priega,
fatti di color novi,
poi li ti mostra; e ’l fior, ch’è bel di fori,
100fa disiar ne li amorosi cori.
Canzone, uccella con le bianche penne;
canzone, caccia con li neri veltri,
che fuggir mi convenne,
ma far mi poterian di pace dono.
105Però nol fan che non san quel che sono:
camera di perdon savio uom non serra,
ché ’l perdonare è bel vincer di guerra.