Rivista di Cavalleria - Volume I/III/Sull'alimentazione del cavallo di truppa II

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Sull’alimentazione del cavallo di truppa (Considerazioni e proposte) parte II

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Sull’alimentazione del cavallo di truppa (Considerazioni e proposte) parte II
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Sull’alimentazione del cavallo di truppa




Considerazioni e proposte




(Continuazione, vedi fascicolo primo).


Chi voglia occuparsi dell’alimentazione del nostro cavallo militare deve, anzitutto, aver presente che la produzione del lavoro — sia esso in modo di massa, sia in modo di velocità — richiede un appropriato impiego degli alimenti: lo che conduce a stabilire sopra una diversa base la composizione della razione foraggio e fornisce la maniera di ottenere il maggior profitto economico ed alimentare dai prodotti del nostro suolo.

Ciò premesso, io credo che se nella razione, invece di due, si facessero entrare quattro derrate, cioè, l’avena, l’orzo, il fieno e la paglia, si potrebbe, se non risolvere definitivamente l’arduo quesito, trarre un beneficio non lieve in favore dell’alimentazione dei nostri quadrupedi.

L’idea non è nuova, e ricordo che, pochi anni fa, il Ministero della guerra la sottopose al giudizio dei Comandanti di corpo d’armata e delle persone tecniche da essi dipendenti, sollecitandone il parere1.

Sulla scorta delle cifre tolte ai listini commerciali dei principali mercati della Penisola, il prezzo dell’orzo nell’ultimo quinquennio fu, in media, inferiore di tre lire al quintale al prezzo medio dell’avena.

Tale differenza, per un’amministrazione che deve acquistare migliaia e migliaia di quintali di un dato genere, ha senza dubbio una capitale importanza.

Oltre a ciò, non bisogna trascurare il fatto che la richiesta di quattro generi simili, invece di due, trovando nel mercato [p. 278 modifica]una più larga base di offerta, deve necessariamente conseguire facilitazioni nei prezzi.

Ma vi ha di più. La composizione chimica dell’orzo e dell’avena è, secondo il Magne2, la seguente:

  Orzo Avena


Materie azotate, o albuminoidi, o proteiche 11,50 10,60
     »        solubili nell’etere, o grassi 2,80 5,50
Estrattivi non azotati, o idrati di carbonio 65,50 61,90
Legnoso 3,20 4,10
Acido fosforico 0,85 0,58
Altre materie minerali 1,65 3,32
Acqua 14,50
14,00
Totali 100,00 100,00

Ricavando da tali cifre la relazione nutritiva dei due grani (ossia il rapporto che passa tra la quantità delle materie albuminoidi e la somma dei grassi e degli estrattivi non azotati contenuti in ciascun cereale), essa riesce tutta a favore del primo, nel quale è rappresentata da 1:5,9; mentre nell’altro ha il secondo termine maggiore, salendo fino a 1:6,3.

Dalla tavola degli equivalenti in materie azotate dei principali alimenti, dovuta al Boussingault, essendo preso come termine di paragone il fieno delle praterie naturali, si rileva che 100 parti in peso di questo contengono tanto azoto quanto se ne trova in 54 parti di orzo, oppure in 61 di avena. Ciò che, in altri termini, vuol dire, secondo il computo del celebre autore dell’Èconomie rurale, che un chilogramma di orzo equivale, in materie albuminoidi, a chilogrammi 1,130 di avena.

So bene che, alle cifre sopra riportate, altre possono contrapporsi, dalle quali risulti essere il primo cereale meno ricco di sostanze azotate: cosa, questa, da non recar meraviglia, ove si rifletta che la composizione chimica dei grani di una stessa specie di piante può offrire, all’analisi, considerevoli differenze, segnatamente riguardo all’azoto, a seconda della loro provenienza, [p. 279 modifica]della coltura, del grado di maturità del vegetale al tempo della raccolta, ecc.

Ma è da avvertire che, per non incorrere in esagerazioni, non ho citato analisi che, come quella del Lermer, assegnano all’orzo una forte dose di sostanze azotate; che i dati surriferiti sono tolti da opere d’incontrastato valore scientifico e che, infine, la generalità degli scrittori di chimica agraria, di bromatologia e d’igiene, sono concordi nell’ammettere la superiorità dell’orzo, in materie albuminoidi, rispetto all’avena.

«A chiunque consideri come i tessuti azotati dell’organismo animale non possono attingere i materiali occorrenti allo sviluppo ed al nutrimento loro se non dai corpi proteici, appare evidente l’alta importanza di questi principii nutritivi quali parti costitutive degli alimenti.

