Storia di Reggio di Calabria (Spanò Bolani)/Libro terzo/Capo terzo

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CAPO TERZO

(Dall’anno 936 al 1000.)

I. Reggio torna a’ Bizantini. I Saracini rifanno testa in Sambatello. Loro condizione in Calabria. Crinito Caldo, Duca di Calabria. II. Perturbazioni in Costantinopoli. Pasquale, Duca di Calabria. L’emiro Alassan si caccia all’assalto di Reggio; ma n’è respinto. I Reggini sradicano i Saracini da Sambatello. III. Reggio ricade in potere dei Saracini d’Affrica e di Sicilia. Cambiano la Metropolitana greca in Moschea. Basilio protospatario batte i Saracini, e ricupera Reggio. Viene una nuova flotta da Costaotinopoli. IV. Albereco, duce de’ Saracini di Calabria. Battaglia presso Santagata. Morte di Albereco. Rotta de’ Saracini. Cose di Sicilia. V. Niceforo Foca ed Otone I. Fatti di Otone I in Calabria. VI. I Saracini di Sicilia, condotti da Abulcasimo, saccheggiano Reggio e Santagata. Origine di Macellari. Progressi di Otone I in Calabria. Alleanza di Bizantini e Saracini. Battaglia di Crotone, e morie di Abulcasimo. VII. Basilio II ed Ottone II. I Saracini di Sicilia alleati di Basilio. Vittorie di Otone. Battaglia di Racanello. Successi de’ Bizantini in Puglia. VIII. Si scioglie l’alleanza tra Bizantini e Saracini; ma i Calabresi ed i Saracini cominciano a dimesticarsi tra loro.


I. Reggio fu di nuovo sottratta al dominio de’ Saracini, e ritornò a’ Bizantini (An. di Cr. 936); i quali fortificatala in gran maniera, vi rimisero la sede del Duca di Calabria. Dopo la morte di Saclabio que’ Saracini, che trovarono scampo colla fuga, rifecero testa in Sambatello, ove fermarono il loro soggiorno. Nè i Saracini, che venivano sempre a gran torme dall’Affrica in Italia, avevano deposto il disegno di conquistar la Calabria. Questo però andò loro sempre fallito, e non giunsero mai a farvi conquista e stabilimento durevole, come fecero in Sicilia; ma l’opera loro si risolveva soltanto in cose rovinose ed in bottino. Imperciocchè i Bizantini, dopo la perdita di quest’isola, avevano fatto l’estremo di ogni possa, perchè non fosse uscita loro di mano la Calabria. Donde non cessavano di suscitare nelle popolazioni isolane sedizioni contro il dominio musulmano; tra perchè i Saracini fossero stornati da altri acquisti, e perchè a’ Greci non si spegnesse al tutto la speranza di ricuperare il perduto.

Nondimeno quando ivi a pochi anni (An. di Cr. 940), i Bizantini vennero al ferro co’ Longobardi presso Matera, i Saracini pigliarono questa discordia in occasione di gittarsi dalla Sicilia nella Calabria e nella Puglia, traendo seco dovunque arsioni ed eccidii. E così fecero anche negli anni consecutivi, mentr’era Duca di Calabria Crinito Caldo.

II. I Costantinopolitani, risentendosi a morte del gravoso gover[p. 124 modifica]no di Leucapeno (An. di Cr. 944), subbillavano Costantino VI che sel togliesse di mezzo, e recassesi in mano lo Stato. Anzi taluni de’ più caldi suggerivano contro Leucapeno, unico rimedio, la morte. Ma ebbero forza pensieri più miti, e l’augusto genero impose a Leucapeno il bando dall’Impero. Rivocata a se Costantino la cura dello Stato, pensò al riordinamento delle pubbliche faccende, ed a porre energico riparo all’invasione de’ Saracini in Italia; i quali di breve sarebbero per farsi padroni di tutta la Calabria. Venuto Pasquale in Reggio per nuovo Duca di Calabria, a prima giunta ebbe mente di raffermare l’incerta autorità imperiale, e ad assicurare quella regione dagl’incessanti minacci dei Saracini di Sicilia. Laonde fece manifesto a Costantino che a voler conservare la Calabria, era uopo che si affrettasse a mandarvi forti ajuti per provvedere al soprastante pericolo. E gli ajuti non mancarono, giacchè un’armata e copiose truppe partirono da Costantinopoli per la Calabria (An. di Cr. 947). Comandava l’armata Marco Giovanni, e Malaceno l’esercito.

