Rime (Dante)/XXV - Li occhi dolenti per pietà del core

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XXV - Li occhi dolenti per pietà del core

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Dante Alighieri - Rime (XIII secolo)
XXV - Li occhi dolenti per pietà del core
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Rime della Vita Nuova

 
Li occhi dolenti per pietà del core
hanno di lagrimar sofferta pena,
sì che per vinti son remasi omai.
Ora, s’i’ voglio sfogar lo dolore,
5che a poco a poco a la morte mi mena,
convenemi parlar traendo guai.
E perché me ricorda ch’io parlai
de la mia donna, mentre che vivia,
donne gentili, volentier con vui,
10non voi parlare altrui,
se non a cor gentil che in donna sia;
e dicerò di lei piangendo, pui
che si n’è gita in ciel subitamente,
e ha lasciato Amor meco dolente.

15Ita n’è Beatrice in alto cielo,
nel reame ove li angeli hanno pace,
e sta con loro, e voi, donne, ha lassate:
no la ci tolse qualità di gelo
né di calore, come l’altre face,
20ma solo fue sua gran benignitate;
ché luce de la sua umilitate
passò li cieli con tanta vertute,
che fé maravigliar l’etterno sire,
sì che dolce disire
25lo giunse di chiamar tanta salute;
e fella di qua giù a sé venire,
perché vedea ch’esta vita noiosa
non era degna di sì gentil cosa.

Partissi de la sua bella persona
30piena di grazia l’anima gentile,
ed èssi gloriosa in loco degno.
Chi no la piange, quando ne ragiona,
core ha di pietra sì malvagio e vile,
ch’entrar no i puote spirito benegno.
35Non è di cor villan sì alto ingegno,
che possa imaginar di lei alquanto,
e però no li ven di pianger doglia:
ma ven tristizia e voglia
di sospirare e di morir di pianto,
40e d’onne consolar l’anima spoglia
chi vede nel pensero alcuna volta
quale ella fue, e com’ella n’è tolta.

Dannomi angoscia li sospiri forte,
quando ’l pensero ne la mente grave
45mi reca quella che m’ha ’l cor diviso:
e spesse fiate pensando a la morte,
venemene un disio tanto soave,
che mi tramuta lo color nel viso.
E quando ’l maginar mi ven ben fiso,
50giugnemi tanta pena d’ogne parte,
ch’io mi riscuoto per dolor ch’i’ sento;
e sì fatto divento,
che da le genti vergogna mi parte.
Poscia piangendo, sol nel mio lamento
55chiamo Beatrice, e dico: "Or se’ tu morta?";
e mentre ch’io la chiamo, me conforta.

Piange di doglia e sospirar d’angoscia
mi strugge ’l core ovunque sol mi trovo,
sì che ne ’ncrescerebbe a chi m’audesse:
60e quale è stata la mia vita, poscia
che la mia donna andò nel secol novo,
lingua non è che dicer lo sapesse:
e però, donne mie, pur ch’io volesse,
non vi saprei io dir ben quel ch’io sono,
65sì mi fa travagliar l’acerba vita;
la quale è sì ’nvilita,
che ogn’om par che mi dica: "Io t’abbandono",
veggendo la mia labbia tramortita.
Ma quel ch’io sia la mia donna il si vede,
70e io ne spero ancor da lei merzede.

Pietosa mia canzone, or va piangendo;
e ritrova le donne e le donzelle
a cui le tue sorelle
erano usate di portar letizia;
75e tu, che se’ figliuola di tristizia,
vatten disconsolata a star con elle.

[Vita Nuova XXXI 8-17]