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Storia dell'arte in Sardegna dal XI al XIV secolo/Capitolo XII.

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CAPITOLO XII.

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Capitolo XI. Capitolo XIII.

[p. 193 modifica]Ozieri — Chiesa di S. Antioco di Bisarcio (fianco).


CAPITOLO XII.

CHIESA DI S. MARIA DI TERGU — CATTEDRALE DI S. ANTIOCO DI BISARCIO.


Sulla fondazione della Chiesa di S. Maria di Tergu abbiamo una antica cronaca riferibile forse al XV secolo, che a noi pervenne per mezzo di copie più o meno esatte. Una se ne conserva nell'archivio Capitolare della Cattedrale di Sassari, che per le forme paleografiche ritengo esser del XVI secolo.

Altra copia, fatta trascrivere nel 1648 del Vescovo D. Gavino Manca, conservasi nell'archivio Capitolare di Castelsardo e di una terza, trascritta dallo storico G. Battista Simon, si servi il Tola per inserirla nel suo Codex Diplomations Sardiniae.

Sorsero dubbi sulla veridicità del contenuto storico di questa come d'altre scritture e noi, discutendole spassionatamente, non potemmo esi[p. 194 modifica]merci dal rilevare anziutto che si confonde molto spesso lo sfondo storico coi ricami, di cui molti cronisti del XV o XVI secolo amavano infiorare le loro storie.

Per la brevità della cronaca e per la speciale importanza ch'essa ha per i nostri studi, trattando di una delle più belle chiese che gli artefici toscani eressero nella nostra isola, non ritengo fuor d'opera il trascriverla per intero:

In su annu de su Segnore nostru Jesu Xptu de. . . . . VII furunt mandandos in corte de Roma donnu Gunuari Crabinu, donnu Iuanne Crabinu qui furunt de Putu Maiore et de Unnannau pro faguer venner unu cardinale de sa corte de Roma, qui deveret consagrare sa ecclesia de sancta Maria de Tergu, sa quale aviat cresquidu su judaque Gunnari de Laconi, et cando furunt in corte de Roma sos anteditos fesint suplicatione a su sanctu patre qui los fesit venner a demnantis suo, et intesa sa domanda issoro ferit consigiu cum sos cardinales suos, quales deliberant mandare in Sardingia unu cardinale qui fuit de Italia, qui se nomenavat Ioanne qui fuit episcopus et cardinale, et missos qui iurunt in su mare, venisit in Sardingia et fesit terra in Ampuris in sa fogue de coquinas, et venisit in corte de nostra signora de Tergu, et furunt a numero bator archiepiscopos, XVIII episcopos, et XVII abades; et consacrada qui apisit su dictu cardinale sa dicta ecclesia posit de perdonu annos degue migia, sos archiepiscopos dies ottanta, sos episcopos dies baranta per ipsos cadaunu, su quale perdonu bolsit qui duraret per totu sos dies de su annu, et doppiat custu perdonu dae su vesperu dessa consagracione de cussa ecclesia de santa Maria de Tergu infini de sas octavas, et doppiat cussu perdonu da essa prima dominica dessa pasca de resurectione, et per tottu sas festas dessos apostolos cum sas octavas. Et consacrada qui fuit issa dicta ecclesia de santa Maria de Tergu, morgisit issu dictu cardinale, et fuit sotterratu intro issa dicta ecclesia a manu dextra a dies bator de triulas dessu annu supradictu. Et totu sos perdonos confirmavit papa Tamasiu1.

L'apografo del Manca nota in cifre arabiche l'anno 417, lo che è un errore patentissimo che non merita confutazione e che si deve a voluta alterazione. Ai tempi del Manca le lotte violenti fra gli arcivescovi di Cagliari [p. 195 modifica]e di Torres per la carica ed il titolo di primate di Sardegna erano acuite e degeneravano in grossolane contese. I più eminenti prelati e scrittori non si peritavano per sostener le loro idee di falsare le date ai documenti medioevali conservati negli archivi delle chiese e dei monasteri.

Così vedemmo la data del 517 alla copia del condaghe della fondazione di S. Gavino, e così si spiega la data apposta nella cronaca di Tergu da Monsignor Manca, uno dei più combattivi difensori dei dritti dell'arcivescovado di Torres, che copiò la cronaca e che indubbiamente per dimostrar l'antichità della diocesi turritana volle portare a tempi antichissimi la compilazione del condaghe.

L'apografo di Simon segna invece con puntini la lacuna di varie parole o numeri che doveano essere nell'originale, riportando il solo VII romano.

