Pagina:Catullo e Lesbia.djvu/271: differenze tra le versioni

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Con buona pace del {{AutoreCitato|Poliziano}} e del {{AutoreCitato|Gerardo Giovanni Vossio|Vossio}}, io credo col {{AutoreCitato|Sannazzaro}}, col {{AutoreCitato|Marc-Antoine Muret|Mureto}} e con altri buoni, che in questo carme non ci sia nè allusioni, nè doppii sensi.
Con buona pace del {{AutoreCitato|Poliziano}} e del {{AutoreCitato|Gerardo Giovanni Vossio|Vossio}}, io credo col {{AutoreCitato|Sannazzaro}}, col {{AutoreCitato|Marc-Antoine Muret|Mureto}} e con altri buoni, che in questo carme non ci sia nè allusioni, nè doppii sensi.

Versione delle 19:29, 13 dic 2015


ANNOTAZIONI

II.

Al Passere.


Pag. 156.

Con buona pace del {{{2}}} e del Vossio, io credo col {{{2}}}, col Mureto e con altri buoni, che in questo carme non ci sia nè allusioni, nè doppii sensi.

Prima di tutto, la parola passer usarono i Latini non solo per indicare una cosa turpe e quella medesima che nascondevano i Greci con le voci κελιδόν, κορωνε ed altri nomi d’uccelli, ma per dare anche una tenera denominazione all’oggetto amato. Baciballum, oculissimus, amoenitas, passer, columba, erano i dolci nomi che si davano vezzeggiando gl’innamorati. Meus pullus passer, mea columba, mi lepus: {{{2}}}, Cas. I, v. 50. Noveratis Mellissam Tarentinam pulcherrimum baciballum: Petron., fragm. Burmann. Quid autem passeruculum nostram Gratiam minusculam existimas modo facere? M. Aurel., ap. Front., 4. Dic me tuum passerculum, coturnicem: Plauto, Asin., Ili, 3.

Rapisardi. 23