Ma prima che tali sussidii fossero pervenuti, già i Saracini, guidati dallo stesso loro emiro Alassan, erano corsi a furia contro Reggio, che sotto la protezione del Duca di Calabria faceva rifugio a quanti fuggivano dall’isola o perseguitati da’ Musulmani, o per trarsi volontarii dalla costoro servitù. Ma i Reggini strenuamente rintuzzarono la percossa nemica, e costrinsero Alassan a ricondursi in Sicilia: il che fu eccitamento a nuovi cimenti, ed a nuove fazioni guerresche. Questo Emiro sin dal 941 aveva ottenuto per se e suoi successori il dominio della Sicilia dal califfo Almansor. E da indi innanzi quest’isola, resa quasi indipendente dall’Affrica, al cui sovrano non rispondeva che un tributo, per circa cento anni sotto nove Emiri successori di Alassan venne in gran prosperità, e fu governata con molta rettitudine e mitezza.

Già dicemmo come i Saracini, che dominavano in Calabria, si fossero fortificati in Sambatello dopo la patita sconfitta e la morte di Saclabio. Da colà, dando nuovo impulso alle loro scorrerie, eransi gittati alla preda ed al guasto sin presso le mura di Reggio. Ed in loro rinforzo accorrevano sovente assai Saracini dalla vicina isola, e specialmente da Messina. Laonde in un martedì di maggio nel cinquantesimo anno (An. di Cr. 95o) del decimo secolo, mentre i Saracini, giusta il solito, si erano messi a predare sopra talune terre di Calabria, i Reggini entrarono compatti ed improvvisi in Sambatello, e tagliando a pezzi quanti vi erano rimasti a custodia, atterrarono tutte le case ed il castello. Poi tenendo la posta a’ nemici, [p. 125 modifica]che cercavano di rientrarvi, fecero loro riscontro, e li ruppero e sbandarono.

III. Ma una nuova tempesta crosciava sull’affaticata Reggio (An. di Cr. 951). Nuovi Saracini venivano dall’Affrica, ed unitisi a que’ di Sicilia sbarcavano in gran copia contro questa città, la quale dopo una prolungata e dubbia lotta cadde in poter loro. E spogliatene le chiese, misero a ruba gli averi, e ad uccisione le persone; e tutte le propinque contrade sciuparono, menando presa un’infinità di terrazzani e di cittadini, che dovettero poi ricomperarsi a prezzo di oro e di argento. Cercarono allora i Saracini di consolidarsi in Reggio, e pigliar modo a costringere i cittadini che si piegassero al costume ed al culto arabesco. Con tal disegno mandarono in terra i templi cristiani, e mutarono la Metropolitana greca in Moschea. I Bizantini però ebbero donde rifarsi; chè sbarcati in Sicilia ritolsero Messina a’ nemici, e poi Taormina e Catania. Ma questa loro conquista fu brevissima; perchè l’Emiro Alassan, accorsovi senza pigliar indugio, riebbe le dette città. Tentò in seguito Malaceno di riacquistar Reggio, ma indarno (An. di Cr. 953); tuttochè secondato da gran turba di Calabresi avesse combattuto più volte i Saracini con prospero successo.