In base a questi elementi, alla menzione di Gunnario di Lacon, e di papa Tamasiu (Damasio II) la data della consacrazione della chiesa è limitato al 1024 oppure al 1027, secondo che il VII si riferisce all'anno oppure all'indizione.

Il Bonazzi ritiene doversi togliere qualsiasi valore d'antichità al contenuto di questa scrittura per le sua inverosomiglianza e per la modernità della lingua. Asserisce pur tuttavia che questa cronaca venne compilata nel XV o XVI secolo per magnificare agli occhi dei fedeli l'origine della chiesa e l'importanza delle sue indulgenze.

D'accordo sull'essersi esagerata l'importanza delle solennità per il prestigio della chiesa, il che è difetto comune anche ai nostri tempi, non ritengo ciò sufficiente per buttare senz'altro la trama storica su cui si svolge questo fantastico contorno.

Precisiamo: quanto si ritiene di sostanziale e di storico in detta cronaca è che la Chiesa di S. Maria di Tergu venne consacrata nella prima metà del XI secolo (dal 1024 al 1027) da Gonnario, giudice di Torres.

Il Bonazzi, se su ciò avesse svolto la sua critica, avrebbe avuto contro gli stessi interessanti risultati, ai quali egli pervenne nell'accurato studio sul condaghe di S. Pietro di Silki.

Infatti nel primo documento del condaghe di S. Quirico (N. 290) è menzionato il giudice Gonnario, che. tenuto conto della cronologia così ben studiata dal Besta, si deve assegnare ai primi decenni del XI secolo. [p. 196 modifica]

A queste conclusioni venne per il primo anche il Bonazzi, che si mostrò, e giustamente, fiero, di poter iniziare la serie dei re di Torres con due giudici sconosciuti fino allora alla storia sarda, Gonnario di Lacon e Dorgotori de Kerchi.

Quindi le risultanze, cui pervenne il chiaro scrittore, confermano maggiormente l'autenticità del fondo storico della cronaca di Tergu che menziona un Gonnario nei due primi decenni del XI secolo. Questo Gonnario non è altro che il Comita della cronaca di fondazione della Chiesa di S. Gavino di Torres. Gli studi di recente pubblicati dal Solmi sui giudici di Cagliari inducono a ritenere che anche i giudici di Torres, qualunque fosse il loro nome di battesimo, ne abbiano assunto un altro negli Castelsardo — Cheisa e Monastero di N. S. di Tergu.atti sovrani e che l'avvicendamento di questi nomi di governo seguisse determinate regole.

E questo dovea esser noto anche al Fara, che potè compulsare per la storia dei giudicati, oltre i documenti che sono a nostra conoscenza, molte altre carte oramai perdute.

Nella serie dei giudici Turritani il Fara colloca per primo, come il Bonazzi, il Gonnario di Lacon: Gonnarius, seu Gonarius, dictus Comita, fuit primus Turritanus judex2.

Non assegna data alcuna a questo giudice, ma, poichè riferisce che ebbe per figlio Torquitorio che io ritengo sia tutt'uno con Torgotorio [p. 197 modifica]di Kerchi e con Barisone, lo si può far risalire alla prima metà del XII secolo, in conformità alle conclusioni del Bonazzi, Il monastero di Tergu a cui era annessa la Chiesa di S. Maria fu, come si può desumere da tutti i documenti medioevali, il più illustre ed il più ricco dei conventi cassinensi della Sardegna.

Il Fara nella genealogia dei giudici di Torres scrisse: Costantinas De-Làcono Mariano patri in Iudicatu Turritano successit. Is anno circiter 1117 ecclesiam et monasterium SS. Trinitatis de Saccargia Ord. Camaldulensium S. Benedicti a fundamenti extruxit, et ecclesias S. Mariae de Cerigo, S. Mariae de Ardara in ampliorem formam redegit donisque ditavit3.

Altri documenti ricordano che anche il figlio Gonnario, pervenuto al giudicato, restaurava la chiesa ed in più maniere arricchiva il mona- stero di Tergu o di Cerigo.

Da questo monastero, avente il titolo abbaziale, dipendevano le molte chiese che l'ordine di Montecassino avea non solo nel giudicato di Torres, ma anche negli altri tre di Gallura, d'Arborea e di Cagliari.

Infatti nel Gattola (Hist. cassin. tom. I pag. 429) è riportato un documento nel quale sono enumerati i censi dovuti dai monasteri che l'ordine avea nell'isola, uno dei quali dovuto da Frate Landolfo, abate di S. Maria di Tergu, che s'intitola: legatarius in Sardinea ven. patris domni Pontis abbatis montis Cassinensis.

