Sentenza Corte Costituzionale n. 153-1987

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Corte Costituzionale

1987 diritto diritto Sentenza della Corte Costituzionale n. 153/1987 Intestazione 30 ottobre 2008 75% diritto

Infondatezza questione legittimità costituzionale dell'art. 195 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156
1987
Organo giudicante: Corte Costituzionale
Deposito in Cancelleria: 13/05/87


SENTENZA 13 MAGGIO 1987, N° 153

CORTE COSTITUZIONALE


Nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, primo comma; 2, primo comma e 45 della legge 14 aprile 1975 n. 103 «Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva» promosso con ordinanza emessa il 4 maggio 1982 dal Consiglio di Stato - Sezione VI giurisdizionale - sul ricorso proposto dalla s.r.l. Belton contro il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, iscritta al n. 870 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica n. 142 dell'anno 1983;

Visto l'atto di costituzione della s.r.l. Belton nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 10 febbraio 1987 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;

Uditi l'avv. Maria Alessandra Sandulli per la s.r.l. Belton e l'Avvocato di Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.


RITENUTO IN FATTO


1. - Con ricorso depositato il 30 ottobre 1980 la Belton s.r.l. adiva il T.A.R. della Lombardia chiedendo l'annullamento del provvedimento con cui il direttore del Circolo Costruzioni Telegrafiche e Telefoniche di Milano, in data 3 ottobre 1980, ordinava la disattivazione di un impianto di radiodiffusione, di proprietà della ricorrente, che trasmetteva in lingua tedesca, dal territorio italiano, verso la Svizzera e la Germania.

A fondamento del provvedimento impugnato - adottato nell'esercizio del potere di autotutela di cui all'art. 195 u.c. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 - l'amministrazione poneva i seguenti motivi: a) violazione del divieto di installazione ed esercizio di impianti di telecomunicazione senza la relativa concessione (art. 195 rectius: 183 - d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156) trattandosi, nella specie, di trasmissioni radiofoniche che, eccedendo l'ambito nazionale ed, ampiamente, anche quello locale, sono riservate al servizio pubblico dagli artt. 1 e 2 l. 14 aprile 1975, n. 103 e concedibili solo ai sensi del successivo art. 3 stessa legge; b) violazione dell’art. 240 d.P.R. n. 156/73 sul presupposto che le trasmissioni della emittente in questione provocano disturbi ed interferenze a quelle di altra emittente radio dell’amministrazione Svizzera, come da quest'ultima più volte lamentato.

Nel corso del giudizio la ricorrente sollevava, con riferimento agli artt. 21, 41, 43 Cost., la questione di costituzionalità dell'art. 21 n. 103 del 1975 nella parte in cui riserva al monopolio statale le trasmissioni radiofoniche verso l'estero, non ricorrendo nel caso di specie i presupposti richiesti dall’art. 43 Cost. (e cioè che si tratti di «servizio pubblico essenziale» e che sussistano i «fini di utilità generale») per giustificare l'avvocazione in esclusiva del servizio stesso allo Stato.

Nel rigettare il ricorso con sentenza in data 4 dicembre 1981 n. 1515 il giudice di primo grado rilevava la manifesta infondatezza della questione sollevata, in quanto le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale per le trasmissioni su scala nazionale (e particolarmente quelle contenute nella sentenza 202/76) «non possono non valere anche per quelle su scala internazionale» nel cui ambito si deve ritenere ugualmente sussistente il pericolo della formazione di monopoli ed oligopoli privati.

2. - La società proprietaria dell’impianto di radiodiffusione, ricorrendo in appello al Consiglio di Stato, riproponeva la questione di costituzionalità dianzi illustrata, estendendola al potere sanzionatorio previsto dall'art. 195 d.P.R. 156/73 nella parte concernente la riserva verso l'estero.

Oltre la violazione dei già citati parametri costituzionali, la ricorrente assumeva che la predetta riserva era anche in contrasto: a) con il principio di ragionevolezza sancito dall'art. 3 Cost., in relazione alle finalità che il legislatore aveva inteso perseguire (ed espressamente dichiarate nell'art. 1 l. 103/75) riservando allo Stato, in via di principio, la diffusione radiofonica e televisiva su scala nazionale; b) con l'art. 10 primo comma Cost. che imporrebbe l'adeguamento automatico del nostro ordinamento alla norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta che sancisce la libertà di diffondere il pensiero senza limiti di frontiera (art. 10 convenzione europea dei diritti dell'uomo).

Il Consiglio di Stato con sentenza non definitiva emessa in data 26 ottobre 1982, N. 508, prendendo le mosse dalla decisione di primo grado nella quale si dava atto che alcuni dei motivi posti a fondamento del provvedimento impugnato erano venuti meno avendone la ricorrente eliminato i presupposti di fatto (ponte radio abusivo, interferenze con le trasmissioni dell'emittente svizzera), delimitava l’oggetto del giudizio alla violazione del divieto di diffondere trasmissioni radiofoniche eccedenti l'ambito locale, senza concessione. Sul punto, affermava che l'attività svolta dall'emittente in questione, in quanto rivolta verso paesi esteri, non sarebbe suscettibile di essere puramente e semplicemente qualificata come eccedente l'ambito locale, dovendosi ritenere che la distinzione tra «scala nazionale» e «scala locale» - formulata dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e recepita dal legislatore (art. 1 primo comma L. 103/75) - sia esclusivamente riferibile alle trasmissioni diffuse nel territorio italiano e destinate alla collettività dei cittadini. Decideva, pertanto, di rimettere all'esame di questa Corte, con separata ordinanza, la relativa questione di costituzionalità sollevata dalla ricorrente.

3. - Nell'atto di rimessione, coevo alla citata decisione parziale, il giudice a quo sostiene in punto di rilevanza che l’ordine di disattivazione trarrebbe la sua legittimazione proprio dalla norma che prevede la riserva allo Stato delle trasmissioni verso l'estero (art. 2 primo comma l. 103/75).

