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Sotto l'Austria nel Friuli/Mariuccia/III. La visita

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III. La visita

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Mariuccia - II. Chi era la Mariuccia Mariuccia - IV. I Ribelli

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III.

La visita.


Per lo stradale che da Gorizia mette a Udine due magnifici cavalli neri facevano volare un’elegante carrozza scoperta. Dentro, a fianco di un signore piuttosto avanzato in età, stava mollemente adagiata una gentile signorina, il cui abito, benchè da viaggio, rivelava il buon gusto della capitale. I suoi bellissimi occhi, vòlti al sole che tramontava, avevano un’espressione piuttosto melanconica.

Era d’estate. La vasta pianura rinfrescata da un leggiero venticello moveva placidamente il ricco suo verde, indorata dagli ultimi raggi. Una quantità di piccole nubi, tinte dei più vaghi colori dell’iride, s’andavano agglomerando sull’orizzonte come per far [p. 10 modifica]corteo al sole moribondo che già cominciava a tuffarsi nella lontana marina. Parevano i flutti di un immenso mare di porpora, parevano un’infinita turba di pecorelle dal vello d’oro le quali, dopo aver pascolato tutto il giorno per gli azzurri campi del cielo, ora si riducano all’ovile dietro i passi del loro sfolgorante pastore. La giovinetta, innamorata della magnifica scena, metteva sì poca attenzione agli animati discorsi del suo compagno di viaggio, che questi per richiamare la sua attenzione si valse di quello stesso bellissimo tramonto.

— O mia Cati, — le disse — se il nostro progetto s’avvera, i miei ultimi giorni saranno lieti e io terminerò felice la mia mortale carriera, come quel sole che ora in così placida e maestosa pompa discende all’occaso. —

Alcune lagrime scesero sulle guance della giovinetta:

— Dio che mi vede nel profondo del cuore, sa come io lo prego, padre mio, di concedervi una lunga vita e tutta felice — diss’ella con un suono di voce così soave, che pareva una musica.

— Oh! io sarò felice e pienamente — riprese il vecchio — quando ti vedrò godere della bella fortuna che ti si prepara. Fin da quando tu eri fanciulletta nell’Istituto delle Dame X*** a Vienna, e ti vedevo crescere ogni giorno più aggraziata e gentile, era questo il più fervido dei miei voti; ma non ardivo affidarmici troppo, perchè troppo grande mi pareva la distanza fra te, umile figlia di un barone di provincia, e lui sangue di principi, così vicino alla maestà del trono. Chi mi avrebbe detto che proprio mentre la sua fortuna si era fatta anche più cospicua per i segnalati servigi resi al nostro buon Imperatore, io [p. 11 modifica]sarei stato così vicino a veder effettuata la mia segreta speranza? La lettera della tua nobile zia e l’invito della contessa che ora ci chiama in casa sua, dov’egli ritorna dopo la sua gloriosa vittoria, mi danno quasi la certezza che il mio non è un castello in aria. Mia Cati, poiché egli desidera di rivederti, non può essere che per deporre a’ tuoi piedi la sua immensa fortuna. E quando ti avrà riveduta, non sarà, no, più sogno il mio! Le tue adorabili qualità lo faranno orgoglioso della sua scelta. Quando mio fratello moribondo ti affidava a me, io mi accòrsi subito che l’orfanella era un gran tesoro....

— Un tesoro, padre mio, è stata per me la vostra bontà, e le cure e l’affetto più che paterno che sempre mi prodigaste, al quale — soggiunse ella abbassando la voce e facendosi sempre più melanconica — al quale sento di non saper corrispondere come dovrei, e ne provo rimorso....

— Senti, Cati, noi dobbiamo vivere sempre insieme. Quando sarai maritata, io mi stabilirò a Vienna vicino a voialtri: così ti vedrò ogni giorno e la tua felicità sarà tanta vita per me. Vienna è una gran bella città! L’allegra, la gaia Vienna; il paradiso terrestre delle feste e dei piaceri! Oh, si sa vivere a Vienna! Chi può comprenderti qui? Questi rozzi provinciali non possono apprezzare le grazie squisite della tua nobile educazione! Le tue amabili maniere, il tuo buon gusto, i tuoi distinti talenti qui sono gettati, sprecati, e per questo tu sei così melanconica. Ma a Vienna avrai campo per brillare. Tu se’ nata per essere la delizia di una capitale, per destare l’ammirazione e la simpatia nei nostri più eleganti salotti. Oh, pensa alla mia gioia quando ti vedrò finalmente collocata nella luminosa atmosfera che sola ti si [p. 12 modifica]conviene! Il riverbero di tanto splendore farà ringiovanire il povero vecchio.... Non dubitare, torneranno i bei tempi della pace. In breve le armi vittoriose del nostro Sovrano finiranno col ristabilire dovunque l’ordine e la tranquillità. Una volta schiacciata la ribellione, tu pure tornerai lieta. Il tuo cuore sensibile non è fatto per gli orrori della guerra. Essi ti turbano, ti fanno male, ed è per ciò che le tue belle guance sono impallidite. Povera la mia Cati! Tu se’ uno splendido fiore, ma molto delicato: queste bufere ti abbattono, ed hai bisogno di ricca e tepida serra per potere spiegare tutto il tesoro de’ tuoi colori e de’ tuoi preziosi profumi. La tua serra è la capitale. Là mi tornerai fresca ed allegra, con le belle guance rosate, con gli occhi pieni di vita e di brio. —

E continuò un pezzo a discorrere con entusiasmo dell’avvenire che gli prometteva un così dolce sorriso. La fanciulla taceva, e contemplava gli ultimi sprazzi di luce che quietamente facevano rosseggiare la cima dei nostri monti. Nel passare dinanzi a un cimitero campestre i suoi occhi si fermarono sui tumoli coperti di recente erbetta a’ piedi degli ulivi, le cui fronde, mosse dall’aria vespertina, tremolavano, or bianche, or verdi, lasciando piovere la porpora del tramonto, che pareva un affettuoso addio a quei poveri morti; e sentì che a tutte le gioie mondane che eccitavano la fantasia del suo secondo padre, ella avrebbe preferito di dormire eternamente, ma lì, nella sua terra nativa.