La prima bolla pontificia di conferma di detta chiesa risale al 1123 sotto il pontificato di Papa Callisto II4.

Quindi, tenendo conto che questa è una bolla di conferma, che perciò la concessione è anteriore e che i giudici donavano chiese non solo già costrutte ma circondate da casolari e da terreni con un nucleo di popolazione, per lo più di servi e d'ancelle, si può desumere quanta antica fosse questa chiesa e come sia attendibile la sua assegnazione alla prima metà del XI secolo.

Costantino e Gonnario nella prima metà del XII secolo l'ampliarono e l'ornarono ed a questo periodo dobbiamo assegnare la costruzione [p. 198 modifica]della facciata, che tutto induce a ritenere eseguita dagli stessi artefici che Costantino chiamò per la Chiesa di Saccargia.

Dopo l'abbandono dei monaci la chiesa decadde d'importanza e venne alterata con aggiunte e manomissioni.

Nel 1443 fu unita al vescovado d'Ampurias e d'allora in poi fu tutta una rovina tanto che oggi non si ha che un pallido riflesso della doviziosa abbazia: il campanile ruinato, i pochi avanzi nel monastero e la stessa chiesa mozza del fastigio danno un impressione di desolazione che è anche acuita dalla triste e brulla campagna che la circonda.

Le analogie stilistiche fra la Chiesa di Saccargia e di Tergu sono tante e tali da dover pensare ch'esse sieno state ideate da uno stesso architetto. Le rassomiglianze non derivano solo dalle linee direttive del periodo cui appartengono, ma da un insieme di particolarità e da un uguale sentimento artistico, per cui la Chiesa di S. Maria di Tergu appare come un'estrinsecazione più ornata delle forme architettoniche concepite dal costruttore di Saccargia.

Il primo ordine in S. Maria di Tergu svolgesi come in Saccargia con tre arcate impostanti sui pilastri angolari e su due colonnine sor montate da eleganti capitellini inspirati al classico corinzio. Esse inquadrano elegantemente la porta, costituita da due piedritti con capitelli ornati con foglie e con caulicoli. Su di essi poggia l'architrave monolitico, sovra il quale svolgesi l'arcata di scarico a cunei alternati, chiari e scuri, contornata da una cornice vagamente intagliata che poggia su due mensoline. È questa una particolarità stilistica, che non ha altri riscontri, giacchè nelle chiese di questo periodo la stessa arcata centrale dell'intercolonio contorna l'arco di scarico. In S. Maria di Tergu la porta è completamente indipendente dell'intercolonio e questo potrebbe esser rimosso senz'alterazione alcuna delle forme architettoniche del portale.

Al secondo ordine abbiamo come in Saccargia cinque false arcate, poggianti su esili colonnine due delle quali furono capricciosamente lavorate a zig-zag.

Le colonnine dell'arcata centrale inquadrano un tondo con sagomatura a sguancio riccamente ornata.

Manca il frontone, indubbiamente crollato, in cui doveano svolgersi le arcate ascendenti poggianti su colonnine d'altezza differente.

In S. Maria di Tergu abbiamo lo stesso organismo architettonico [p. 199 modifica]della Chiesa di Saccargia, ma decorato con arte più squisita delicata.

Le arcate del primo ordine in Saccargia sono semplicemente sagomate mentre in S. Maria di Tergu sono intagliate classicamente con ovoli. I capitellini in ambedue le chiese paiono eseguiti dallo stesso artefice. Gli ornati ad intarsio che nelle lunette delle arcate di Saccargia sono Castelsardo — Chiesa di N. S. di Tergu (facciata).a rose ed a grandi rombi degradanti in S. Maria di Tergu s'impiccoliscono in intrecci aventi le più svariate forme e combinazioni.

Le fascie orizzontali sono ancor esse squisitamente intagliate. È una profusione d'ornamentazioni sparse con gusto che danno una nota di festosa eleganza, non diminuita dalla scura trachite del paramento in pietra da taglio.

E mai ornamentazione medioevale s'inspirò a più classiche forme: [p. 200 modifica]gli ovoli, i capitellini paiono frammenti di antichi edifici: l'acanto fiorisce rigoglioso con attica grazia.

È un rinascimento delle antiche forme che si stende sul rude fusto romanico dell'antica chiesa.

Della torre campanaria di Tergu non resta che la parte inferiore, tutta in trachite scura, e da quest'avanzo è difficile trarre attendibili congetture sulle linee costruttive e decorative della parte superiore.