Nel merito ritiene poi non manifestamente infondata la questione di costituzionalità degli articoli 1, 2 e 45 l. 103/75 nella parte in cui prevedono la predetta riserva (e la relativa potestà di autotutela) per le trasmissioni verso l’estero, diffuse circolarmente mediante impianti posti sulla terraferma. Tali norme, infatti, si porrebbero in contrasto con gli articoli 3, 21, 42 e 43 Cost., in quanto per le trasmissioni dirette verso l’estero non ricorrono gli stessi requisiti propri delle trasmissioni su scala nazionale, mancando nella specie il carattere di servizio pubblico essenziale, di preminente interesse generale, nel significato attribuitogli dall'art. 1 l. 103/75 e dalle sentenze della Corte costituzionale n. 202/76 e n. 148/81. Ed è proprio l’assenza di tali requisiti che non giustificherebbe, sul piano della legittimità costituzionale, il monopolio statale ed il correlativo parziale sacrificio della libertà di iniziativa economica e di manifestazione del pensiero.

Peraltro, anche nell'ipotesi in cui si volesse ritenere che il citato articolo 1 vada riferito alle sole trasmissioni su scala nazionale, l’assenza, nelle attività in questione, dei requisiti previsti dall'art. 43 Cost. evidenzierebbe un ulteriore profilo di incostituzionalità consistente nella irragionevole (art. 3 Cost.) assimilazione, sul piano normativo, delle trasmissioni verso l'estero a quelle su scala nazionale.

Atteso dunque che l'art. 43 non può giustificare la riserva in esame, il giudice a quo, ritiene di dover accertare se la stessa possa fondarsi su altre norme di diritto internazionale alle quali il nostro ordinamento è tenuto a conformarsi secondo quanto prescrive l'art. 10 primo comma Cost.. In proposito, osserva il Consiglio di Stato, che non esiste nell'ordinamento internazionale alcuna norma che contenga un divieto generalizzato di trasmissioni verso l'estero (non potendosi interpretare in tal senso l'art. 7 par. 423 del regolamento delle radiocomunicazioni adottato a Ginevra il 21 dicembre 1959 - esattamente riprodotto nell'art. 30 par. 2666 del nuovo regolamento in vigore dal 1° gennaio 1982 - concepito al solo scopo di evitare disturbi ed interferenze al servizio di radiodiffusione del paese confinante o vicino), mentre, a parte alcune norme che esplicitamente prevedono tale divieto in casi particolari (stazioni di radiodiffusione a bordo di navi, aeronavi, o di qualsiasi oggetto galleggiante o aerotrasportato, fuori dei territori nazionali oppure satelliti orbitanti che debbono diffondere il meno possibile emissioni su paesi diversi da quello desiderato), va rilevata la presenza di un principio generale - sancito dall'art. 10 n. 1 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali - che, assicurando la libertà di diffondere informazioni ed idee senza ingerenza della pubblica autorità e senza riguardo alle frontiere, porrebbe in contrasto la riserva in questione con l’art. 10 primo comma della Costituzione, tenuto anche conto del fatto che il divieto assoluto che il monopolio statale comporta (per cui è soltanto ammessa la concessione del servizio ad una società in totale mano pubblica) non è certamente assimilabile al regime di autorizzazione amministrativa che l'art. 24, par. 2020, del nuovo regolamento delle radiocomunicazioni espressamente impone per le attività di emittenza via etere.

Ed è proprio la necessità di un regime di autorizzazione che - ad avviso del giudice a quo - consente di ritenere giustificato il permanere del divieto di trasmissioni verso l'estero effettuate fuori dai territori nazionali (a bordo di navi, aeromobili, satelliti in orbita ... ), essendo, in tali ipotesi, se non impossibile almeno di fatto estremamente difficoltoso il controllo amministrativo.

4. - Si è costituita davanti questa Corte la Belton s.r.l. e ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri.

La società proprietaria dell'emittente radiofonica nel ribadire, approfondendole, le argomentazioni svolte dal giudice a quo, aggiungeva che nel caso in esame non era possibile ravvisare quei «fini di utilità generale» che ai sensi dell'art. 43 Cost. costituiscono presupposto indispensabile della riserva statale. Ed infatti, a prescindere dal rilievo che tale «utilità generale» va valutata in relazione alle esigenze dell'Italia e non può estendersi fino a coprire gli interessi degli altri paesi, si deve osservare che per le trasmissioni verso l'estero non è comunque ipotizzabile un monopolio od oligopolio privato.

Per quanto attiene all'aspetto internazionale, la Belton s.r.l. ha affermato il contrasto della riserva in questione con l'art. 10 primo comma Cost. svolgendo, sul punto, considerazioni analoghe a quelle del giudice a quo.

Infine, in una successiva memoria depositata nei termini, ha osservato che la riserva allo Stato delle trasmissioni verso l'estero risulterebbe insostenibile anche alla luce della recente legge n. 10 del 1985, contenente «Disposizioni urgenti in materia di trasmissioni radiotelevisive». La nuova normativa, infatti, modificando il precedente regime contenuto nella legge n. 103 del 1975, avrebbe imposto la coesistenza delle trasmissioni pubbliche e private in qualsiasi ambito spaziale ad eccezione di quello coincidente cori l'intero territorio nazionale, in relazione al quale, soltanto, continua a sussistere il monopolio statale. Peraltro, la predetta legge resterebbe in vigore - in quanto non abrogata e non incompatibile - limitatamente alla parte concernente la disciplina del servizio pubblico nazionale, mentre l'unico limite imposto all'emittenza privata consisterebbe nel divieto di determinare situazioni di incompatibilità con i pubblici servizi.

5. - Nel suo atto di intervento l'avvocatura generale dello Stato ha in primo luogo eccepito l'irrilevanza, nel giudizio a quo, della questione di Costituzionalità. Ed infatti l'ordinanza di disattivazione non si fonderebbe sull’unico motivo della riserva allo Stato delle trasmissioni verso l'estero, ma bensì su tre autonomi motivi, ciascuno idoneo a sostenerla (emissioni eccedenti l'ambito locale, emissioni verso l'estero, indebito disturbo di emittenti stranieri). In relazione agli altri due motivi, pertanto, nessuna efficacia potrebbe avere, ai fini della caducazione dell'atto, l'eventuale esame di costituzionalità delle norme impugnate.

L'avvocatura eccepisce inoltre la manifesta infondatezza della questione, che, concernendo trasmissioni eccedenti l'ambito locale e quindi equiparabili a quelle

su scala nazionale, sarebbe già stata affrontata e decisa dalla Corte costituzionale con numerose sentenze e in particolare con le nn. 202/76 e 148/81.