E siccome può ritenersi che la produzione di una determinata quantità di sostanze proteiche costi cinque volte di più della produzione di un’identica quantità di sostanze non azotate, è giusto sia assegnato alle prime un valore economico e quindi un prezzo cinque volte maggiore delle seconde»3.

Quanto alle materie solubili nell’etere, o grassi, contenute nei due cereali, è uopo riconoscere la loro prevalenza del doppio, quasi, nell’avena di quanto ne contenga l’orzo.

Essendo oramai accertato ch’esse esercitano una benefica influenza sull’alimentazione, non pure pel peculiare valore che hanno di alimenti ternari, ma anche perchè favoriscono la digeribilità degli albuminoidi e degli stessi estrattivi non azotati, fa mestieri accordare una certa importanza alla loro presenza in un dato genere alimentare.

Nondimeno, tale importanza viene scemata dal fatto che i grassi debbono entrare soltanto in certi limiti nell’alimento giornaliero; però che, secondo l’Hofmeister, la loro influenza può diventare nociva, oppure venir meno, quando la proporzione di essi oltrepassa il terzo di quella delle sostanze albuminoidi o n’è inferiore del quarto. [p. 280 modifica]

Ora, le materie solubili nell’etere si trovano nell’orzo in proporzione adeguata per servire alla digeribilità degli albuminoidi e degl’idrati di carbonio contenuti nel grano; e, poichè di esse non vi ha penuria nelle altre derrate facenti parte della razione giornaliera, non è dunque necessario averne una maggior dose, la quale, eccedendo il limite massimo della relazione adipo-proteica, attraverserebbe l’intestino senza essere in altro modo utilizzata.

Una volta credevasi che la formazione del grasso dell’economia animale traesse la sua origine unicamente da identiche sostanze ingerite con gli alimenti ed assimilate; ma oramai, dopo gli studi del Pettenkofer e del Voit, dell’Hennemberg, del Kemmerich, del Lawes, del Pasteur e di tanti altri, è a nostra conoscenza ch’esso deriva anche dalla trasformazione che subiscono nell’organismo gli albuminoidi e gl’idrati di carbonio4.

Queste ultime materie, soggette anch’esse alle esigenze della relazione nutritiva, oltre a trasformarsi in grasso ed a risparmiarne il consumo, hanno principalmente la funzione di partecipare allo sviluppo di calore e di forza meccanica, bruciando attraverso la fibra muscolare. Esse si trovano nell’orzo in una proporzione più elevata che non nell’avena.

La quale è poi provvista di una dose maggiore di legnoso dell’altro: lo che costituisce una ragione d’inferiorità a suo riguardo.

Ma la quantità di legnoso che ad essa attribuisce l’analisi chimica è solo quella che trovasi nella sua cariosside, o mandorla, non essendovi compresa la parte assai rilevante fornita dalle glume.

Queste, secondo il Vallon5, vi si trovano nel rapporto rispetto alla cariosside di 25:75; mentre, nell’orzo, tale [p. 281 modifica]rapporto è solo di 20:80. Vuol dire, dunque, che un quintale del primo grano contiene cinque chilogrammi in meno di farina di quanto se ne trova nella stessa quantità del secondo.

E veniamo alle materie minerali. Il lettore ha già osservato che l’acido fosforico trovasi nell’orzo nella proporzione di 0,27 per cento in più dell’avena. Ora, è a sapere che l’analisi chimica e l’osservazione dimostrano che le sostanze più ricche di fosforo sono anche le più nutritive. Nelle sostanze organizzate, questo corpo è, per la sua quantità, in rapporto diretto con l’azoto; però che gli alimenti ben provvisti di fosforo contengono del pari molto azoto.6

Quanto alle altre materie minerali, l’orzo contiene quantità di potassa, di magnesia, di ossido di ferro, di acido solforico, di cloro maggiori dell’avena, nella quale prevale, per contro, la soda e molto più la calce. In complesso, anche a tal riguardo, quest’ultimo cereale non si avvantaggia sull’altro.

Infine, non bisogna tacere che l’orzo, nel confronto, presenta un discapito a causa del mezzo per cento di acqua, che contiene in più; ma è cosa da poco: ben altre quantità, nelle abituali aspersioni dei grani, ne aggiungono i fornitori!

Ed ora ci si presenta una questione, la quale, in uno studio come questo, dev’essere tenuta in gran conto.

Un alimento può possedere una composizione chimica sotto ogni rispetto vantaggiosa, e non pertanto essere di un valore nutritivo assai basso paragonato ad un altro costituito meno vantaggiosamente.