Moltissime particolarità stilistiche e costruttive, sulle quali è superfluo dilungarsi, fanno ritenere la facciata posteriore al rimanente della chiesa e questo conforterebbe i risultati, cui siamo pervenuti dall'esame dei documenti storici.

Anche in questa, come nelle chiese di Saccargia, di Sorres, di S. Giusta e di Ardara, manca qualsiasi iscrizione medioevale.

All'eleganza delle chiese di questo gruppo, che indubbiamente rap presentano il periodo più smagliante dell'architettura in Sardegna, corrisponde un'eccessiva modestia nei capaci esecutori: non un nome, non un segno che li ricordi.

Questi rilievi stilistici, messi a confronto colle risultanze storiche, ci fanno ritenere che all'antica chiesa, consacrata nella prima metà del XI secolo da Gonnario di Torres, appartengano gli avanzi tuttora esistenti dei muri laterali ed il mozzicone di torre: non la facciata, che dovea formar parte di quelli ampliamenti e abbellimenti che le antiche cronache attribuiscono al giudice Costantino di Torres, come si desume dalle analogie e dalle eguaglianze che questa di Tergu ha colla facciata di Saccargia.

Ritengo che lo stesso architetto, chiamato da Costantino per l'ampliamento della Chiesa di Saccargia, abbia compiuto i lavori della facciata di Tergu, servendosi in questi ultimi di artefici più capaci nello ornato e più usati alle classiche decorazioni.


La Chiesa di S. Antioco di Bisarcio è una delle più interessanti chiese romaniche che si abbiano nell'isola; le poche aggiunte, eseguite in tempi recenti e facilmente rinnovabili, non tolgono nè diminuiscono l'integrità artistica del monumento, al quale l'ambiente primitivo dà un fascino tutto particolare.

Eretta su un masso roccioso ai piedi dell'aspra giogaia di monti [p. 201 modifica]che da Ozieri stendesi a Ploaghe, domina un vasto piano, in cui la malaria e le acque stagnanti non permisero che sorgesse alcun fabbricato richiamante il visitatore alla vita odierna; un sentiero roccioso, l'antica strada medioevale, porta alla bella cattedrale ed è percorso da nomadi pastori, nei quali l'abito e il linguaggio rievocano altri tempi ed altre costumanze. Sparsi per i declivi dei monti sovrastanti Bisarcio sono numerosi nuraghi che conservano intatte le antiche linee ciclopiche, ingentilite dall'edera e dai licheni, rendendo ancor più suggestivo il rude passaggio.

La chiesa ha forma basilicale con tre navate divise da due fila di colonne. Queste furono ritenute tolte da antichi fabbricati romani, mentre furono eseguite ad hoc da artefici medioevali. I fusti sono di un sol pezzo in pietra rossa trachitica e vennero lavorati mirabilmente a grana fina con l'imoscapo ad un terzo circa dell'altezza. Le basi sono attiche per le modanature, rese però con arte e tecnica medioevale. I capitelli corinzi, ancor essi lavorati con forme medioevali, sono a forti rilievi senza il delicato fogliame dei capitelli classici e sono sormontati da tavole quadrate di trachite, sulle quali s'impostano le arcate in pietra da taglio della navata centrale.

Questa ha il coperto con le incavallature a vista sul tipo di quelle di Saccargia, mentre le due navatelle sono coperte da volte a crociera, le quali, eseguite con cantoni trachitici, impostano sulle colonne e sui muri laterali. Le linee direttrici circolari, colle quali le voltine s'appoggiano sui muri della navata centrale sono contornate da una cornicetta sagomata, che imprime alle arcate una nota ornamentale assai elegante e di buon gusto.

Un rozzo e moderno altare oggidì sostituisce l'antica tavola sostenuta da colonnine; le ultime campate dalle tre navate costituivano il prebisterio, che anche oggidì è sollevato di tre gradini dal pavimento della sala. Nelle pareti non ho rilevato traccia alcuna di pittura, nè ritengo che ve ne fossero, essendo i muri rivestiti con cantoni trachitici, lavorati e collocati con grande accuratezza in modo d'aversi una buona se non simmetrica disposizione di giunti senza commettiture visibili. Nella tenne luce, diffondentesi dalle finestrine feritoie a doppia strombatura l'effetto che si ritrae dalle colonne monolitiche, dal paramento ancor esso di trachite scura e dalla selva nera di travi sostenenti il coperto, è oltremodo suggestivo e tale da non dover desiderare le gamme [p. 202 modifica]liete dei dipinti a bon fresco, che forse avrebbero rotto l'armonia di un insieme di parti così bene fra loro accordate e connesse.