Nel merito ed in relazione all'aspetto attinente alla normativa internazionale, l'interveniente osserva poi che l'art. 10 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, prevedendo due importanti deroghe alla libertà di manifestazione e diffusione del pensiero, consentirebbe agli stati aderenti di disciplinare i propri servizi radiotelevisivi in regime monopolistico, in conformità, peraltro, a quanto prevede l'art. 1 del preambolo del trattato di Malaga - Torremolinos che riconosce a ciascuno Stato il diritto sovrano di regolamentare il proprio sistema di telecomunicazione.

Sostiene infine l'avvocatura, contrariamente a quanto affermato nell'ordinanza di rimessione, che l'art. 7 par. 423 del regolamento delle radiocomunicazioni approvato a Ginevra il 21 dicembre 1959 conterrebbe un divieto generalizzato di trasmissioni verso l'estero e che, comunque, in tal senso sarebbe stato sempre interpretato nella prassi internazionale.


CONSIDERATO IN DIRITTO


1. - Nel corso del giudizio di appello relativo all'impugnativa del provvedimento con il quale il direttore del Circolo costruzioni telegrafiche e telefoniche di Milano, in data 3 ottobre 1980, aveva ordinato la disattivazione di un impianto di radiodiffusione di proprietà della Belton s.r.l. che trasmetteva in lingua tedesca, dal territorio italiano verso la Svizzera e la Germania, il Consiglio di Stato ha sollevato - con riferimento agli artt. 3, 21, 41 e 43 Cost. nonché in relazione agli arti. 10, primo comma, della Costituzione e 10, n. 1 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955 n. 848 - questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, primo comma, 2, primo comma e 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103, rispettivamente la prima norma, nella parte in cui riservano allo Stato le trasmissioni verso l’estero mediante impianti di diffusione circolare radiofonica e televisiva posti sulla terraferma e la seconda norma, in quanto disponendo in ordine al relativo regime sanzionatorio.

2. - Il giudice a quo - che con separata sentenza non definitiva, coeva all'ordinanza di rimessione, aveva dato atto di quanto già ritenuto nella sentenza di primo grado circa l'avvenuto superamento in punto di fatto delle altre circostanze sulle quali si sorreggeva il provvedimento di disattivazione degli impianti - precisa che il provvedimento in parola trae ormai la sua legittimazione soltanto dalle norme denunciate che prevedono la riserva allo Stato delle trasmissioni verso l'estero e la relativa potestà sanzionatoria, onde la rilevanza ai fini del decidere della dedotta questione di legittimità costituzionale.

Quanto alla non manifesta infondatezza l’ordinanza di rinvio sostiene che le norme denunciate si porrebbero in contrasto con gli artt. 3, 21, 41 e 43 Cost., in quanto per le trasmissioni dirette verso l'estero non ricorrono gli stessi requisiti propri delle trasmissioni su scala nazionale, mancando nella specie, per giustificare il monopolio statale, il carattere di servizio pubblico essenziale di preminente interesse generale, ai sensi dell'art. 43 Cost. nel significato attribuitogli dall'art. 1 della legge n. 103/75 e dalle sentenze della Corte costituzionale n. 202 del 1976 e n. 148 del 1981.

Nella ipotesi poi si volesse ritenere che il citato articolo 1 vada riferito alle sole trasmissioni su scala nazionale, la riserva ora denunciata contenuta nell'art. 2 della legge stessa si porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto sarebbe irragionevole assimilare alla disciplina delle trasmissioni all'interno sii scala nazionale quelle circolari verso l'estero.

D'altronde, secondo il giudice a quo, dato che la materia in esame è anche oggetto di normativa internazionale, gli accordi sottoscritti dall'Italia (art. 7 par. 423 del regolamento delle radiocomunicazioni adottato a Ginevra il 21 dicembre 1950 reso esecutivo in Italia con d.P.R. 25 settembre 1967 n. 1525 - vigente all'epoca del regolamento impugnato - riprodotto nell'art. 30 par. 2666 del successivo regolamento adottato a Ginevra il 6 dicembre 1979 e reso esecutivo con il d.P.R. 27 luglio 1981 n. 740) contenenti alcune limitazioni cui gli Stati devono sottostare nelle trasmissioni verso l'estero, non possono interpretarsi come espressione di un divieto generalizzato di tale tipo di trasmissioni, che possa, in virtù dell'adeguamento automatico previsto dall'art. 10, primo comma, Cost., giustificare il monopolio statale.

Un divieto del genere, costituente norma restrittiva della libertà di manifestazione del pensiero, tutelata nella normativa internazionale dall'art. 19 della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e dall'art. 10 n. 1, della convenzione europea dei diritti dell'uomo, si sarebbe potuto ritenere esistente solo se fosse stato esplicitamente stabilito. Così come lo sono, invece, sia il divieto previsto dagli artt. 7 par. 422 e 30, par. 2665 rispettivamente del vecchio e nuovo regolamento delle radiocomunicazioni relativo alla radiodiffusione sonora e televisiva effettuata a bordo di navi, di aeronavi o di qualsiasi oggetto galleggiante o aerotrasportato, sia il divieto, posto dall'accordo europeo di Strasburgo del 1965 reso esecutivo con l. 4 giugno 1982 n. 385, per la repressione delle emissioni di radiodiffusioni effettuate da stazioni site fuori dai territori nazionali, o infine il divieto relativo a satelliti orbitanti, per i quali si è convenuto che debbono tendere a diffondere il meno possibile le emissioni su Paesi diversi da quelle cui sono dirette (art. 7, par. 428 A del citato regolamento reso esecutivo nel 1967 e art. 30, par. 2674 del nuovo regolamento reso esecutivo nel 1981).

Al riguardo l'ordinanza di rinvio precisa che i divieti e le limitazioni posti da quelle norme, lungi dal costituire espressione di un divieto generalizzato di diffusione verso l'estero, si giustificano per il fatto che le trasmissioni effettuate al di fuori dai territori nazionali, a bordo di navi, aeronavi ecc., si differenziano, nel trattamento, da quelle effettuate dalla terraferma, perché, diversamente da queste ultime, non possono essere sottoposte facilmente ai controlli relativi al regime di autorizzazione che la normativa internazionale (si veda l'art. 24 par. 2020 del nuovo regolamento cir.) richiede per tutte le stazioni di emissione in generale.