Ciò dipende dalla varia facoltà che hanno i principii contenuti nelle singole sostanze alimentari ad esser sciolti ed assorbiti, a seconda della costituzione fisica di queste e della loro relazione nutritiva.

È, dunque, alla digeribilità che bisogna accordare un gran peso nella valutazione del potere nutritivo degli alimenti. [p. 282 modifica]

Senza intrattenermi sugli studi fatti in proposito e tacendo dei divisori dello Stohmann, mercè i quali s’era creduto di poter determinare approssimativamente la digeribilità relativa degli albuminoidi contenuti in ciascuno alimento, la cui composizione fosse nota, dirò soltanto che, dopo numerose ricerche, gli autori sono giunti a stabilire il coefficiente di digeribilità delle principali sostanze alimentari, cioè un numero che esprime la quantità centesimale che ciascun principio immediato cede all’assimilazione.

Ora, astraendo dalle variazioni che per molte circostanze tali numeri possono subire, i coefficienti di digeribilità dei cereali in esame sarebbero:

  Materie azotate Materie grasse Estrattivi non azotati
Orzo 79,00 68,00 90,00
Avena 74,68 77,84 74,06

Questi numeri, che sono il risultato delle ultime ricerche del Grandeau e di quelle del Dietrich e del Koenig, parlano abbastanza chiaro, perchè io mi creda obbligato d’aggiungere altre considerazioni per far risaltare le eccellenti qualità nutritive dell’orzo.

Del resto, a chi abbia un orrore innato per l’abbaco e sia diffidente o scettico degli studi di bromatologia, appellandosi unicamente al fatto pratico, posso, con sua grande soddisfazione e un poco anche mia, offrirgli quello che cerca.

Il Moderno Zooiatro, nel fascicolo del 10 novembre 1897, pubblicava la seguente nota riassuntiva di un articolo comparso pochi giorni avanti negli Annales de mèdecine vétérinaire di Bruxelles:

«F. Hendrickx. Della sostituzione dell’avena mediante l’orzo nella razione del cavallo. — L’autore l’ha sperimentato sopra buon numero di cavalli e l’esperimento ha durato dal 1° ottobre 1896 al 30 aprile 1897, nel quale periodo il servizio dei cavalli, che lavoravano ad andatura accelerata in città, fu assai rude, a causa della stagione.

L’esperimento fu fatto su trenta cavalli (divisi in due serie [p. 283 modifica]di 15 ciascuna) scelti per quanto è possibile nelle stesse condizioni di età e soggetti allo stesso servizio.

I trenta cavalli furono pesati il 1° ottobre 1896; il peso medio dei 15 cavalli componenti la serie A fu di 473 kg.; quello dalla serie B di 469 kg.

A partire dal 1° ottobre 1896, la base della razione dei cavalli componenti la serie A fu di 9 kg. di avena, mentre quelli della serie B ricevettero 5 kg. di avena e 4 kg. di orzo schiacciato.

Il 1° maggio 1897, tutti i cavalli furono di nuovo pesati, e il risultato fu che il peso medio della serie A fu di 479 kg. e quello della serie B di 498. Adunque i cavalli nutriti con sola avena guadagnarono in media 6 kg. di peso, mentre quelli cui fu somministrato l’orzo ne guadagnarono 29 in media.

Non si osservò alcun disordine notevole dell’apparato digerente in alcuno dei trenta cavalli. L’aspetto generale dei cavalli della serie B era migliore di quelli della serie A. Non si osservò alcuna differenza nello stato delle estremità fra i cavalli delle due serie.

Queste esperienze confermano quelle del Lavalard.

Quanto al risultato economico, anche per questo verso la sostituzione si mostrò vantaggiosa. Invero, l’avena costò in media 17 lire, mentre l’orzo valse costantemente 12 circa. In tali condizioni di cose, l’economia prodotta dalla sostituzione di 4 kg. di avena mediante 4 kg. di orzo fu di 20 centesimi per giorno e per cavallo, e di lire 3 per giorno per i 15 cavalli, ossia di lire 1100 all’anno per una forza di 15 cavalli; la qual sostituzione, conclude l’autore, rappresenta approssimativamente il fitto di 8 ettari di buona terra.

Molti proprietari di cavalli, per consiglio dell’autore, hanno pur essi operata la sostituzione di una parte dell’avena mediante l’orzo, e tutti quanti con vantaggio e soddisfazione.»

E dopo ciò, parmi che le elucubrazioni della scienza — di quella scienza che a certa gente fa l’effetto del rosso ai tacchini — hanno avuto, anche questa volta, una buona riconferma dall’esperimento pratico.