La fortuna de’ Bizantini in Calabria fu solo risollevata dal protospatario Basilio, che Costantino VI inviava provvedutamente a ristaurarvi il dominio imperiale. Basilio venuto in Calabria sconfisse i Saracini, riprese Reggio (An. di Cr. 956), e mandando a terra la moschea che quelli vi avevano eretta, ordinò che fosse rifabbricata la metropoli greca, e restituitovi lo splendore del culto cristiano. Il navilio de’ Saracini, mentre guasto e sdrucito aveva poco a gittarsi in una rada di Sicilia, fu sopravvenuto da una furiosa procella, e quasi intero affondò. Proseguendo Basilio la sua fortuna, faceva passaggio nella Sicilia, prendeva Taormina e Termini; e dava opera a costruirvi nuove fortificazioni, e ad assodarsi in que’ punti, per aver un forte amminicolo al riacquisto dell’isola. Ma egli non poteva bastar solo a tante cose; e mentre si affannava di rialzare in Sicilia la fortuna bizantina, perdeva parte di que’ profitti che aveva cavati in Calabria. Imperciocchè in quel mentre (An. di Cr. 957) il Saracino Ammaaro, spedito dall’emiro, era passato di Sicilia in Calabria colle sue schiere, seco portando dovunque calamità senza termine. E fatta gran mano di prigionieri tornò di là dallo Stretto dovizioso di preda di ogni specie. Lo stesso fecero i Saracini nell’anno appresso; e quindi seppe Costantino il pressante bisogno di spedire in Calabria nuovi e potenti rinforzi. E mossero da Costanti[p. 126 modifica]nopoli con un’armata carica di fresche truppe Carbea, Mauro Leone, e Romano Argiro (An. di Cr. 959). Soprantendevano i due primi alla flotta, l’altro all’esercito. Giunse l’armata greca a vista di Reggio, quando già i Saracini premevano questa città alla resa. Ma quando costoro videro il minaccioso accelerarsi de’ Bizantini, si levarono da campo, e fuggirono ratti in Sicilia. Poi chiesero, ed ottennero pace.

IV. Ma non stavano quieti i Saracini di Calabria. Albereco loro capo, il quale era succeduto a Saclabio, li conduceva a fare strazio della nostra terra; e soprattutto si era proposto di manomettere tutti i paesi del territorio di Reggio. Ma i Calabresi lo affrontarono risolutamente presso Santagata, e ne seguì la sconfitta delle sue schiere. Ed egli stesso trafitto da una saettata, traboccò morto nel calor della mischia (An. di Cr. 962). Il che veduto da’ Saracini, che erano già scorati e in disordine, si posero in fuga precipitosa. Trovandosi così mal giunti e schiacciati que’ ladroni, prima di rimetter mano alle loro ferocie, presero consiglio di rifortificarsi in Squillace: e cominciarono da fabbricarvi una grossa e forte torre, che desse loro sicuro ricetto, e li difendesse, a caso disperato, dagli assalti de’ Greci e de’ Calabresi. Ma i Cristiani, compreso il disegno de’ nemici, non concessero loro tempo ad attuarlo. Mal sopportando che i Saracini si radicassero tra loro, i nostri si collegarono, e ad un animo assalirono Squillace, e de’ nemici che vi eran dentro, parte ammazzarono, parte tennero presi. E smantellata, detto fatto, la torre non ancor finita (An. di Cr. 965), fecero bottino non pur di gran copia di cose preziose, ma e del frumento che i Saracini vi erano andati ammassando per loro provvigione.

Mentre la Calabria si avvolgeva in questi crucci, l’Emiro di Sicilia Amedo, mal patendo che Taormina presa già da Basilio protospatario, durasse in potere de’ Bizantini, si pose ad oppugnarla. E dopo un assedio di cinque mesi la ottenne, facendo prigioni settecento cinquanta de’ più ragguardevoli cittadini. In Costantinopoli moriva l’inetto Romano II, (An. di Cr. 963) che era succeduto a Costantino VI, e sedeva nuovo imperatore Niceforo Foca. Del quale fu primo pensiero rialzar la potenza e maestà dell’Impero nelle regioni occidentali; e pose cura che fosse preparata una nuova armata, fornita appieno del bisognevole alla guerra. Prese il comando di questa l’eunuco Niceta, e quello delle milizie il patrizio Manuello. Ma però volle la mala fortuna che questo rinforzo, non arrivato appena in Sicilia, fosse disfatto da’ Saracini.

