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Rivista italiana di numismatica 1889/Necrologie

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Rivista italiana di numismatica 1889|Necrologie

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Rivista italiana di numismatica 1889 Rivista italiana di numismatica 1889
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CRONACA


NECROLOGIE


Inaspettata e doppiamente dolorosa ci giunge da Venezia la notizia della morte immatura di Bartolomeo Cecchetti, il valente paleografo che dirigeva quell’insigne Archivio di Stato e lo illustrava con amore pari alla dottrina. Appassionatissimo anche della numismatica patria, egli pubblicò il Sommario della nummografia veneziana fino alla caduta della Repubblica (in collaborazione con Vincenzo Padovan), ed altri lavori affini, dei quali fa menzione lo stesso signor Padovan in un cenno bibliografico che i lettori troveranno più innanzi e che ci era stato trasmesso pochi giorni prima della infausta notizia.

Bartolomeo Cecchetti aveva compiuto da poco il 50° anno, e la sua precoce dipartita lascia un sincero rimpianto fra gli studiosi.




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RENIER CHALON.

La numismatica belga deplora la perdita del decano fra’ suoi cultori, Renier Chalon, già presidente di quella Società, e per lunghi anni direttore della Revue Belge.

Al Sig. Chalon si devono moltissimi scritti numismatici, disseminati per la maggior parte nel periodico da lui diretto, e due monografie: Recherches sur les monnaies des Comtes de Hainaut (1848). — Recherches sur le monnaies des Comtes de Namur (1860).

Egli si occupò anche di numismatica italiana, pubblicando varie nostre monete medioevali e moderne1.

Il Sig. Chalon era nato a Mons nell’Hainaut, il 4 dicembre 1802.



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Colla morte, avvenuta a Como nello scorso aprile, del marchese Pietro Rovelli, è scomparso uno dei più fieri ed immacolati caratteri del nostro risorgimento. Non è questa la sede opportuna per tessere una estesa biografia di questo valoroso patriota, della quale d’altronde si occupa un chiaro amico del compianto patrizio lombardo.

Discendeva questi da un’antica famiglia decurionale, che più tardi diede a Como lo storico illustre, e quel vescovo Rovelli, del quale il popolo ricorda ancora le virtù leggendarie, e di cui fu davvero memorabile la modestia allorquando non volle accettare l’alta dignità di arcivescovo di Milano offertagli dal primo Napoleone.

Pietro Rovelli, dal 1848 al 1861 prese parte attivissima a tutte le lotte, a tutte le cospirazioni, e per gl’ideali della patria arrischiò più volte gli averi e la vita. Combattè a Vicenza, a Venezia durante quel glorioso assedio; amico di Mazzini, dovette poi riparare in Piemonte, ma giunto il 1859 ritornò a Como e sollevò a rivolta i comuni del Lago; indi seguì Garibaldi in Sicilia, e dimostrò tale valore da meritarsi la croce di Cavaliere dell’Ordine del Merito Militare di Savoia.

L’uomo sì risoluto nella vita pubblica, eroico anzi sul campo di battaglia, era buono, affabile, modesto nella vita privata; i suoi gusti erano semplici, ed egli era felice quando poteva dividere tranquillamente il suo tempo fra l’agricoltura e gli studî storici. [p. 296 modifica]

La numismatica specialmente ebbe in lui un fervido e fortunato cultore, ed egli si formò una vasta e ben ordinata collezione, che poi, disgustato per furti patiti e rimescolamento di monete avvenuto in seguito a minacciata inondazione, vendette a varî numismatici. La raccolta del marchese Rovelli era notevolissima per rarità di pezzi; le monete comasche vi erano poi rappresentate con inusata larghezza, avendo egli potuto, fra l’altro, salvarne dal crogiuolo un intero ripostiglio.