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Ma è cosa oltremodo difficile persuadere del contrario chi, avendo appresa una nozione falsa od inesatta, si è affezionato a questa e la reputa oramai proprietà inalienabile del suo bagaglio scientifico.

L’orzo — mi si opporrà da taluno — dato pure che possieda qualità nutritive ottime, presenta nondimeno il grave inconveniente di produrre la podoflemmatite, le indigestioni ed essere difficile a masticarsi.

Quanto alla podoflemmatite, o rifondimento che dir si voglia, l’accusa è vecchia, anzi decrepita, e tuttavia non ha acquistato ancora nessun diritto alla venerazione, come i ruderi ed i monumenti archeologici.

Discorriamone un poco.

Gli antichi osservarono che i cavalli ben nutriti, pletorici, andavan soggetti ad una speciale malattia dei piedi più frequentemente di quelli le cui condizioni generali erano meno vantaggiose o scadenti. E siccome ad essi non erano ignote le eccellenti qualità nutritive dell’orzo, principale alimento dei lora cavalli questo credettero causa della malattia.

La quale, anche oggi, è dai Francesi distinta con un nome (fourbure, e dicono fourbu il cavallo che n’è affetto) che rammenta l’antica etiologia; però che «forbeu crithiasis (orzo dei greci Apsirto e Jerocle) l’hordeatio dei latini corrisponde al rifondimento. Infatti, Vossio scrive: Hordeum prius fuit fordeum: da questa voce derivò il forbeu»7. Ed ecco l’origine di un vocabolo che da secoli si trae dietro una credenza che posa sopra una doppia base di vero e di falso.

Che un’alimentazione molto sostanziosa, capace di generare nel cavallo uno stato di pinguedine o di pletora, possa influire nello sviluppo della podoflemmatite, è cosa da non porre in [p. 285 modifica]dubbio alcuno. Ma inferire che l’orzo, perchè ricco di principii alibili, eserciti un’influenza tutta propria, specifica, nell’etiologià di tale malanno, è ciò che non si può ammettere assolutamente.

Scrittori vissuti in tempi in cui questo cereale era di uso comunissimo nell’alimentazione del cavallo, non pare si mostrino troppo ligi alla vecchia credenza. Essi abbandonano la primitiva denominazione di hordeatio, data alla malattia, e la chiamano, invece, infuso, infunditura, infusione, rinfuso, rinfondimento, sufusione neli piedi, riprensione ed anche podagra.

Giordano Ruffo, Piero de’ Crescenzi, Lorenzo Rusio, Agostino Columbre riconoscono nella nutrizione sovrabbondante una delle cause atte a produrre l’infuso; ma non ne incolpano specificatamente l’orzo.

Il Rusio scrive: Est et alia equi infirmitas, quæ plerumque accidit ex comestione et potatione superflua et quandoque ex immoderato labore aut gravium dolorum vexatione, propter quod dissoluti humores ad crura descendunt et ungulas... Haec autem infirmitas infusio vulgariter nuncupatur8.

In tempi da noi meno lontani, Giovambattista Trutta nota che tale «infermità offende li Cavalli per più cagioni: mentre restano ripresi nelle stalle per lungo riposo, e per mangiar bene, come anche per abbondanza di sangue»9. Enumera parecchie altre cause: la soverchia fatica, la retrocessione del sudore, la ferratura troppo stretta, le inchiodature, ecc.; ma non accenna neppur lontanamente ad alcuna influenza dell’orzo, [p. 286 modifica]«col quale — dice avanti, trattando del regime verde — si nutriscono li Cavalli tutto l’anno, come anche con la paglia di grano»10.

Gli autori moderni che ammettono ancora l’hordeatio, si mostrono evidentemente più teneri della tradizione classica, anzichè della verità dei fatti e tradiscono la mancanza di osservazioni personali.

Il Vachetta, così scrupoloso ricercatore di tutto e la cui autorità in materia ha un gran peso, riconosce fra le cause che possono determinare il rifondimento anche «il cibo troppo lauto, specialmente di cereali»11.

Dunque, non l’orzo soltanto, ma anche l’avena e gli altri grani, somministrati abbondantemente, debbono entrare nell’etiologia della podoflemmatite.

Il Solleysel, il Blind, l’Hertwig — citati dallo Zundel12 — il Lebeaud13 e molti altri scrittori parlano del rifondimento dovuto ad una ricca alimentazione con avena, specialmente quand’essa è nuova.

Il Vallon si esprime, al riguardo, in una maniera addirittura esauriente.

