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Rime (Andreini)/Canzonetta morale III

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Canzonetta morale III

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Sonetto LIV Scherzo III

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Che Amore cagiona travagli, e spesso morte.

Canzonetta Morale III.


A
L suon de l’aurea tua cetra gli amori

De la bella Ero, e del Garzon d’Abido
     Narra tù Musa, e del gran caso il grido
     Desti pietà ne i più selvaggi cori.
Dì come di Ciprigna il giorno festo
     Lieto chiamò da le natìe contrade
     Le Genti, e d’ogni sesso, e d’ogni etade
     Ad honorar la bella Diva in Sesto.
I notturni Himenei, che varcar l’acque,
     Le oscure nozze, che giamai l’Aurora
     Non vide; il nuotator furtivo honora,
     Ero, & Amor cui di dormir non piacque.
Era ministra la bellissima Ero
     Del Tempio; hor mentre à le sant’opre intesa
     Lodata passa; indi ne resta accesa
     L’alma, che ferve entro viril pensiero.
Ma più d’ogn’altro arde à Leandro il petto;
     Arde, e sol può de la Donzella altera
     Scaldar il core, e con humil preghiera
     Chiese, ed ottenne il marital suo letto.
Ritorna lieto al suo patrio soggiorno,
     E come stabilito havean trà loro
     Bramoso attende, che i be’ raggi d’oro
     Nasconda Febo, e porti altrove il giorno.

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Ecco la notte desiata viene,
     Egli à la Torre il guardo fiso intende;
     E la face d’Amor vede, che splende,
     E gli arde il cor fin da le mute arene.
Pensoso alquanto da le amiche sponde
     Ei guarda il mare, e teme de’ suo’ inganni,
     Poi dice avvolti al biondo crine i panni,
     Foco d’amor non dè temer de l’onde.
Di leggier salto al mobil flutto pieno
     D’infedeltade egli se stesso fida;
     E Nave à sè, vela, & Nocchier si guida
     Pe i salsi campi a la sua Donna in seno.
Ella con rosea man l’asciuga, e terge,
     Indi lo scorge à la secura stanza,
     Vagheggia l’amatissima sembianza
     Mentre d’odori il caro fianco asperge.
Sgombrata al fin da lui l’amara spuma
     Parlò soàve. egli abbracciolla, e colse
     Mille, e più baci, indi quel cinto sciolse,
     Che bramò tanto, entro à la molle piuma.
Così godeansi Citherea furtiva;
     Ma gli Himenei maritimi, e sonanti
     Tanto durar tra gli infelici amanti
     Quanto si vide la stagione estiva.
Giunto l’horrido Verno il coraggioso
     Leandro nuota; ed ecco il crudo fiato
     D’Austro porta al Ciel l’onda, e ’l lume usato
     Spegne; ond’ei corre il pelago spumoso.
L’affaticate membra stanche, e rotte
     Agita il mar, di cui l’humore acerbo
     Ei beve in van, ch’al fin crudo, e superbo
     Lo trahe dolente a l’ultima sua notte.

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Poi che ’l bel corpo (ohime) di spirto casso
     Vide il mattin la Donna, in preda al duolo
     Dal balcon preso un disperato volo
     Col capo in giù precipitossi al basso.
Durante hor saggio tù l’animo indura
     D’Amor à i colpi; e questo humido essempio
     Ti scopra homai, ch’egli tiranno, ed empio
     Peste è del Mondo, e Mostro di Natura.
Ma tù medesmo col tuo nobil canto,
     Canto felice, ond’ergi al Ciel le piume
     Insegni altrui, che d’esto falso Nume
     Brevissima è la gioia, eterno il pianto.