Sette arcate, sorrette da massicci pilastri ingentiliti da ricche modanature, e da intagli, costituiscono l'atrio o porticato, sopra il quale si eleva un piano alto formato da tre lunghe camere.

I vaghi ornamenti profusi nei capitelli dei pilastri, svariati ed ingegnosissimi mostrano la perizia degli artefici.

Ozieri — Chiesa di S. Antioco di Bisarcio (abside).

I pilastri isolati a sezione crociforme vennero elevati con cantoni di trachite. Le basi sono sagomate ed i capitelli sono decorati con caulicoli e con foglie d'acqua. Su questi pilastri isolati e sui mezzi pilastri addossati ai muri della facciata poggiano direttamente all'uso romanico le arcate e le belle volte a crociera cogli spigoli vivi.

Una scaletta ricavata nel massiccio del muro laterale conduce al piano alto, che a mio parere dovea servire non per abitazione, ma per riunioni capitolari. Nella prima camera è un camino elegantissimo in [p. 203 modifica]pietra da taglio con cappa a foggia di mitra avente l'orlo squisitamente intagliato. Nella camera centrale, che forse serviva da oratorio, si conserva tutt'ora l'altare sotto una finestra bifora, inquadrata da due pilastrini sui quali poggia un'arcata. Nella parete a destra di questa stanza in belle e grandi lettere romaniche è scolpita la seguente iscrizione: CONSECRATVM EST HOC ALTARE AD HONORE SCI IACOBI APLI SCI TOME ARCHIPREVLE ET MARTIRE SCI MARTINI EPI ET CF SS CE CECILIE VIRG.

L'ultima stanza non ha niente di particolare ed è illuminata da finestrine aperte nel muro laterale. Queste tre stanze sono coperte da volte a botte impostantesi su muri elevati sulle arcate dell'atrio ed hanno le pareti rivestite di cantoni trachitici.


La facciata è incompleta, giacchè superiormente, al primo ordine, non si hanno che pochi accenni delle antiche linee architettoniche.

Al primo ordine sono tre arcate che poggiano sui pilastri angolari e sui pilastri a sezione crociforme che sono in corrispondenza di quelli interni. L'arcata centrale è libera, mentre le due laterali sono chiuse da muricci, sulle sommità dei quali s'impostano gli archetti dividenti le luci laterali.

Questi muricci, come gli altri interni dell'atrio, vennero eseguiti posteriormente, giacchè in origine ciascuna arcata laterale della facciata dovea inquadrare un'elegantissima bifora.

I capitelli dei pilastri sono ornati con foglie d'acanto squisitamente scolpite. Le cornici ornate sono ancor esse intagliate con intrecci e fogliami elegantissimi ed alcune hanno scolpite rozze figure di angeli e di santi.

Lateralmente alle arcate sono alcuni ornati geometrici che doveano esser intarsiati con marmi e porfidi.

La fascia che sovrasta le arcate del portichetto è adorna dei più squisiti meandri, svolti con arte pura toscana.

Nel secondo ordine abbiamo l'accenno ad una galleria fortemente sporgente dal muro con archeggiature che in origine doveano poggiare su colonnine, ora mancanti. Sopra questi frammenti sono due colonnine di diversa altezza, che doveano seguire la inclinazione del frontone.

Ad eccezione di questi pochi ed incompleti avanzi tutta quanta la parete sovrastante il bel portichetto è liscio senza sporgenza o modanatura alcuna. [p. 204 modifica]

Questo fa ritenere che la facciata sia stata compiuta e che poscia per esserne crollata una parte o per essere in condizioni statiche non sostenibili, siansi rimosse le parti decorative cadenti, rinforzando il muro con un paramento di cantoni trachitici e lasciando i pochi frammenti di destra, che potevano conservarsi senza pericolo di eventuali crolli.

È da scartarsi l'ipotesi che facciata non sia stata portata a compimento giacche ragioni tecniche e ragioni induttive inducono a ritenere il contrario.

Infatti, ammettendo quest'ipotesi, si verrebbe ad attribuire agli artefici una direttiva nell'esecuzione dei lavori strana ed irrazionale. Non è ammissibile che la struttura architettonica venisse iniziata ad un lato per poi procedere verticalmente da destra a sinistra. Sarebbe lo stesso che procedere dall'alto al basso.

