Sermone ad Anna de Fratnich Salvotti/Sermone

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Sermone

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Prefazione


 
Anna, tempo è egli omai, che ti favelli
Come ad amica, e a te d’un mio peccato
Io mi confessi; e se mi allarga il freno
Securtà troppa, tu gentil perdona.
5Or dove tende, penserai tu forse,
Tale scusa non chiesta? e dove mai
Tal esordio uscirà?--Dove? mi ascolta:
Fino dal dì, che primo io nel tuo albergo
Poneva il piede, e tu, qual sei cortese,
10Ad una ad una le diverse tele
Di tua man pinte, a me mostrando andavi,
Serpere in seno dell’invidia il tar lo,
Donnesca pecca, io mi sentiva, e in core
Così diceva: Quanto mai la sorte
15Fu a lei d’ingegno liberal, che in breve
Giro di soli, con maestra mano
I miglior vince in sì difficil arte!
Meraviglia è il veder tanta ricchezza
Di disegno e di tocco, altre conobbi
20Che pingeano a diletto, ombrati e schizzi
Dette lor opre avresti, o, se compiute,
Crudo, legnoso, ammanierato il modo,
Era disgusto, e non piacere agli occhi.
Qui ben altro si scorge, a’ luoghi loro
25Le tinte sono, il colorito fresco,
Bella sempre la macchia, e le figure
Di colpi fatte, non sfumate, o stanche.
Qual di teste arieggiar! qual morbidezza
Nel passaggio, che fan muscoli, e membra
30Dolce così come nel ver si ammira!
Ecco lasciva, e d’ogni veste spoglia,
Giacèr d’Acrisio la figliuola: viva
Donna ti sembra, ed uopo è ben che celi
Modesto panno a giovanetto sguardo
35Beltà, che accende d’amorose voglie.
In mezzo a’ due vecchiardi, ecco là ignuda
Di Gioachin la sposa: or, qual pennello
Ardito più muscoleggiar potrebbe,
O risentito più, gl’interni affetti
40Dipingere ne’ volti? ira, vergogna
Stanno a lei nello sguardo, agl’impudichi
Libidine, furor negli occhi espressi.
Questi del buon Rossetti, a lei congiunto
Co’ lacci dell’amor, con quei del Sangue,
45I lineamenti sono: oh vedi come
Al vivo è pinto, e della mente il seno,
Dell’anima il candor gli appare in fronte!
Te avventurosa, che col tuo valore
Fama ti merchi, e sai de’ tuoi più cari
50Le immagini eternar, quasi arrogando
Alla tua mano la superna possa.
Tai cose per lo petto, a te invidiando,
Io volger mi sentiva, e da quel giorno
Venni a me stessa in pregio assai minore.
55Perchè, dirammi alcun, tu pur l’arringo
Non corresti d’Apelle? E tu, che parli,
Tutto che brami puoi? Molti san molto,
Ma se stessi non sanno, io seppi almeno
Di non tentar, quel che natura niega.
60Seguii l’arte del canto, e roco augello
Feci mio verso anch’io, ma stato fosse
Dolce più assai di quel di Filomena,
Qual pro me ne avria il mondo? Andò quel tempo
Che, d’un cieco al cantar, traevan mille
65Inarcator di ciglia, e apriano i cori
Al desio d’emular nelle battaglie
I Pelidi e gli Ettorri: or più non odi
Turbe artigiane ir per le vie cantando
Di Beatrice la gloria, e di Francesca
70L’eterna pena, onde apprendeano i figli
Che v’à premj, e castighi oltre la tomba.
L’età nostra saputa odia i poeti
Delle menzogne amici, e, s’altri detta,
Detti a sua posta pur, le tarme, e i topi
75Grado gliene sapran; ma chi ha cervello
Pianta non compra, che non meni frutto.
Diverso è il fatto di chi pinge, a lui
Farsi maestro dell’umana razza
Chi mai contende? Quei che parla agli occhi,
80Trova sempre chi ascolta, e ratto scende
Il cammino che va dagli occhi al core.
Comun sirocchia è la pigrizia, e annoja
Lungherìa di dottrine: udita cosa,
Lampo è che passa; la veduta, impressa
85Negli animi riman, e a se li tragge.
Chi la plebe addottrina? e dove apprende
Ogni grosso villano i santi augusti
A venerar? Non dalla voce sola
Dei Pastori, e de’ padri, ma guardando
90Le muraglie de’ tempj, e suvvi pinte
Meraviglie, e miracoli dei santi.
Anna, or a te ritorno, e poichè il fato
Ti diede un figlio, che da te ritrasse
Lo splendor di bellezza, e tu con l’arte,
95Che sì t’onora, fa che il cor gl’informi
All’amor di virtù, sapor di quello,
Onde prima fu pieno, il rozzo vaso
Sempre conserva; ed indelebil resta
Ne’ nostri petti quel ch’altri vi stampa
100Come schiudiamo alla ragione i lumi.
Non battaglie, non fiamme, non ruine
Gli pingi e mostra, ma le imprese, i fasti
De’ magnanimi, e dotti; immenso campo
T’offre la storia; e se il paterno ingegno
105Consente a lui fortuna, e tu lo infiammi
Alle bell’opre, lo farai felice
Sarai felice; e, s’io t’invidio adesso,
T’invidieran le madri tutte, allora.