Al di fuori dei divieti espressamente previsti e giustificati da peculiari finalità, la normativa internazionale non contiene dunque, ad avviso del giudice a quo, un divieto generale di trasmissioni verso l'estero, essendo tutti gli altri accordi (art. 44, convenzione di Atlantic City del 1947, resa esecutiva con d.P.R. 27 dicembre 1948 n. 1694; artt. 33, 34 e 35 della Convenzione internazionale delle telecomunicazioni di Malaga-Torremolinos del 1973, resa esecutiva con l. 7 ottobre 1977 n. 790; gli artt. 1, par. 160-163, 6, par. 339-343, 18 par. 1798-1810, 22 par. 1913-1966 del citato nuovo regolamento reso esecutivo nel 1981) diretti solo ad evitare disturbi nocivi ed interferenze nei confronti degli altri Stati.

Escluso quindi che sussista una giustificazione del monopolio statale in base ad un eventuale divieto generalizzante di carattere internazionale cui l’Italia si sarebbe adeguata ex art. 10, primo comma, Cost. l’ordinanza di rimessione ravvisa invece un ulteriore profilo di incostituzionalità delle norme denunciate proprio con riferimento all’art. 10, primo comma Cost., in relazione all’art. 10 n. 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva con l. 4 agosto 1955 n. 855 che assicura all’individuo la libertà di espressione del pensiero senza riguardi di frontiera, con qualsiasi mezzo di comprese le radiodiffusioni e le televisioni.

3. - L'Avvocatura generale dello Stato aveva preliminarmente eccepito, nell'atto di intervento, l'irrilevanza della questione di costituzionalità nell'assunto che il provvedimento impugnato dinanzi al giudice amministrativo si fondava su tre autonomi motivi, ciascuno di per sé idoneo a sorreggerlo.

Nel corso della discussione il rappresentante dell'avvocatura ha però ammesso che già dalla sentenza di primo grado risultava che due di quei motivi erano venuti meno, avendo la ricorrente spontaneamente eliminato i presupposti di fatto (ponte radio abusivo, interferenze con le trasmissioni dell'emittente svizzera) e che il giudizio a quo era rimasto perciò delimitato, quanto all'oggetto, al profilo relativo al divieto di diffondere trasmissioni radiofoniche verso l'estero in base alle norme denunciate.

Si è dato perciò atto da parte dell'avvocatura dello Stato della mancanza dei presupposti su cui si fondava l'eccezione di irrilevanza che deve quindi ritenersi superata.

Quanto poi al rilievo - cui si è fatto qualche cenno negli scritti difensivi della pane privata costituita in giudizio - relativo al sopravvenire della legge 4 febbraio 1985 n. 10, che avrebbe disciplinato in modo diverso la materia delle trasmissioni radiotelevisive, va precisato che mentre non è compito di questa Corte valutare se la nuova legge abbia o meno efficacia abrogativa sulle norme oggetto dell'incidente di costituzionalità, in ogni caso la norma sopravvenuta non avrebbe nessuna incidenza sul giudizio in corso in quanto i rapporti del giudizio a quo sono regolati, ratione temporis, dalle norme denunciate, onde la perdurante rilevanza della questione di legittimità costituzionale relativa a queste ultime norme.

4. - Ai fini dell'esame del merito della questione di legittimità costituzionale sembra utile richiamare alcuni principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale in tema di monopolio delle trasmissioni via etere.

La Corte era partita da un originario ordine di idee giustificato dallo stato delle conoscenze tecniche dell'epoca, così esprimendo nella sentenza n. 59 del 1960 l'avviso che «data l'attuale limitatezza di fatto dei canali utilizzabili, la televisione a mezzo di onde radioelettriche (radiotelevisione) si caratterizza indubbiamente come un'attività predestinata, in regime di libera iniziativa, quanto meno all'oligopolio: oligopolio totale od oligopolio locale, a seconda che i servizi vengano realizzati su scala nazionale o su scala locale. Collocandosi così tra le categorie di imprese che si riferiscono a situazioni di monopolio, nel senso in cui ne parla l'art. 43 Cost., per ciò solo essa rientra tra quelle che - sempre che non vi ostino altri precetti costituzionali - l'articolo stesso consente di sottrarre alla libera iniziativa».

In proposito non era sembrato «arbitrario» che il legislatore avesse ravvisato «nella diffusione radiotelevisiva i caratteri di attività di preminente interesse generale, richiesti dall'art. 43», data «l'altissima importanza che, nell'attuale fase della nostra civiltà, gli interessi che la televisione tende a soddisfare... assumono, - e su vastissima scala - non solo per i singoli componenti del corpo sociale, ma anche per questo nella sua unità».

Parimenti si era ritenuto che sussistessero anche «ragioni di utilità generale», consistenti nel sottrarre alla disponibilità «di uno o pochi soggetti, prevedibilmente mossi da interessi particolari», i servizi radiotelevisivi, per riservarli allo Stato che è «istituzionalmente in grado di esercitarli in più favorevoli condizioni di obiettività, imparzialità, completezza e continuità in tutto il territorio nazionale».

In questo senso il monopolio statale si era ritenuto non contrastare col sistema degli artt. 41 e 43 Cost.

Inoltre - essendo i canali televisivi all'epoca della sentenza n. 59 del 1960 limitati -l'avocazione allo Stato di quei mezzi di diffusione del pensiero, non si era ritenuta in contrasto con il principio di cui all'art. 21 Cost., essendo lo Stato, meglio di qualsiasi altro soggetto in grado di assicurare, obiettività e imparzialità. Successivamente con la sentenza n. 225 del 1974 (in riferimento agli artt. 21, 41 e 43 Cost.), oltre a ribadire quanto già affermato in quella precedente, del 1960, la Corte ritenne sussistente un'altra delle tre ipotesi contemplate dall'art. 43 e cioè il carattere del servizio pubblico essenziale in quanto destinato a soddisfare un bisogno fondamentale della collettività.

Partendo da queste premesse la Corte ritenne costituzionalmente illegittimo il monopolio pubblico delle attività inerenti ai c.d. ripetitori di stazioni estere non ricorrendo il presupposto della limitatezza dei canali che potesse giustificare una compressione del principio di cui all'art. 21 Cost.: pertanto nell'ipotesi allora esaminata, e cioè relativa ai ripetitori di trasmissioni estere, si affermò che l'esclusiva statale avrebbe ingiustificatamente sbarrato «la via alla libera circolazione delle idee, "compromettendo" un bene essenziale della vita democratica» e finendo «col realizzare una specie di autarchia nazionale delle fonti di informazioni».