Gli scritti dati alle stampe da Pietro Rovelli sono poco numerosi, e si riducono a qualche memoria numismatica pubblicata nel Periodico della Società Storica Comense e nella Rivista Archeologica della Provincia di Como. Ciò non ostante egli aveva fatto studî metodici e coscienziosi di archeologia e di numismatica, come lo attestano i quaderni di fittissime annotazioni da lui lasciati, ed il gran numero di lettere scambiate col Riccio, col Promis, col Garovaglio, col Caire, coi Gnecchi, con autori tedeschi e altri nostrali. Voluminosa è pure la corrispondenza da lui tenuta con persone che di continuo gli mandavano monete per esame, rendendo omaggio alla riconosciuta competenza di lui, la quale aveva da lungo varcati i confini della provincia. Per questa competenza, e a malgrado della naturale sua ritrosia, egli non potè schermirsi da varî onorevoli incarichi, ai quali lo chiamavano la stima e la fiducia cittadina, e, per non uscire dal campo de’ nostri studî, fu tra gli ordinatori del Civico Museo di Como, e Presidente della Commissione pel Museo stesso.

Il nome del marchese Pietro Rovelli è indissolubilmente legato, non solo alle patrie vicende, politiche e guerresche, in cui ebbe tanta parte, ma anche alla illustrazione storica del paese; e l’attività sua scientifica, per quanto modesta, fu degna veramente d’encomio e utilissima, come quella che valse a diffondere tra i dotti d’Europa la conoscenza della zecca comasca e di molte monete italiane.




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A Sarzana, sua città natale, di cui per oltre quarant’anni si era reso benemerito dedicandosi assiduamente all’amministrazione comunale, provinciale e delle Opere Pie, cessava non è molto di vivere, in tarda età e fra il rammarico de’ suoi concittadini, il marchese comm. Angelo Alberto Remedi, R. Ispettore degli Scavi e Monumenti, e Socio di molti sodalizî scientifici italiani e stranieri.

Gli scavi nel territorio dell’antica Luni, da lui intrapresi e con intelligente opera condotti negli anni 1857-59, gli fruttarono la scoperta di molti cimelî archeologici, che illustrò in accurate relazioni.

La larghezza del censo gli permise di adunare una bella collezione di monete romane e medioevali, che poi vendette nel 1884. Alcune fra le più notevoli di queste monete, fornirono argomento al march. Remedi per varî articoli, ch’egli comunicò ai diversi periodici numismatici succedutisi in Italia in questi ultimi anni.

Ecco l’elenco degli scritti numismatici del compianto marchese:

Della zecca e delle monete battute in Luni nel Medio Evo, nella Rivista della Numismatica antica e moderna, Asti, 1864.

Una moneta di Massa di Carrara, nel Bullettino di Numismatica italiana, Firenze, 1867.

Un ottavetto della marchesana di Ponsanello e Marciaso, ivi, 1867.

Di alcune monete italiane medioevali, inedite o rare, ivi, 1870.

Di una nuova moneta di Tresana, nel Periodico di Numismatica e Sfragistica, Firenze, 1874.

Una monetina inedita di Massa di Lunigiana, nella Gazzetta Numismatica, Como, 1881.

L’aquilino imperiale di Genova, nel Giornale Ligustico, Genova, 1883.



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Il giorno 18 luglio 1889 rimarrà una data assai triste per gli studiosi milanesi: in quel giorno si spegneva, nel Commendator Isaia Ghiron, Prefetto della Biblioteca Nazionale Braidense, l’uomo attivo, instancabile, energico e modesto insieme, che aveva saputo rialzare le sorti depresse di quell’insigne istituto, e farne un vivo e raggiante focolare di studî.

Milano, la grande città lavoratrice, ormai quasi interamente assorta nelle industrie e nei commerci, pure sentì qual forza intellettuale si era spezzata fra le sue mura, e rese alla bara dell’estinto un commovente omaggio di affetto, di cordoglio, di riconoscenza. [p. 418 modifica]

Isaia Ghiron trasse i natali a Casalmonferrato, nel 1837. Compiuti con lode gli studî liceali in Torino, vi intraprese quelli universitarî, che prosegui per qualche tempo in Napoli, ma che poi troncò per entrare nella carriera amministrativa. Impiegato al Ministero della Pubblica Istruzione, fu segretario particolare di Mancini, di Matteucci e dell’illustre Michele Amari, che conservò sempre per lui la più calda amicizia, e che (dolorose bizzarrie del destino!) doveva ora precederlo di soli due giorni nella tomba, mentre egli, ignaro di tanta sciagura, giaceva agonizzante sul letto di morte.

Il Ghiron fu anche segretario particolare di Giorgio Pallavicino, quando questi era governatore di Palermo.