Invece è da ritenersi che, seguendo le buone norme dell'arte costruttiva, abbiano eseguito prima il portichetto poscia a strati orizzontali dal basso all'alto gli ordini sovrastanti. Nè a questa norma, che è dettata non da considerazioni artistiche ma da imperiose ragioni costruttive, gli artefici di S. Antioco potevano derogare senza andar incontro a maggiori spese ed a difficoltà non spiegabili da alcuna esigenza artistica o statica.

Posto ciò, se a noi pervennero alcuni frammenti dell'architettura del frontone, indubbiamente doveano esser portati a compimento tutte quante le forme decorative della facciata.

Le archeggiature del secondo ordine erano a sesto acuto, il che con altre particolarità decorative c'inducono a ritenere questa facciata eseguita nella seconda metà del XIII secolo.

Non più tardi, giacchè le lettere dell'iscrizione ricordate la consacrazione dell'altare, incisa posteriormente all'erezione dell'atrio e quindi della facciata, sono anteriori al XIV secolo.

Rendono interessante questa facciata di cui non siamo in grado, per esser incompleta, di giudicare gli effetti estetici, i motivi ornamentali, inspirati a forme d'arte, che non si riscontrano in alcuna altra delle chiese medioevali della Sardegna.

Queste sono schiette derivazioni dell'architettura che fiori a Lucca, a Pistoia e specialmente a Pisa, ma dagli edifici di queste città differenziano per maggiore semplicità di forme e per minore vivacità ed esuberanza d'ornati. [p. 205 modifica]

In S. Antioco di Bisarcio si riflettono anche nella loro esuberanza le forme ornamentali degli edifici di Toscana: i capitelli dei pilastri decorati con foglie d'acanto stilizzate richiamano le ornamentazioni di S. Cristoforo, di S. Giusto di Lucca e delle chiese pistoiesi.

Le grandiose bifore del portichetto non hanno riscontro in alcuna altra chiesa né in Sardegna nè in Toscana e le linee gentili preludiano a quelle forme, di cui si valse il rinascimento fiorentino.

Di un'eleganza sua particolare dovea esser questo portichetto, ora suddiviso in diverse parti da muricci eretti fra pilastro e pilastro. Per fortuna le aggiunte non furono tali da guastare permanentemente la bella architettura e, rimovendole ed aprendo le arcate laterali della facciata, la Ozieri — Chiesa di S. Antioco di Bisarcio (painta). bell'opera, estrinsecazione squisita dovuta ad artisti geniali e provetti, risorgerebbe a muova vita.

Nelle pareti esterne dei muri lungitudinali rincorrono sotto la cornice di coronamento gli archetti pensili poggianti su mensoline di diverse foggie e scolpite con tecnica efficace.

L'abside di S. Antioco di Bisarcio è riccamente ornato di archeggiature impostantisi su esili colonnine, aventi capitelli corinzi squisitamente intagliati. Nelle lunette sono gli ornati a rombi degradanti con intarsi di trachite verde. Alcuni incavi a calotta sferica fra arco ed arco indicano che alla bella tribuna conferivano speciale attrattiva le coppe iridescenti.

Nel frontone sovrastante l'abside rincorrono, assecondando le falde [p. 206 modifica]del tetto, gli archetti romanici ed è aperta una finestra crocifornie, come nella maggior parte delle chiese medioevali dell'isola.

Sopra la navatella a sinistra non molti anni or sono si costrussero con un'incoscienza, che non parrebbe concepibile in persone nelle quali si deve presumere coltura se non sentimenti d'arte, alcune stanze per ricoverarvi le persone del clero che doveano pernottare durante l'annuale festività.

E per far ciò si sopraelevò con muratura informe il muro laterale a sinistra e sul muro della navata centrale, rompendo il bel paramento trachitico, si incastrarono le travi della copertura.

Ricordando che questa chiesa, avente in origine dignità episcopale, oggi è sotto la giurisdizione del Capitolo della Cattedrale d'Ozieri, che ancora si chiama Capitolo Bisarciense, non si può non restare dolorosamente meravigliati da tanta improntitudine, da così crassa ignoranza e non curanza di queste memorie storiche ed artistiche che sono i titoli più eloquenti della nobiltà e dell'antico splendore della diocesi di Bisarcio, da cui trasse l'attuale d'Ozieri.

E fu ventura che gl' intendimenti di riposar comodi per due o tre notti si estrinsecarono con soprastrutture. le quali si possono facilmente rimuovere, giacchè se gl'inconscienti muratori, a cui affidarono sì bella impresa, avessero disposto altrimenti, chi sa quali deterioramenti irreparabili avrebbe subito l'insigne tempio di Bisarcio.