Frattanto la carrozza giunta a N*** s’era soffermata alla sbarra dove si paga il pedaggio. Vedendo dei signori, una povera donna si fece avanti a chiedere l’elemosina. La seguivano tre bambini, ed era incinta di un altro. L’atto con cui stese la destra volgendo [p. 13 modifica]dall’altra parte la faccia vergognosa e le parole: — Scampati all’incendio di Jalmicco! — ch’ella proferì invece di preghiera, colpirono il barone. Rimise in tasca la moneta che già stava per gittarle e guardando la donna con severo cipiglio:

— Ribelli! — esclamò — ben vi sta la terribile punizione che vi tiraste addosso! Per simile genia nessuna compassione! — E ordinò al cocchiere di sferzare i cavalli.

La pietosa fanciulla vide quella meschina farsi di bragia e tirare a sè l’ultimo de’ suoi bambini che stendeva ancora la mano; la vide accarezzarlo con un sorriso d’indefinibile amarezza, mentre inavvertite lacrime le rigavano le guance e cadevano sulla bionda testa dell’innocente. Allora un’orribile scena d’incendi, di rapine, di dolori, di miserie si dipinse dinanzi all’anima commossa della fanciulla.... Quali che si fossero le colpe di quella tapina, ella pativa; pativano quei poveri fanciulletti che certo non potevano aver nessuna colpa. Ora, dinanzi a quella scena pietosa, dolorosa, straziante, le pareva peccato pensare a comparir bella, a mostrarsi spiritosa, mentre quella derelitta piangeva per non aver pane da dare alle sue creaturine; le pareva grave colpa far pompa di adornamenti, godere una lieta serata, tutti i comodi e il lusso della vita, mentre quella sventurata madre, senza tetto, gettata in mezzo a una strada, in preda alla più spaventosa miseria, ricordava la crudeltà di quei signori, che invece di soccorrerla l’avevano rimproverata.... E dire che aveva dovuto fare uno sforzo per indursi a stender la mano! Tutto il sangue le era salito alla faccia. La signorina l’aveva ben veduta come si nascondeva e come le tremavano le labbra, quando profferì quelle solenni parole: [p. 14 modifica]Scampati all’incendio di Jalmicco! E allora le tornò in mente il doloroso ricordo di quella sera in cui salita sulla terrazza del suo palazzo aveva veduto ardere quel povero villaggio insieme con altri più lontani.

Quando, smontata nel cortile del castello, fu fatta salire nel salotto della contessa, la fanciulla fu accolta con ogni cortesia così dalla padrona di casa come da alcuni ufficiali austriaci lì convenuti; ma la sua mente, turbata ormai, si confondeva in tristi pensieri. Era pallida fuor di misura; un cerchio di ferro le stringeva le tempie; la luce dei doppieri le offendeva la vista; nondimeno procurò di raccogliere tutta la sua forza d’animo per corrispondere ai gentili complimenti che le venivano rivolti. Un bel giovane biondo, dai lineamenti delicati e dagli occhi cerulei le sedette accanto. Parlarono della capitale, dov’ella era stata educata, dei conoscenti comuni, di un magnifico giardino che da fanciulli avevano una volta visitato insieme.... Ella procurava di comporre il volto al sorriso e discorreva di boschetti, di prati verdi e di fiori, ma cogli occhi dell’anima non vedeva che macchie di sangue. Le pareti della stanza erano adorne dei ritratti dei più famosi tra i generali dell’esercito austriaco. La luce dei doppieri si rifrangeva sui vetri e sulle cornici dorate dei quadri. Quel riflesso le pareva lo splendore d’un incendio, e cominciò ad offuscarsele la vista. I lumi, la stanza, le persone che la circondavano, i quadri, tutto si confondeva. E a traverso quella confusione e quelle fiamme vedeva immagini orribili: cadaveri scarniti, serpenti, luridi vampiri ed altri mostri. Le pareti pure le parevano tutte insozzate da larghe macchie di sangue; il pavimento un bulicame di sangue, o perfin la croce che brillava sul [p. 15 modifica]petto del suo giovane interlocutore le parve grondasse sangue.

Chiuse gli occhi inorridita e lasciò sfuggire un gemito. Tutti s’accòrsero che le veniva male, e la contessa s’affrettò a condurla sulla terrazza a respirar l’aria fresca della notte. Rimbombava il cannone di Palma e il cielo appariva acceso ad intervalli dalle bombe che da quattro lati venivano lanciate contro la fortezza. I loro scoppi facevano tremare la casa fin dalle fondamenta, e talmente offesero i nervi della fanciulla, che la contessa pensò bene di farla coricare.