Analogamente, nella coeva sentenza n. 226 del 1974, in relazione alla televisione via cavo, attesa l'impossibilità di utilizzare l'argomento della «limitatezza dei canali», si è affermato che la riserva allo Stato sarebbe giustificata, anche in relazione a tale tipo di impianti, solo su scala nazionale in ragione del pericolo di insorgenza di situazioni monopolistiche derivanti dall'alto costo di un impianto destinato a coprire l’intero territorio nazionale, mentre libera deve essere la diffusione via cavo su scala locale al riparo da tale pericolo.

Nel medesimo ordine di idee la sentenza n. 202 del 1976, hai esteso quest'ultima considerazione alle trasmissioni su scala locale via etere.

Per queste ultime non può essere invocato, in genere, il presupposto della limitatezza dei canali né si può far riferimento ad un elevato costo degli impianti, ed è perciò da riconoscere il diritto di iniziativa privata: ma data la connessione del servizio locale con quello su scala nazionale occorre che l'autorizzazione all’esercizio di tale diritto si armonizzi con l'indicato preminente interesse generale e si svolga sempre nel rigoroso rispetto dei doveri ed obblighi anche internazionali conformi a Costituzione.

Nella sentenza n. 148 del 1981 si afferma poi che il pericolo dell'accentramento in un oligopolio privato dell'emittenza radiotelevisiva esiste sempre (attraverso per esempio le interconnessioni ed altri sistemi di collegamento) in relazione ad una serie di fattori di ordine economico e alla utilizzazione del progresso della tecnologia. La sentenza aggiunge però che a diverse conclusioni potrebbe eventualmente giungersi ove il legislatore, affrontando in modo completo e approfondito il problema della regolamentazione delle TV private apprestasse una legislazione anti-trust «non solo nell'ambito delle connessioni delle varie emittenti, ma anche in quello di collegamenti tra le imprese operanti nei vari settori dell'informazione incluse quello pubblicitarie».

Con il regime della riserva statale delle trasmissioni su scala nazionale - chiarisce ancora la sentenza - non contrasta la diversa disciplina in materia di emittenti private in ambito locale, sia via etere che via cavo, e di ripetitori di trasmissioni estere, in quanto nei primi due casi (locali via etere e via cavo) manca il rischio di oligopolio mentre nel terzo (ripetitori esteri) la Corte, nella sentenza ad esso relativa, si era ispirata alla specificità del settore nei riguardi del quale il monopolio statale si sarebbe posto tra l'altro «in contrasto con l'esigenza della libera circolazione delle idee anche sul piano internazionale».

5. - Tenendo presenti tali principi sembra utile sottolineare che, come precisa l’ordinanza di rinvio, l'art. 1 della l. n. 103 del 1975, definisce la diffusione circolare (cioè quella destinata indiscriminatamente al pubblico) di trasmissioni radiofoniche e televisive su scala nazionale come «servizio pubblico essenziale ed a carattere di preminente interesse generale, in quanto volta ad ampliare la partecipazione dei cittadini ed a concorrere allo sviluppo sociale e culturale del paese in conformità ai principi sanciti dalla Costituzione».

Questi aspetti, enunciati nella legge in base alle indicazioni contenute nella giurisprudenza ad essa precedente della Corte, sono stati ritenuti dalla giurisprudenza successiva, ed in particolare dalle sentenze n. 202 del 1976 e n. 148 del 1981, idonei a giustificare il monopolio statale radiotelevisivo su scala nazionale, mentre, per le stazioni a carattere locale, diverse sono state le conclusioni cui è pervenuta la Corte, poiché relativamente ad esse è stata esclusa la rilevanza di tali aspetti e quindi ritenuto non giustificato il monopolio statale, sia sotto il profilo del principio di libertà di diffusione del pensiero (art. 21 Cost.) che sotto il profilo del principio di libertà di impresa (artt. 41 e 43 Cost.).

Tenuto conto di questi principi, per quel che riguarda l'emittenza verso l'estero, si deve osservare che se è vero che, sotto il profilo dell'ambito che tale tipo di emittenza si prefigge di raggiungere, essa non è assimilabile a quelle locali, si è tuttavia, in presenza di aspetti e situazioni diverse da quelli che la giurisprudenza costituzionale testé illustrata ha preso in considerazione per giustificare il monopolio delle trasmissioni su scala nazionale. Difatti, potenziale destinataria di quest'ultimo tipo di trasmissioni è la generalità dei cittadini-utenti nei cui confronti lo Stato deve assicurare il diritto alla informazione, promuovendo appunto, con il riconoscimento dell'emittenza quale servizio pubblico essenziale di preminente interesse generale, lo sviluppo sociale e culturale della collettività.

Quando invece potenziale destinataria della diffusione circolare non è la generalità di coloro che stabilmente risiedono nel nostro paese, non può certo parlarsi di una collettività di cittadini verso i quali lo Stato debba assicurare il diritto alla informazione, venendo così meno la ragione fondamentale che la Corte ha preso in considerazione per giustificare il monopolio pubblico.

Se quindi le trasmissioni verso l'estero non possono essere assimilate né a quelle locali né a quelle su scala nazionale, non può condividersi l'assunto della avvocatura quando sostiene che la questione sarebbe manifestamente infondata, in quanto già risolta, sia pur implicitamente, con le sentenze n. 202 del 1976 e n. 148 del 1981. In contrario si deve osservare che queste ultime sentenze si sono occupate, la prima, delle emittenze locali negando che per esse possa giustificarsi il monopolio statale, e la seconda di quelle su scala nazionale, affermandone la legittimità con riferimento alla esigenza di evitare concentrazioni oligopolistiche e ciò, anche a prescindere dalla limitatezza dei canali o dei costi da sopportare.

6. - Nell'atto di intervento l'avvocatura generale dello Stato tende in verità, più propriamente, a legittimare il monopolio pubblico delle trasmissioni verso l'estero riferendosi prevalentemente ad obblighi internazionali che il nostro Stato avrebbe sottoscritto o che, comunque, direttamente vincolerebbero il nostro ordinamento in virtù del primo comma dell'art. 10 Cost..