Nel lato sinistro a m. 23.80 dallo spigolo della facciata si elevava la torre campanaria, di cui ora non rimane che la parte inferiore. Anche questa subì la sorte dei campanili di Ardara, di Sorres di Salvencro, di S. Pietro di Bosa, di Tergu, crollati per vetustà o per effetto di scariche elettriche.

La struttura architettonica, almeno nella parte rimastaci, non differisce da quella dei campanili sovramenzionati: quattro larghi pilastri all'angolo ed un esile pilastrino nella linea mediana di ciascun lato della torre. Quest'identità di struttura fa presumere che il campanile di Bisarcio si elevasse, come quello di Saccargia, con cuspide alla sommità, con finestre trifore, bifore e monofore nei diversi piani, il che dovea dare alla scura massa della torre, una nota di festosità e di leggerezza.

I muri della torre di Bisarcio hanno lo spessore di m. 1,43 e sono rivestiti esternamente ed internamente con cantoni trachitici. Ivano [p. 207 modifica]interno ha due lati di m. 4,20 e gli altri due di m. 4,90. Sono tutt'ora visibili i fori, in cui erano incastrate le travi che originariamente sostenevano gl'impalcati: anzi di alcune di queste travi si conservano le testate.

Gli avanzi dei fabbricati circondanti la chiesa consistono in massicci muri, rivestiti di cantoni alle due pareti ed attestano della grandiosità e dell'estensione dell'antica canonica. I locali a pianterreno sono parzialmente interrati, trovandosi le mensoline in pietra, ch'erano sotto le travi dei solai, a due metri circa dell'attuale piano. Alcune traccie di bifore non possono che dare una pallida idea della struttura archi- tettonica di questi locali.


La disamina fatta delle diverse parti della Chiesa di Bisarcio ci dà modo di stabilire entro certi limiti d'approssimazione le vicende subite dall'insigne monumento.

Le carte del XI secolo menzionano una chiesa, di cui ora non sussiste alcuno avanzo5, La Cattedrale di Bisarcio, cui si riferiscono questi frammenti di condaghi, fu demolita interamente quando la si volle ricostruire sotto nuove e più belle forme.

L'annalista Fara nel De Chorographia Sardiniae, accennando alla diocesi di Bisarcio, scrive: nomen a Bisarchio sumiens, quae civitas in regione Anglonis destructa cum paucis casis cernitur, nulla antiquorum ardificiorum majestate servata, praeter templum testudinatum, et prisco artificio ex quadratis lapidibus a Torchitorio Iudice turritano constructum, columnis fultum et Divo Antiocho dicatum6.

Il Torchitorio del Fara governò il giudicato di Torres verso la seconda metà del XI secolo e perciò, se deve ritenersi esatta l'asserzione del dotto annalista probabilmente tratta d'antiche memorie a noi non pervenute, dobbiamo ammettere per gli elementi stilistici dei muri laterali e dell'abside analoghi a quelli di Saccargia e d'altri monumenti della prima metà del XII secolo, che all'attuale preesistesse altra e più antica chiesa.

Nell'abside e nei muri laterali della Chiesa di Bisarcio la purezza [p. 208 modifica]toscana degli ornati, la forma dei rombi degradanti, la decorazione a fogliame ed a caulicoli dei capitelli e dei pilastri ecc. sono elementi tutti, che noi ritroviamo nelle chiese più brillanti erette nell'isola sotto l'influenza dell'architettura pisana.

La struttura architettonica della facciata, in cui compaiono nuove forme archiacute e, come dicemmo, nuovi sentimenti artistici, e le particolarità costruttive del portichetto, di cui la facciata è parte integrante, ci mostrano che l'uno e l'altro si costrussero posteriormente e si addossarono all'antica facciata.

Infatti, esaminando bene i pilastri che sono nel muro, in cui è aperta la porta della chiesa, ci si accorge subito ch'essi vennero addossati al terso paramento, che continua lungo la loro superficie d'appoggio. Se tale chiesa e l'atrio fossero stati eseguiti contemporaneamente i pilastri sarebbero stati concatenati colla struttura muraria e ciò per ragioni costruttive che facilmente s'intuiscono.

Al piano alto abbiamo elementi architettonici tali non solo da convalidare la nostra opinione ma da darci modo di ricostrurre la facciata del XII secolo.

Nella camera centrale sopra l'altare si rileva una finestra bifora che alcuni storici ritenevano eseguita appositamente per poter il vescovo ascoltare la messa senza scendere in chiesa.

Ciò è inesatto, giacchè questa finestra campeggiava nell'arcata centrale del secondo ordine come a Saccargia, a Sorres e ad Ottana.