Nel 1866, Isaia Ghiron venne nominato vice-bibliotecario a Milano, in “quella stessa Braidense” — (come ben disse il bibliotecario Fumagalli nelle nobili parole che pronunciò dinanzi alla sua bara) — “in quella stessa Braidense, ch’egli doveva più tardi far miracolosamente rinascere a novella vita”. Nell’anno 1877 fu meritamente promosso a bibliotecario; nel 1882 fu chiamato a Roma, alla nuova Biblioteca Vittorio Emanuele, dove l’opera sua riuscì preziosissima. Nel 1884 infine, ritornò a Milano, essendogli stata affidata la direzione della Braidense.

Quale sia stata, in questo alto ufficio, l’operosità del Ghiron, lo ha delineato vigorosamente l’amico suo Torelli-Viollier: “La Braidense ora un cadavere, una necropoli di libri vecchi, frequentata quasi esclusivamente da scolaretti e da qualche mattoide. Il Ghiron ne fece in poco tempo una cosa viva, una Biblioteca informata ai tipi più moderni e migliori, ricca di libri nuovi, di collezioni varie, di riviste e periodici esteri, frequentata assiduamente da veri studiosi, da letterati e scienziati, che vi trovano tutto quanto loro abbisogna, e la quiete e le agiatezze che lo studio esige, ed una schiera d’impiegati colti e premurosi. Il buon ardore di cui egli era acceso seppe comunicarlo al Governo, al Municipio, ai Corpi morali milanesi, e seppe ottenere i mezzi necessari all’attuazione dei suoi disegni. Sostituì al gas la luce elettrica, e potè [p. 419 modifica]così tenere aperta la Biblioteca anche nelle ore di sera, con grande vantaggio di coloro ohe debbono dar le ore del giorno al lavoro; aprì una nuova sala di lettura, comodissima; ideò e creò la sala manzoniana.”

Isaia Ghiron fu il tipo perfetto del bibliotecario moderno: nulla vi era in lui di pedantesco, di repulsivo, di scoraggiante pel pubblico, che anzi si sentiva attratto dalla sua squisita e dignitosa cortesia di vero gentiluomo. Nè egli rifuggiva infatti dal consorzio sociale, e la sua svariata cultura, la piacevolezza de’ suoi modi, lo rendevano ben accetto dovunque, come le doti della mente e del cuore gli avevano cattivato amici innumerevoli in ogni parte d’Italia.

“Giovare agli altri”, avrebbe potuto essere la sua divisa; e l’attività sua come Prefetto della Braidense, attività veramente mirabile, fu tutta rivolta infatti allo scopo di rendere utili, accessibili al pubblico i tesori anche più riposti della Biblioteca, di invogliare i cittadini a frequentarla, di invitarli a dissetarsi alla fonte della scienza.

Nessuno più di lui ebbe in orrore quel vieto concetto egoistico, che di tali cariche faceva altrettante comode nicchie per attendere imperturbabilmente ai proprî studî speciali. Ed egli soleva ripetermi, con quel suo fine umorismo, che irradiava talora di un sorriso così buono e luminoso il suo volto abitualmente severo: “Noialtri bibliotecari dobbiamo essere i cuochi del pubblico, dobbiamo ammannire le vivande, ma non dobbiamo mangiarle noi.”

E questa sentenza egli la rafforzava coi fatti, coll’esempio vivo ed efficace.

Mi ricordo quando, lo scorso anno, fu di passaggio per Milano un giovane frate straniero, che si recava pedestre a Roma, seguendo l’itinerario di non so qual pellegrino del Medio Evo. Egli venne a Brera per consultare alcune opere relative a quel viaggio, e Ghiron gli fu largo di ogni informazione e di ogni cortesia, talchè quegli si trattenne varî giorni in città, fermandosi molte ore in biblioteca, dove Ghiron discuteva animatamente con lui e lo aiutava a tutt’uomo nelle sue ricerche. Ed era uno spetta[p. 420 modifica]colo bello e commovente il vedere l’abito dell’uomo di mondo accanto alla rozza tonaca, due uomini così diversi tra loro di fede e di condizione, curvi sullo stesso volume, affratellati nello stesso studio.

