Pagina:Albertazzi - Top, 1922.djvu/39: differenze tra le versioni
Intestazione (non inclusa): | Intestazione (non inclusa): | ||
Riga 1: | Riga 1: | ||
{{RigaIntestazione|{{smaller|''Il cane dello zio Prospero''}}||37|riga |
{{RigaIntestazione|{{smaller|''Il cane dello zio Prospero''}}||37|riga=si}} |
Versione delle 23:57, 21 mar 2018
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
Il cane dello zio Prospero | 37 |
zampine, insensibili a tutto fuorchè al correre miracolosamente così su l’acqua, nel sole; emanazione di vita indifferente a tutto fuorchè al molle contatto e al moto alacre e incessante.
— Raduna tu i bacchetti — comandò Mario al fratello, e si adagiò a un’ombra. — Io farò il fascio.
Sapeva già compor le fascine a modo degli uomini. Con un vinco. Ne attorcigliava la vetta a cappio, sottoponeva il legame alla stipa, la calcava col piede, e introducendo nel cappio l’altra estremità del vinco la tirava e torceva in groppo sì che tenesse la presa. Poi si addossava il fastelletto e portandolo a dorso curvato si credeva che chi lo guardava lo stimasse un uomo. Perciò comandava al fratello e gli lasciava il vanto della fatica più umile.
— Cogli tu! Presto!
No e no. Aldo ne aveva meno voglia di lui. E liticarono. E si acciuffarono. Dei due, Mario, che percuoteva più sodo, era più facile a lamentarsi. Aldo resisteva finchè poteva, indi scappava con rivincita di boccacce e sberleffi che ne rideva lui stesso. E ridendo tornavano in pace.
ast
Da quanti secoli si ripete nei fanciulli la smaniosa gioia che dovevan provare gli uomini primitivi allorchè riuscivano a impossessarsi di qualcuna