In proposito, però, la Corte ritiene in primo luogo fondato il punto di vista espresso nella ordinanza di rinvio, circa l'impossibilità di rinvenire una norma di carattere generale, sia consuetudinaria che pattizia, la quale possa dirsi espressiva di un divieto assoluto di trasmissioni verso l'estero.

D'altronde se fosse riscontrabile l'esistenza di una norma del genere essa potrebbe se mai giustificare non il monopolio - che si porrebbe in aperto contrasto con il divieto generalizzato, lasciando pur sempre aperta agli impianti pubblici la possibilità (contrastante con tale ipotetico divieto) di trasmettere verso l'estero bensì una norma statale di divieto assoluto per questo tipo di trasmissioni.

Il fatto invece che il legislatore italiano abbia posto una norma di riserva, denota il suo convincimento della mancanza nell’ordinamento giuridico internazionale di un divieto generalizzato di diffusione al di là dei confini.

Del resto che il suddetto ordinamento non contenga un generale divieto è altresì desumibile, dalla prassi internazionale che, salvo che in tempo di guerra, si è sempre ad oggi espressa nel senso della tolleranza.

Infine è da rilevare che tutti gli accordi internazionali e segnatamente quelli menzionati sia nell'ordinanza di rimessione che negli scritti difensivi dell’avvocatura dello Stato, di cui si è fatto cenno in precedenza, hanno come fine quello di porre reciprocamente agli Stati limitazioni specifiche. Il che denota che ci si muove in un ambito che presuppone proprio la mancanza di un divieto generalizzato, perché se questo esistesse non vi sarebbe la necessità di imporre limitazioni particolari.

7.1. - Una volta escluso che sussista una norma di un divieto internazionale nel senso di un divieto generale di trasmissioni oltre confine, rispetto al quale - come già eletto - apparirebbe comunque incongruo il monopolio statale, perché in contrasto con il divieto stesso, occorre ancora verificare se dalle norme internazionali di carattere pattizio aventi ad oggetto le indicate specifiche limitazioni sia desumibile l’esistenza di una norma che escluda l’emittenza privata verso l'estero e che imponga perciò agli Stati l'adozione del monopolio pubblico per questo tipo di trasmissioni.

In primo luogo, se gli accordi sottoscritti avessero tale portata limitativa, su di essi dovrebbe fondarsi una pretesa di ciascuno degli Stati aderenti ad esigere dagli altri il rispetto dell'obbligo di escludere le emittenti private e di consentire per questo tipo di trasmissioni solo il monopolio pubblico, pretesa questa che non risulta mai essere stata avanzata in tali termini né dal nostro Stato, né dagli altri nei nostri confronti.

I più importanti di tali accordi possono qui essere analiticamente esaminati proprio per verificare se le loro finalità giustifichino o addirittura impongano la denunciata esclusione.

Per cominciare da quelli invocati dalla avvocatura dello Stato, va preso in esame l'art. 1 della convenzione internazionale delle telecomunicazioni adottato a Malaga­Torremolinos il 25 ottobre 1973 e resa esecutiva in Italia con la legge 7 ottobre 1977 n. 790.

Tale disposizione, nell'enunciare che scopo della convenzione è quello di facilitare le relazioni tra i popoli mediante il buon funzionamento delle telecomunicazioni riconosce «pienamente a ciascun paese il diritto sovrano di disciplinare le proprie telecomunicazioni».

Essa quindi lascia impregiudicata la scelta da parte di ogni Stato contraente del regime al quale sottoporre il proprio sistema di telecomunicazioni, comprese le trasmissioni transnazionali, nel conseguimento comunque del fine comune di facilitare le relazioni tra i popoli mediante il buon funzionamento delle telecomunicazioni. Dalla norma invocata dunque non sembra lecito ricavare né la previsione di un vero e proprio obbligo dello Stato contraente di riservare tali trasmissioni al monopolio pubblico, né all'opposto, un favor per un regime di totale liberalizzazione.

7.2. - Passando ad esaminare la norma di cui all'art. 7 par. 423 del regolamento di Ginevra ratificato dall'Italia nel 1967 (poi trasfusa nell'art. 30 par. 2666 del successivo regolamento di Ginevra, ratificato nel 1981) la quale impone limiti di potenza alle stazioni che trasmettono all'interno di ciascuno Stato, essa appare posta, come ha anche chiarito la dottrina che se ne è occupata, non in funzione delle trasmissioni verso l'estero, ma allo scopo di impedire che sulle frequenze inferiori a 5.060 kHz o superiori a 41 MHz la potenza delle stazioni di radiodiffusione oltrepassi (tranne nella banda 3.900-4.000 kHz) il valore strettamente necessario ad assicurare economicamente un servizio nazionale di buona qualità entro le frontiere del paese considerato.

La norma dunque ha il solo scopo di evitare che le trasmissioni interne possano provocare interferenze o disturbi nocivi oltre i confini (al di là di quelli indispensabili) e quindi non potrebbe essere invocata per desumerne un vincolo di carattere internazionale che imponga al nostro Stato il monopolio pubblico delle trasmissioni verso l'estero.

In altri termini l'obbligo che da tale norma deriva per gli Stati - e cioè quello di evitare che le emittenze in genere possano produrre disturbi nocivi, quando ciò non sia indispensabile per assicurare economicamente un servizio nazionale di buona qualità - riguarda ogni tipo di trasmissioni e non ha specifica attinenza con il regime di quelle con l'estero.

7.3. - L'avvocatura, sia pur con un generico cenno, sostiene che la possibilità per ciascuno Stato di sottoporre a regime monopolistico le trasmissioni verso l'estero dovrebbe riconoscersi «ove solo si correli» la norma del regolamento delle radiocomunicazioni di Ginevra (art. 7 par. 423, regolamento ratificato nel 1967 e art. 30 par. 2666 regolamento ratificato nel 1981) con il preambolo del trattato di Malaga-Torremolinos - ratificato in Italia nel 1977 con la legge n. 790 - e con l'art. 10 della convenzione dei diritti dell'uomo.