Lo zelo insuperabile pel suo ufficio di bibliotecario, come già le cure per gli altri ufficî da lui antecedentemente sostenuti, non vietarono tuttavia al Ghiron di attendere con plauso a svariate pubblicazioni, linguistiche, storiche, popolari, delle quali sarebbe fuor di luogo il dar qui l’elenco. Accennerò soltanto all’idea che egli strenuamente e tenacemente propugnava, e per qualche tempo tradusse anche felicemente in atto: quella di pubblicare in Milano una grande rivista, simile alla Nuova Antologia. La Rivista Italiana di scienze, lettere ed arti, fondata e diretta dal Ghiron (1874-75), ebbe vita breve ma splendida, e fra i suoi collaboratori annoverò alcuni de’ più chiari scrittori d’Italia.

Cosi quando, sul principio dello scorso anno, si stavano gettando le basi della presente Rivista di Numismatica, Isaia Ghiron, che anche a questa disciplina si era dedicato con amore, accolse con benevolenza e con lieto viso l’invito ch’io gli feci di entrare a formar parte del Consiglio di Redazione. E se la fatale malattia che da due anni lo andava martoriando glielo avesse concesso, egli avrebbe scritto certamente più d’un interessante articolo per la nostra Rivista, come spesso vagheggiava, e come aveva anche tentato di attuare intraprendendo l’esame delle monete arabe non ancor classificate di questo Gabinetto.

La numismatica non fu che una faccia della sua multiforme attività letteraria; tuttavia l’acume dell’ingegno, la esemplare esattezza, e sopratutto la preziosa conoscenza dell’arabo, che gli era stato insegnato da Michele Amari, conferiscono singolare importanza alle sue poche pubblicazioni in questa materia, le quali si riducono alle seguenti:

Di alcuni Conii Osmani del Museo di Modena (con una tav. in rame). — Firenze, 1869. — (Nel Periodico di Numismatica e Sfragistica del March. Strozzi, Anno II, Fasc. III).

Di una moneta cufica con immagine (con un disegno). — Ivi, 1870. — (Period. di Num. e Sfrag., Anno II, Fasc. VI). [p. 421 modifica]

Monete omeiade e abbaside del Gabinetto Numismatico di Milano (con due tav. lit.). — (Nell’Annuario della Società Italiana per gli Studi Orientali, Anno I, 1872).

Monete arabiche del Gabinetto Numismatico di Milano. — Milano, Hoepli, 1878. — (In-4°, con tre tav. fotolit.).

Inoltre, nel Mediolanum edito dal Vallardi nel 1881 (vol. I, pag. 318-25) leggesi un suo articolo storico-descrittivo intorno al Gabinetto Numismatico di Milano.

A cinquantadue anni, nella pienezza delle facoltà intellettuali, Isaia Ghiron dovette soccombere al terribile morbo che minava la sua esistenza, così preziosa per la diletta famiglia, per gli amici, per quanti in Milano desiderano la diffusione della cultura e l’incremento delle scienze. All’uomo d’ingegno e di cuore, al collega immaturamente rapito, mi si conceda di porgere l’estremo addio in nome di questa Rivista, ch’egli aveva veduto sorgere con sì vivo interesse, e che dopo meno di due anni è costretta purtroppo a deplorare la sua precoce dipartita.






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IL BARONE DE WITTE.

Uno de’ Numismatici più distinti del Belgio, il Barone de Witte, è morto non ha guari, a Parigi, all’età di 82 anni, carico di onori e circondato dal rispetto e dall’affezione della sua famiglia e de’ numerosi ed illustri suoi amici.

L’elenco degli scritti del Barone de Witte è copioso, e ci porge una bella idea dell’attività da lui spiegata nelle erudite sue investigazioni. L’opera cui maggiormente si raccomanda la sua fama è quella che s’intitola: Recherches sur les empereurs qui ont régné dans les Gaules au III° siede de l’ère chrétienne; a lui si deve pure il merito di avere condotto a termine la traduzione (rimasta interrotta per la morte del suo maestro ed amico il Duca di Blacas) del classico lavoro di Mommsen sulla Storia della moneta romana.




Note

  1. Appartenenti alle zecche di Camerino, Casale, Correggio, Desana, Fano, Firenze, Gubbio, Maccagno, Malta, Messerano, Monaco, Montalcino, Perugia, Ravenna, Reggio d’Emilia, Rimini, Ronciglione, San Marino, Tagliacozzo, Tassarolo e Viterbo. — Veggansi specialmente le Curiosités numismatiques del Sig. Chalon, in varie annate della Revue Belge.