V. L’imperatore Niceforo Foca, attendendo alla conformità del [p. 127 modifica]rito religioso de’ suoi stati, volle (An. di Cr. 968) che il Patriarca di Costantinopoli provvedesse che i Vescovi di Calabria accomodatisi al rito greco usassero il pan fermentato nel sacrifizio della messa. Mentre però l’imperatore era applicato alle interne cure de’ suoi Stati, una nuova invasione si approntava contro i suoi dominii di Calabria da un nuovo e formidabile nemico. Era questi Otone I imperatore de’ Romani; il quale volendo stringere alleanza con Niceforo aveva chiesto la costui figliuola Teofania per moglie di suo figlio Otone, e per dote il dominio di Calabria. Nè Niceforo si era negato a tal dimanda di Otone; ma considerando quanto per l’alienazione della Calabria si diminuirebbe la maestà dell’Impero, tirava in lungo la faccenda, e teneva Otone in parole. Di che questi indignato fuor di misura, ruppe qualunque pratica con Niceforo, e gli intimò guerra. E trovando maniera a coglierne buon frutto, collegò le sue armi con quelle di Pandolfo I Duca di Benevento, e mosse contro i greci dominii della Calabria. Dure lotte sostenne a principio co’ Bizantini e co’ paesani, ma in ultimo riuscendo vittorioso, sottrasse varie città e terre calabresi a’ Bizantini (An. di Cr. 969), ed incorporatele all’impero d’Occidente, pose inoltre un forte presidio in Cosenza ed in Rossano.

VI. A questi travagli altri ne aggiungevano, ivi a pochi anni, i Saracini di Sicilia (An. di Cr. 975). Se non era loro risultato di dominar la Calabria, volevano ad ogni partito sterminarla colle loro atroci depredazioni, che nè fine avevano, nè posa. Così l’emiro Abulcasimo, avventatosi alla Calabria con molte frotte de’ suoi, diede il sacco a Reggio, a Santagata, e non so a quante altre città e terre. E contasi che avendo veduta la sua gente tornar da una corsa con preda abbondantissima di vacche, ed osservato non poter queste così facilmente esser traportate in Sicilia senza gravissimo fastidio ed impaccio, ordinò a’ suoi che riservandone quante bastavano a’ bisogni del vitto, tutte le rimanenti ammazzassero. Il luogo dove ciò avveniva era non molto di lungi a Reggio, in una verde e dilettosa vallata, che si chiamava Alabragia, e che da indi in qua fu detta Macellario, o Macellari dal macello vaccino. Dopo di che Abulcasimo fece ritorno in Sicilia, ricco di bottino assai grasso.

Intanto un gran tratto della Calabria era venuto alla potestà di Otone, ed il resto poco andava a cadervi. I Bizantini che si vedevano presta la loro rovina, si consigliarono accortamente di mettersi in pace co’ Saracini, e di proporre a costoro una reciproca alleanza contro un nuovo nemico, che minacciava non meno gli uni che gli altri. Ed i Saracini, i quali prevedevano che Otone, qualora [p. 128 modifica]gli sortisse di padroneggiar la Calabria, e di metter piede in Reggio, avrebbe concepito qualche cosa contro la Sicilia, assai volentieri si confederarono co’ Greci. E deposti gli antichi rovelli, le due genti si allestirono per resistere con tutto lo sforzo alle armi di Otone. Nè costui si lasciò cogliere sprovveduto, e pugnando valorosamente presso Crotone, sbaragliò meglio che quarantamila dei suoi avversarii, ove perdè la persona lo stesso Abulcasimo.

VII. Ma quando alla sede imperiale di Costantinopoli fu alzato Basilio II, (An. di Cr. 976), e vide che Otone II minacciava una forte spedizione in Calabria, non volle portare in pace la perdita di questa provincia; ed apparecchiatosi formidabile di armi, mosse dalla metropoli bizantina, e venne in Calabria. Otone II, non ostante la perplessità di Niceforo, aveva sposata sin dall’anno 972 Teofania; e costei, che ambiziosissima era, non cessava d’istigare il marito a conquistare intera la Calabria, quantunque i due imperatori d’Oriente Basilio II, e Costantino VIII le fossero fratelli. I quali conosciute le pretendenze del loro cognato, gli spedirono ambasciatori a pregarlo che non volesse per sì lieve cagione turbar la pace de’ due Imperi. Ma Otone non si mutò, e si volse alla guerra. E saputo che Basilio venivagli contro in persona, anch’egli si affrettò a quella volta per combattere in persona il cognato. Era unito ad Otone Landolfo IV Duca di Benevento.

