Storia di Torino (vol 1)/Libro V/Capo III
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Capo Terzo
Dell’erario comunale.
Antico era in Torino il registro de’ beni stabili, diviso in tre square o fini, secondo la qualità delle terre. Teneasi dapprima a denari viennesi, nel 1325 fu riformalo a moneta d’Asti.
Dovean porsi in registro non solamente lo stabile posseduto, ma i censi, le ragioni d’acqua, ogni diritto utile, il mobile, i fondi di bottega, ed in breve lutto l’avere. In dicembre del 1325 i savi del consiglio si lagnavano che il registro non fosse stato fatto con fedeltà, e che quello delle cose mobili ascendesse appena alla somma di 36 mila lire. E però ne ordinavano la riforma.
Su tale registro, sovente rinnovato, levavasi la taglia, maggioreo minore secondo il bisogno. Dispensavansi talora dalle taglie i medici per la curialità (cortesia) della professione. Nel 1348 si diè tal franchezza al medico Guala Marenlino, il quale, essendo settuagenario, fu anche dispensato dal servizio ordinario e straordinario delle scolte (vayta et excaravayta). Pe’ forestieri che possedean beni sul territorio torinese la taglia era quasi sempre più grave.
Altri proventi principali di cui si nutriva la cassa del massaio, erano le multe, divise in multe, propriamente dette pe’ misfatti, le quali erano o accordate prima della sentenza, o inflitte con essa; e in ammende di regarderia, che si riscoteano, o per bandi campestri, o per misure non bollale, o per precetti degli ufficiali non osservati, o per aver rotto l’arresto, ovvero l’ostaggio che si dovea tenere nella casa del comune, e per altre simili contravvenzioni; i pedaggi, ossia le dogane1 e le gabelle, il peso, i dritti di piazza, la bannalità de’ molini, per cui si obbligavano fin gli uomini di Grugliasco a macinar le loro granaglie a Torino,2 il fitto delle seghe e de’ battilori, quelli dell’acqua, che dal canale del sobborgo di Colleasca entrava per la porta Susina, ed usciva pe’ fossatelli di S. Michele (piazza delle fruita), di S. Brizio, del vescovo, di Billio della Rovere, della porta Fibellona; l’annuo censo che pagava la casana o casa di prestito di Torino; alcuna volta s’imposero tasse sull’esercizio d’un’arte. Nel 1377 ogni bottega di panni francesi pagava dieci fiorini all’anno; altra volta si riscoteva invece una gravezza proporzionata al valore d’ogni raso di panno venduto. E quando tutto ciò non bastava si chiedeva ai più ricchi una prestanza forzata, proporzionata all’avere di ciascuno. Questi proventi non entravano per altro tutti, nè per intero, nelle casse del comune. Varii privati avean parte nel pedaggio di Torino. Al vicario ed al giudice andava porzion delle multe; e cessata l’indipendenza, parte del pedaggio delle multe, la metà del censo della casana, il provento de’ molini3 e degli opifizii tornava al principe.4
Dopo quell’epoca altre tasse vennero imposte. La privativa della casa del gioco, la quale venne abolita dal principe Filippo d’Acaia ad instanza de’ cittadini nel 1300 con surrogarvisi la gabella del sale. Ma poi, come accade in materie di gravezze, la prima tornò,5 e la seconda fu conservata. Questa gabella risguardava il sale che si portava in Torino. Il principe d’Acaia introdusse dopo la metà dello stesso secolo un’altra gravezza sul sale che s’estraeva da Torino, d’un danaro debole per ogni emina; la qual gravezza, siccome contraria ai privilegi del comune, si chiamò e dal comune e dal principe malatolta, colla sincerità propria di que’ tempi non usi a velare con nomi onesti nè l’illegalità, nè i soprusi. Un’altra malatolta fu stabilita dai principe, ed è quella del ferro e de’ drappi che s’estraevano da Torino, di tre denari per ogni cento libbre di ferro, e d’altrettanta somma per ogni pezza di drappo.
In marzo del 1388 s’impose un nuovo pedaggio di tre soldi deboli per balla sui mercatanti di Milano. Ma dopo un anno fu rivocato.
Cominciò pure a levarsi in Torino dal principe Filippo, come generalmente in Piemonte dopo il 1320, il sussidio o focaggio di tanti fiorini per foco, dono in verità non imposto, ma consentito, ogni tre, ogni cinque anni, e più spesso, secondo il bisogno; sebbene del libero consenso non vi fosse qualche volta, come vedremo, altro che l’ombra.
Lo scompartimento del tributo si facea dal comune, il quale n’era mallevadore. E sebbene non fosser molli i denari che andavano nell’erario comunale, eravi quanto bastava, poiché convien notare, che gran parte dell’opere di maggior dispendio faceansi per comandate dai cittadini; come per esempio la formazione e la riparazion delle strade; e che dai cittadini ugualmente adempievasi l’obbligo della milizia; avendo ciascuno in casa di che armarsi, e recando ciascuno con sè quanto gli occorreva per vivere ne’ pochi giorni, in cui, secondo gli ordini della guerra di que’ tempi, si doveva compier l’impresa.
Quando poi nel secolo xiv cominciaronsi a condurre con maggior frequenza piccole compagnie a soldo del comune, crescendo la spesa, e non crescendo le rendite, si dovette aver sovente ricorso ai prestiti forzati. Nel 1348 venne agli stipendi dei Torinesi Guglielmo Savina, contestabile d’una bandiera, con un piccolo stuolo d’uomini bene armati non solo di usbergo e barbuta, ma di cosciali e gambali, coperti insomma di squama e di maglia. Stavano agli ordini del vicario e del giudice. Per pagarli convenne ricorrere al rimedio del prestito forzato.
Note
- ↑ [p. 371 modifica]Una parte del pedaggio di Torino chiamavasi dell’imperatore, perchè forse instituita per qualche determinata merce per autorità imperiale. Un’altra parte Introdotta dal marchese di Monferrato nel tempo della sua dominazione, pigliava nome da lui. Un altro ramo di pedaggio chiamavasi delle divise.
- ↑ [p. 371 modifica]Cessò tal condizione violenta di cose per lettere ducali dell’aprile 1434, che diedero, per denari, facoltà agli uomini di Grugliasco di cavar canali, e di fondar molini e battitori per loro uso.
- ↑ [p. 371 modifica]Conti dei chiavarii di Torino. Arch. camer.
- ↑ [p. 371 modifica]I molini furono venduti dal principe alla città il 18 marzo del 1401. Conto del chiavano di Torino.
- ↑ [p. 371 modifica]Venne di nuovo sospesa da Amedeo, principe d’Acaia, nel 1386, fino a nuovo ordine, certis de cautis.