Rime (Berni)/LXX. Capitolo in lamentazion d'amore

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LXX. Capitolo in lamentazion d'amore

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Francesco Berni - Rime (XVI secolo)
LXX. Capitolo in lamentazion d'amore
LXIX. LXXI. Capitolo primo alla sua innamorata


In fe’ di Cristo, Amor, che tu hai torto,
assassinar in questo modo altrui
3e volermi amazzar quand’io son morto.
  
Tu m’imbarcasti prima con colui,
or vorresti imbarcarmi con colei:
6io vo’ che venga il morbo a lei e a lui,
  
e presso ch’io non dissi a te e a lei;
se non perch’io non vo’ che tu t’adiri,
9ad ogni modo io te l’appiccherei:
  
sappi quel c’ho a far co’ tuoi sospiri;
perch’era avezzo a rider tuttavia,
12or bisogna ch’io pianga e ch’io sospiri.
  
Quand’io trovo la gente per la via,
ogniun mi guarda per trassecolato
15e dice ch’io sto male e ch’io vo via.
  
Io me ne torno a casa disperato,
e poi ch’io m’ho veduto nello specchio,
18conosco ben ch’io son transfigurato:
  
parmi esser fatto brutto, magro e vecchio;
e gran mercé, ch’io non mangio più nulla
21e non chiudo né occhio né orecchio.
  
Quando ogniun si solazza e si trastulla,
io attendo a trar guai a centinaia,
24e fàmegli tirar una fanciulla.
  
Guarda se la fortuna vòl la baia:
la m’ha lasciato star insin ad ora,
27or vòl ch’i’ m’inamori in mia vecchiaia.
  
Io non volevo inamorarmi ancora,
ché, poi ch’i’ m’era inamorato un tratto,
30mi pareva un bel che esserne fòra.
  
Ad ogni modo, Amor, tu hai del matto,
e credi a me, se tu non fussi cieco,
33io te farei veder ciò che m’hai fatto.
  
Or se costei l’ha finalmente meco,
questa rinegataccia della Mea,
36di grazia, fa ancor ch’io l’abbia seco;
  
poi che tu hai disposto ch’io la bea,
se la mi fugge, ch’io le sia nemico,
39e sia turco io, s’ella è ancor giudea;
  
altrimenti, Cupido, io te lo dico
in presenza di questi testimoni,
42pensa ch’io t’abbia ad esser poco amico;
  
e se tu mi percuoti ne gli ugnioni,
rinego Dio s’io non ti do la stretta
45e s’io non ti fornisco a mostaccioni.
  
Prega pur Cristo ch’io non mi vi metta:
tu non me n’arai fatto però sei,
48ch’io ti farò parer una civetta.
  
Non potendo valermi con costei,
per vendicarmi de’ miei dispiaceri,
51farotti quello ch’arei fatto a lei.
  
E non varràti ad esser balestrieri,
o scusarti co l’esser giovanetto:
54allor faròtel io più volontieri.
  
Non creder ch’io ti vogli aver rispetto;
io te lo dico: se nulla t’aviene,
57non dir dapoi ch’io non te l’abbia detto.
  
Cupido, se tu sei un uom da bene
e servi altrui quando tu se’ richiesto,
60abbi compassïon delle mie pene;
  
non guardar perch’i’ t’abbia detto questo:
la troppa stizza me l’ha fatto dire;
63un’altra volta io sarò più onesto.
  
A dirti il vero, io non vorrei morire:
ogn’altra cosa si pò sopportare,
66questa non so come la s’abbia ad ire.
  
Se costei mi lasciassi manicare,
io li farei di drieto un manichino
69e mostrarei di non me ne curare;
  
ma chi non mangia pane e non bee vino
io ho sentito dir che se ne more,
72e quasi quasi ch’io me lo ’ndovino.
  
Però ti vo’ pregar, o dio d’amore:
s’io ho pur a morir per man di dame,
75tira anco a lei un verretton nel core;
  
fa’ ch’ella mora d’altro che di fame.