Vedevano allora i Calabresi contendersi il dominio della patria loro due potenti monarchi, uno di Oriente, l’altro di Occidente, ed una donna, sorella all’uno, moglie all’altro, attizzare ed invelenire le alterne ire; e mal sapevano a chi desiderar la vittoria. Tra il cozzo delle armi di Oriente e di Occidente, tra le distruzioni che i Saracini non avevano mai cessato di fare a queste travagliatissime regioni, tra tanto conquasso di pubbliche e private fortune, quale dovette mai divenir Reggio sventuratissima, cui calpestava tanta gente, e sì varia di favella e di senno? Erano alleati di Basilio in questo incontro i Saracini di Sicilia. Otone, menando seco Tedeschi di tutte le provincie germaniche, Longobardi e Napolitani, assalì con vigoria strardinaria Salerno che dipendeva da’ Greci; e la prese. Appresso devasto tutta Puglia, ed ebbe Taranto. Corse la Calabria per lungo e per largo, vittorioso sempre. Cacciò i Saracini da Crotone, da Rossano, da Catanzaro; e nulla pareva potergli resistere. E sgominò irreprabilmente i Bizantini, che afforzatisi di parecchie migliaja di Saracini avevano fatto massa presso Squillace. Tronfio di sì prosperevoli eventi, si delle a taglieggiare e desolar senza pietà questi miseri paesi, porgendo così cagione a’ popoli di odiarlo, ed a Bizantini [p. 129 modifica]e Saracini di rifar nodo ad una vigorosa riscossa. Per la qual cosa quando se lo aspettava meno, Otone si trovò addosso risoluto e formidabile il nemico.

Scontratisi i due cognati imperatori al fiume Racanello presso Rossano (An. di Cr. 981) si urtarono e riurtarono con impeto incredibile, ma la vittoria si dichiarò per Basilio. Landolfo IV vi restò morto, ed Otone potette a mala pena salvarsi sopra un barchettino all’altra banda del fiume, e dileguandosi da que’ luoghi a rompicollo. Ma fu preso da’ Saracini, e condotto prigioniero in Sicilia, ove fra non guari morì di dolore. I Greci, pazzi di gioja per sì gran vittoria, racquistarono in breve il perduto potere, e le nemiche schiere sgominarono e dispersero interamente. Dopo questi trionfi Basilio ritornò in Costantinopoli in mezzo alle feste del popolo.

I Bizantini a quel tempo, traendo partito della fiacchezza e del disordine de’ Principi Longobardi, estesero prodigiosamente il loro dominio nella Puglia, e tutta da capo l’occuparono dal promontorio di Leuca fino al Siponto ed al Gargano. Collocarono poscia in Bari un nuovo magistrato per quella provincia, e Catapano il chiamarono.

VIII. Finita la guerra colla dispersione del nemico, l’alleanza che il pericolo aveva stretta tra Greci e Saracini, si sciolse; e tornossi alle vecchie ruggini e contese. I Saracini riprincipiarono a travasarsi dall’isola in Calabria, nuove città e terre occupando, fra le quali Gerace. Certo è nondimeno che dopo la morte di Albereco, gran parte di que’ Saracini, che lui seguivano in Calabria, vennero spargendosi per questa contrada, e mescolandosi cogli abitanti cristiani. Nè l’odio de’ Calabresi contro i Musulmani era più quello di una volta; perchè vedendo quanto spesso gli ajuti che da Costantinopoli erano loro promessi contro i Saracini, se ne andavano in vane parole, e come intanto le credule popolazioni restavano abbandonate al furor musulmano, rivennero per questo in miglior senno, nè più stettero a speranza delle promesse imperiali. Ma ponendo mente al loro meglio ed alla lor salute, si avvicinarono ai Saracini; i quali svestitisi di quella fiera indole che avevano dimostrato nelle loro prime irruzioni, erano divenuti col tempo più mansueti ed arrendevoli. Co’ quali i Calabresi andarono entrando in tanta dimestichezza e consuetudine, per via di traffichi, di parentadi, e di amichevoli relazioni, che potevano dirsi fusi in un solo popolo; dalla differenza in fuori che vi poneva la opposta credenza religiosa. Nel che però, a comune interesse, avevano cominciato di tollerarsi a vicenda. Insomma la reciproca utilità aveva contemperato le due parti. [p. 130 modifica]a saper vivere unite e concordi. E se i Calabresi continuarono ad aver crucci e travagli, questi non vennero loro che da’ soli Saracini di Sicilia, cui gli Emiri mai non si stancavano di scagliare in Calabria contro il dominio bizantino.