I due pilastrini e l'arcata appartenevano alla galleria del secondo ordine, di cui sono visibili non solo l'inizio delle altre due arcate, ma anche gli ornati caratteristici a rombi degradanti, che l'architettura romanica usò largamente nelle chiese di Toscana e per riflesso in quelle di Sardegna.

Un esame accurato muro di fondo delle altre due stanze del piano sovrastante il portico permette di stabilire quali parti vennero aggiunte a nuovo.

Dell'antico frontone non rimangono che pochi frammenti, essendo stato sopraelevato per portarlo alla stessa altezza del fastigio della nuova facciata.

Questi elementi e gli altri, tutt'ora rilevabili, dell'antica facciata attestano che questa fosse a logge sovrapposte con archeggiature in falso poggianti, non su colonnine, ma su pilastrini. Quindi abbiamo non il [p. 209 modifica]Ozieri — S. Antioco di Bisarcio (portale). [p. 210 modifica]tipo di Saccargia, di Sorres, di Tergu ma quello di Ottana corrispondente alle forme architettoniche di S. Pierino e di S. Frediano a Pisa.

Al primo ordine la Chiesa di Bisarcio aveva tre arcate, di cui la centrale coi pilastrini inquadrava la porta d'ingresso architravata a fil di muro con arco di scarico sul tipo della porta della Chiesa di S. Maria del Regno di Ardara.

Al secondo ordine svolgevansi tre arcate più strette e meno alte con una bifora nello sfondo centrale e con arcate a rombi nelle altre due lunette.

Nel frontone superiore le arcate doveano poggiare su pilastrini di diverse altezze e rincorrere seguendo la pendenza dei due lati.

Se nella facciata di S. Nicolò d'Ottana sostituiamo ai capitelli sagomati altri che siano ornati con forme corinzie, rendiamo più vaghe e più gentili le altre forme decorative, senza alterare la struttura architettonica ne risulterebbe una facciata riproducente con poche variazioni l'originaria facciata di Bisarcio.

A queste conclusioni siamo giunti con elementi costruttivi, che assolutamente non possono non solo combattersi ma neanche mettersi in discussione. Allo stesso risultato si perverrebbe con riscontri stilistici fra l'architettura del portichetto e quello della chiesa, ma su ciò riteniamo di non insistere oltre.

Quando venne aggiunto il portichetto ed il piano soprastante? Nessun elemento storico, ad eccezione dell'iscrizione, ci può dar luce al riguardo. Le lettere di questa per riscontri con altre appartenenti ad epigrafi, di cui si conosce la data, c'inducono a ritenere che essa venne incisa alla fine del XIII secolo. Che sia stata eseguita dopo che era già costrutto il portichetto risulta incontestabilmente dalla disposizione dei cantoni del paramento rispetto alle lettere.

D'altra parte certe particolarità stilistiche del loggiato del primo ordine ed il sesto acuto delle archeggiature dell'ordine superiore non ci permettono d'andar molto in su nell'attribuzione, per cui ritengo di non esser lungi dal vero, assegnando alla seconda metà del XIII secolo questa aggiunta all'antica facciata della Cattedrale di Bisarcio, aggiunta, che per l'eleganza squisita delle ornamentazioni costituisce da per sè un'opera di arte di gran pregio.

Essa non ha riscontri in Sardegna e ritengo che neanche in Toscana esista monumento del XIII e XIV secolo che abbia le caratteristiche [p. 211 modifica]bifore che danno un tono speciale all'architettura del portichetto di Bisarcio.

Queste bifore hanno una struttura che ricorda le belle finestre del rinascimento fiorentino. Come queste, due archetti scompartiscono l'ampia lunetta dell'arcata: anche gli ornati a cerchi sopra i due archetti preannunziano i trafori squisiti delle finestre quattrocentiste. Per la struttura s'avvicinano a queste senza che si possa pensare ad alcun legame, ma la decorazione è inspirata all'ornamentazione classica degli artisti toscani del XIII secolo.


Ozieri — Chiesa di S. Antioco di Bisarcio (facciata).

  1. Tola, Cod, Dipl. Sard., Sec. XI, pag. 49.
  2. Fara, De Rebus Sardois, pag. 124. Carali 1838.
  3. Fara, De Rebus Sardois, pag. 124.
  4. Tola, Cod. Dipt. Sard., Sec. XII, pag. 204.
  5. Tola. Cod. Dipl. Sard., Sec. XI, pag. 158.
  6. Fara, The Chorographia Sardiniae. pag. 88.