In proposito va rilevato però che, da una parte, l'art. 1 (rectius: preambolo) del predetto trattato, non contiene, come si è già detto, principi di per sé limitativi nei confronti dei soggetti diversi dagli Stati e, dall'altra, l'art. 10 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (firmata a Roma nel 1950 e resa esecutiva in Italia nel 1955 con la legge n. 848), addirittura si pone come espressione di un tendenziale principio di pluralismo quando riconosce il diritto di ogni persona alla libertà di espressione inclusa quella «di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche e senza considera­zioni di frontiera», al riguardo precisando che tale diritto «non impedisce che gli Stati sottopongano ad un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione di cinema o di televisione».

Le considerazioni delle norme internazionali contenenti gli specifici divieti in precedenza illustrati e di quelle più generali testé enunziate permette di concludere che, nel quadro internazionale, da un lato non emerge un obbligo di monopolio pubblico per le trasmissioni transnazionali e dall'altro che un regime che prevedesse la gestione delle trasmissioni da parte di soggetti diversi da quello pubblico, potrebbe sottoporre queste ad un sistema di autorizzazione e controlli.

7.4.- Appare poi utile l'esame della norma richiamata nell’ordinanza di rimessione e contenuta nell’art. 7, par. 428 A e 30, par. 2674, rispettivamente del vecchio e del nuovo regolamento delle radiocomunicazioni adottati a Ginevra e resi esecutivi in Italia, il primo, con d.P.R. del 1967, n. 1525 (vigente all’epoca del provvedimento impugnato) ed il secondo con d.P.R. del 1981 n. 740, attualmente in vigore.

In base a tale norma, quando si definiscono le caratteristiche di una stazione spaziale di radiodiffusione via satellite, tutti i mezzi tecnici disponibili devono essere utilizzati per ridurre al minimo l’irradiamento sui territori di altri paesi salvo accordi fra questi.

Orbene, a parte che la norma predetta è esclusivamente riferita alle trasmissioni via satellite, laddove la norma oggetto dell'incidente di costituzionalità riguarda le trasmissioni dalla terraferma, tuttavia la sua portata è tale da non poterla certo far apparire come espressiva di un divieto generalizzato per i privati di trasmettere verso l'estero, così da giustificare il monopolio statale. Né, altresì, una portata del genere potrebbe attribuirsi, come rettamente ritenuto nell'ordinanza di rimessione, all’accordo di Strasburgo del 1965, ratificato in Italia con legge n. 375 del 1982, diretto alla repressione delle emissioni di radiodiffusioni effettuate da stazioni pone sulla terraferma e fuori dai territori nazionali. Trattasi di un obbligo avente un contenuto specifico - in attuazione dei divieti contenuti negli artt. 7 par. 422 e 30 par. 2665, rispettivamente del vecchio e del nuovo regolamento di Ginevra già citati - con lo scopo di vincolare gli Stati contraenti a reprimere penalmente le trasmissioni effettuate dalle stazioni c.d. «pirata».

Tale obbligo è anch’esso chiaramente dettato dalla considerazione che le trasmissioni irradiate dal di fuori dei territori nazionali e da piattaforme mobili non potrebbero efficacemente essere sottoposte ad un regime di autorizzazione e di controlli da pane di ciascuno Stato, in modo da garantire il rispetto delle limitazioni e dei divieti contenuti in accordi sottoscritti dagli Stati per evitare reciprocamente disturbi nocivi.

Nessun riflesso, sul terreno delle limitazioni soggettive, può perciò inferirsi dalle norme richiamate apparendo esse chiaramente ispirate a finalità differenti da quella di escludere i soggetti diversi dagli Stati dalle trasmissioni verso l'estero. Anzi è proprio il contenuto dell'obbligo testé enunciato che suppone l'accesso di soggetti diversi dagli organismi pubblici a questo tipo di trasmissioni, perché impone agli Stati di impedire che esse possano essere irradiate da stazioni che non consentano un adeguato controllo.

7.5. - Alle stesse conclusioni conduce il contenuto dell'accordo di Atlantic City del 2 ottobre 1947 (reso esecutivo in Italia con d.P.R. 27 dicembre 1948 n. 1948 n. 1694) il cui art. 44, nello stabilire che le stazioni devono essere impiantate ed esercitate in modo da non arrecare disturbi nocivi, impegna gli Stati a vigilare affinché le imprese private da essi riconosciute o debitamente autorizzate osservino quelle prescrizioni. Tale disposizione, volta com'è ad assicurare che le trasmissioni nazionali non provochino interferenze nocive su quelle diffuse all'interno di Stati esteri, non può essere intesa come preclusiva nei confronti dei privati della possibilità di effettuare, in regime di autorizzazione, trasmissioni transnazionali.

8. - Il descritto panorama delle norme contenute in accordi internazionali non si presenta dunque né come espressione di un generale divieto di emittenza verso l'estero né come espressione di un principio volto ad escludere i privati da tale tipo di emittenza.

Le norme in parola, invece, in quanto riconoscono «il diritto sovrano» degli Stati per quel che riguarda la rispettiva disciplina interna implicano che, dal punto di vista internazionale, debbano essere rispettati solo gli obblighi specificamente previsti dagli accordi esistenti (che, come si è rilevato, non riguardano le trasmissioni da e verso l'estero), rimanendo per il resto il nostro Stato libero di atteggiare la propria disciplina interna osservando soltanto i propri principi costituzionali.

9. - Nell'illustrare per sommi capi le linee tracciate a quest’ultimo riguardo dalla giurisprudenza di questa Corte, si è rilevato come in essa si sia sempre manifestata con forme e contenuti diversi, la primaria esigenza di garantire in materia di radio e telediffusione il principio del pluralismo.

Relativamente alle trasmissioni oltre confine non può disconoscersi però come si manifestino taluni aspetti peculiari che attengono all'esigenza della migliore collocazione possibile del nostro paese nel quadro della comunità internazionale. Trattasi dell'esigenza del mantenimento dei rapporti con gli altri Stati che potrebbero essere turbati sia dal contenuto di certi tipi di trasmissione, ritenute dal nostro Stato compromettenti per la politica estera o tali da poter suscitare la protesta dei paesi destinatari, sia dalla mancata osservanza dei sopraindicati divieti specifici, diretti ad evitare disturbi ed interferenze nocive. Queste, nel settore delle trasmissioni oltre confine, potrebbero manifestarsi nei confronti degli altri paesi con una intensità maggiore che non relativamente alle trasmissioni dirette all'ambito interno, in misura cioè da richiedere una più attenta sorveglianza, proprio per garantire il mantenimento di buoni rapporti internazionali.

