Sentenza Tribunale penale di Perugia - Vicenda Federconsorzi/30

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../31 IncludiIntestazione 27 marzo 2010 75% diritto

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- L’interrogativo principe che allora ci si deve porre è perché mai, nonostante la mancanza di chiarimenti sul contenuto economico dell’offerta e nonostante la sua evidente e progressivamente ancor più marcata inidoneità ad assicurare almeno il pagamento del 40% dei crediti chirografari, dovesse comunque accettarsi la proposta Casella e dunque procedersi alla vendita in blocco a quel determinato prezzo, rinunciando a priori alle possibilità di realizzo rivenienti da vendite frazionate.

La pretesa flessibilità delle norme che regolano la procedura, in concreto utilizzata per giustificare la scelta della vendita in blocco, in realtà fortemente controindicata, sarebbe potuta ancor meglio sperimentarsi con l’attuazione di un congruo piano di cessioni, libera dai condizionamenti formali tipici della procedura fallimentare : se l’avvertita spinta innovativa fu intesa unidirezionalmente, ciò dipese dunque solo dall’esigenza di assecondare l’interesse dei proponenti, anche a costo di forzare le norme.

Non è del resto un caso che quella flessibilità fosse stata riscoperta solo con la sentenza di omologa, dopo che nella prima fase il Presidente Greco aveva mantenuto un atteggiamento a dir poco rigoroso, anche a costo di pregiudicare irrimediabilmente le società partecipate, di fatto riducendo al minimo i casi di autorizzazione alla cessione di cespiti, pur richiesta a gran voce e a più riprese dai commissari governativi, sempre rimasti senza risposta, perfino dopo che nel marzo del 1992 il Presidente aveva segnalato la propria intenzione di attendere la cordata , così mostrando di non essere in fin dei conti troppo interessato alla celerità.

D’altro canto non vi era la necessità di accogliere per forza di cose la proposta Capaldo.

Una volta verificatane, allo stato degli atti, l’inadeguatezza rispetto ai valori patrimoniali recepiti nella sentenza di omologa, costituente la legge base della procedura, ben si sarebbe potuta percorrere una strada diversa, educatamente rispedendo l’offerta al mittente, così restio a modificarla.

In teoria il sistema delle vendite frazionate avrebbe determinato un prolungamento dei tempi ed un aumento delle spese: ma si trattava pur sempre del fisiologico sviluppo di una procedura concorsuale, che, si badi, non avrebbe dovuto avere ulteriore corso già per trancianti limiti di forma e sostanza.

Inoltre va rimarcato che nelle varie proposte dell’Avv. Casella non si era mai correlata la cessione alla stipula di un unico atto, ma si era sempre prospettata l’eventualità di più atti e perfino quella del conferimento di mandati irrevocabili alla costituenda società, il che avrebbe comportato il protrarsi della procedura per un tempo non agevolmente programmabile.

Per converso anche nel caso di vendite frazionate sarebbe potuta assicurarsi una maggior rapidità mediante un oculato accorpamento di beni, del resto prospettato fin dall’inizio, soprattutto con riguardo agli immobili, dai consulenti nominati dal Tribunale. Né può sottacersi che, a detta del commissario governativo Piovano, nel corso dei mesi erano pervenute a costui svariate richieste per una moltitudine di cespiti, anche di grossa consistenza, il che avrebbe potuto far sperare in un buon realizzo in tempi ragionevoli. Quanto poi alle spese, la tesi del notevole risparmio non ha alcun riscontro, se rapportata ai valori in gioco in questa gigantesca procedura.

Non è un caso che fin dall’inizio fosse stato programmato un importo di spese e di oneri ripartito in più anni e che a distanza di tempo la vendita in massa non avesse inciso in modo drastico rispetto al totale, peraltro ancora contenuto entro la previsione originaria . In conclusione deve ritenersi che l’autorizzazione alla vendita in massa rappresentò per la procedura di concordato preventivo un gravissimo vulnus, poiché legittimò, in violazione di legge, la successiva cessione di tutti i beni alla costituenda società ad un prezzo puramente teorico di 2.150 miliardi, in realtà vistosamente e ingiustificatamente inferiore all’effettivo valore del patrimonio, così come stimato, e comunque insufficiente a quella data ad assicurare ai creditori l’erogazione di una percentuale pari almeno al 40%.