«Alcuni ippologi — egli scrive — incolpano l’orzo di produrre spesso le indigestioni e la podoflemmatite ed essere di assai diffcile masticazione. Quanto a determinare le indigestioni ed il rifondimento, la loro opinione non è punto fondata. Tali malattie, infatti, sono meno comuni in Algeria ed in Asia, anzichè in Francia, non pure nei cavalli indigeni di quei paesi, ma ancora in quelli che vi s’introducono.

Durante il nostro lungo soggiorno in Algeria e nella nostra esplorazione ippica in Siria, spesso vedemmo dare ai cavalli, in una sola profenda, otto, dieci ed anche dodici chilogrammi di orzo vecchio o nuovo, e non ci avvenne di notare [p. 287 modifica]che assai di rado l’inconveniente che lamentasi; il quale, in tali condizioni, avrebbe dovuto sicuramente prodursi.

È certo che, se si fossero date loro quantità eguali di avena, questa non sarebbe stata meno inoffensiva»14.

E mi pare che basti per ciò che concerne la podoflemmatite.

Molti argomenti potrei addurre in contradittorio alla credenza che ritiene l’orzo causa d’indigestioni; ma, dopo quello che in proposito affermano l’Hendrickx ed il Vallon, stimo superfluo spendere altre parole.

Infine, non bisogna esagerare la durezza che questo grano oppone alla masticazione; però che l’inconveniente si verifica solo nei primi giorni in cui i quadrupedi sono assoggettati al nuovo regime, al quale presto si abituano.

Quando si pensa che, in alcune provincie dell’Italia meridionale e in altri paesi, molti cavalli mangiano senza grande difiicoltà la faba equina, il cui legume ha una consistenza durissima, si può essere ben sicuri che l’orzo non resiste all’azione dei loro molari.

La medesima accusa, d’altronde, venne fatta all’avena, onde ne fu consigliato da qualche igienista lo schiacciamento.

Un siffatto mezzo suggeriscono anche riguardo all’orzo; ma nessuno asserisce, nè sussiste il fatto, che in Asia, in Africa, in Spagna, in Sardegna, in Sicilia ed in tutte le contrade dove questo cereale si somministra largamente ai cavalli, tale operazione si pratichi, perchè creduta necessaria.

(Continua)

Dott. G. Cosco
Capitano veterinario nei Cavalleggeri di Catania.


Note

  1. Circolare in data 20 maggio 1893, n. 4061.
  2. Les races chevalines et leur amélioration, 3e édit., Paris, 1870, pag. 385 et 394.
  3. Settegast, L’alimentazione del bestiame, trad. di A. Vezzani — Pratonieri, Firenze, 1885, pag. 7.
  4. Cfr.: Köhne, Trattato di patologia generale, trad. dei dottori Oreste, Generali e N. Lanzillotti-Buonsanti, Milano, 1873, pag. 103; Sanson, Trattato di zootecnia, trad. dei professori Lemoigne e Tampelini, Milano, 1880, pag. 185; Paladino, Istituzioni di fisiologia, Napoli, 1885, vol. I, pag. 390-91; Settegast, op. cit, pag. 8 e 12; Cadéac, Pathologie generale, Paris, 1893, pag. 146-47, ecc.
  5. Cours d’hippologie, Paris, 1874. 2e édit., t. II, pag. 134 et 140.
  6. Baillet, Hygiène vétérinaire générale, Paris, 1883, 4e édit., pag. 17.
  7. Trattati di mascalcia attribuiti ad Ippocrate, tradotti dall’arabo in latino da Maestro Moisè da Palermo, volgarizzati nel secolo XIII e messi in luce da Pietro Delprato (con note filologiche di Luigi Barbieri), Bologna, 1865, pag. 15, in nota.
  8. La Mascalcia di Lorenzo Rusio, Bologna, 1867, cap. CXXXVII.
    A titolo di curiosità, riporto la traduzione del brano sopra trascritto, in vernacolo siciliano del secolo XIV:
    Ane un’altra infermetate delu cavallu, la quale pienamente abene per manecare et plu per bevere multu, et alcuna fiata per smodata fatiga, voi per vessatiune de grande dolore, per la quale cosa descengenu li dissoluti humuri ale ganme et all’ungia.... Et questa passiune vulganamente se chiama infusione.
  9. Novello Giardino della prattica ed esperienza, Napoli, 1785, lib. I, trattato III, pag. 192.
  10. Ibid., lib. I, trat. I, pag. 36.
  11. La Chirurgia speciale degli animali domestici, Pisa, 1889, Voi. II. pag. 1083.
  12. Dictionnaire, ecc. art. Fourbure.
  13. Nouveau manuel du vétérinaire, Paris, 1847, pag. 173.
  14. Op. cit., Vol. II, pag. 141-42.