Orbene, se tali aspetti non possono indurre a considerare il monopolio pubblico come l'unica forma in grado di preservare i fondamentali interessi generali che vi sono connessi, d’altra parte, un indiscriminato principio di libertà o comunque di attenuata ingerenza degli organi pubblici (sufficiente per l'emittenza locale, in relazione alla quale va soltanto accertata la sussistenza di certi requisiti previsti da norme di carattere tecnico), potrebbero risultare inidonei ad ovviare a possibili lesioni degli interessi pubblici anzidetti eventualmente causati dalle trasmissioni dirette oltre confine.

D'altronde l'alternativa non sembra porsi necessariamente ed esclusivamente tra il monopolio pubblico e conseguente regime di concessione da un lato e dall'altro il riconoscimento di un diritto soggettivo a tale tipo di trasmissioni, esercitabile cioè a seguito di autorizzazione subordinata al solo accertamento dei requisiti di carattere tecnico.

Quando difatti si parla di autorizzazioni non ci si riferisce, alla sola ipotesi tradizionale relativa alla rimozione di ostacoli ai fini dell'esercizio di un preesistente diritto soggettivo, ma si fa riferimento a quei tipi di provvedimenti - definiti talvolta anche licenze - che consentono l’esplicazione di certe attività sulla base di una valutazione discrezionale circa la rispondenza della predetta attività a determinati interessi pubblici. Si tratta cioè di un provvedimento che, non presupponendo un preesistente diritto soggettivo, comporta non solo la valutazione di determinati requisiti tecnici ma anche dell'opportunità dell’esercizio dell’attività in questione e la conseguente possibilità di revoca.

10. - Applicando queste considerazioni al settore delle diffusioni con l'estero, è evidente che anche un regime di autorizzazioni può apparire pienamente satisfattivo delle esigenze di pubblico interesse in precedenza poste in rilievo e connesse alle nostre relazioni internazionali.

Nello stesso sistema della l. 14 aprile 1975 n. 103, a fianco del monopolio pubblico, sono previste ipotesi di trasmissioni radiotelevisive in regime di autorizzazione, quali quelle contemplate nell'art. 1 secondo comma del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156 come novellato dall'art. 45 della suddetta legge n. 103 del 1975. Con gli opportuni adattamenti dettati dall’esigenza di armonizzare, anche nel campo delle diffusioni con l'estero, il principio pluralistico - che questa Corte ha sempre considerato come il valore costituzionale più importante in materia di emittenti radiotelevisive - con gli aspetti attinenti ai rapporti con gli altri Stati, anche l'enunciato regime di autorizzazione può apparire pienamente idoneo, ove sia assistito dalle opportune garanzie, a sopperire alle anzidette esigenze.

Il cennato regime consente difatti di impedire quelle trasmissioni, in via preventiva, mediante il diniego dell’autorizzazione, e in via successiva, mediante la revoca di quelle già assentite e la disattivazione degli impianti oggetto della revoca quando ne ricorrano i presupposti.

Trattandosi però di poteri autoritativi che incidono su libertà costituzionalmente protette (art. 21 Cost.), tanto da essere assistite da speciali garanzie, il diniego o la revoca devono essere congruamente motivati con specifico riferimento alle esigenze d'ordine internazionale che li rendessero necessari e ciò anche per consentire su tali atti il relativo sindacato giurisdizionale.

11. - Le conclusioni cui si è pervenuti conducono pertanto alla dichiarazione di fondatezza, con riferimento agli artt. 21, 41 e 43 Cost., della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, della legge 14 aprile 1975 n. 103, nella parte in cui non prevede che la diffusione di programmi verso l'estero possa essere effettuata anche in regime di autorizzazione come quello previsto dal secondo comma dell'art. 1 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156 come novellato dall'art. 45 della legge 14 aprile 1975 n. 103.

12. - Resta così assorbita la questione di legittimità costituzionale delle norme denunciate sollevata con riferimento all'art. 3 Cost. perché, una volta chiarito che le diffusioni verso l'estero presentano caratteri particolari che le diversificano da quelle circolari su scala nazionale, viene meno lo stesso presupposto che aveva fatta ritenere al giudice a quo l'irrazionalità di una assimilazione del genere.

13. La dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 103/75 nei termini sopra enunciati, cioè nella pane in cui la predetta norma esclude le trasmissioni verso l'estero anche in regime di autorizzazione, conduce alla dichiarazione di infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 45 della stessa legge per la parte concernente il sistema sanzionatorio e di autotutela ivi previsto.

Difatti, una volta affermato che le trasmissioni verso l'estero possono essere compiute sia in regime di concessione sia in regime di autorizzazione, ben si giustifica, anche per le trasgressioni riguardanti le autorizzazioni, l'esercizio del potere sanzionatorio e di autotutela previsto dalla norma per ultimo indicata.

14. - Tenendo presenti le conclusioni cui si era pervenuti nell'esporre il quadro delle norme di diritto internazionale vigenti nella materia, appare infine infondata la questione di costituzionalità degli artt. 1 e 2 della l. n. 103 del 1975 nella parte in cui riservano allo Stato le trasmissioni via etere verso l'estero, sollevata con riferimento all'art. 10, primo comma della Costituzione e 10 n. 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

Al riguardo va infatti rilevato che questa Corte ha costantemente affermato (sent. n. 32 del 1960, 135 del 1963, 48 del 1967, 104 del 1969, 69 del 1976, 48 del 1979, 188 del 1980, 96 del 1982) il principio secondo cui l'adeguamento automatico alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute può avere ad oggetto soltanto norme di carattere consuetudinario, mentre l'ordinanza di rimessione fa riferimento all'art. 10 della predetta convenzione che è norma di carattere pattizio.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE


dichiara l’illegittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma della legge 14 aprile 1975 n. 103, nella parte in cui non prevede che le trasmissioni di programmi destinati alla diffusione circolare verso l'estero possano esser effettuate anche in

regime di autorizzazione quale previsto dal secondo comma dell'art. 1 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156 come novellato dall’art. 45 della legge 14 aprile 1975 n. 103;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma della legge 14 aprile 1975 n. 103, sollevata con riferimento all'art. 10, comma primo, della Costituzione;

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale con riferimento agli artt. 3, 21, 41 e 10, comma primo della Costituzione, dell'art. 195 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156 come modificato dall'art. 45 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156.