Storia di Torino (vol 2)/Libro III/Capo V

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Capo Quinto


Cappella del Santissimo Sudario. — Breve storia della reliquia. — Pellegrinaggio di S. Carlo Borromeo. — Descrizione del sagro Lenzuolo fatta dal pittore Claudio Beaumont. — Pubbliche allegrezze in occasion della festa. — Teatino, ferito nel predicare al popolo accanto al duca. — Cappella, da chi edificata. — Monumenti sepolcrali d’Amedeo viii, d’Emmanuele Filiberto, del principe Tommaso, e di Carlo Emmanuele ii, eretti dal re Carlo Alberto. — Tesoro della Reale cappella.


Alla cappella del Santissimo Sudario ne guidano gli scaloni che s’alzano a capo delle due navi laterali del duomo, sotto a due porte giganti di marmo nero. Funebre è l’ingresso, funebre è tutto l’apparato della cappella, in mezzo alla quale s’alza a guisa d’avello sopra l’altare l’urna che racchiude uno de’ sagri lenzuoli che mostrano l’impronta lasciata nel sudario sepolcrale dalle trafìtte ed insanguinate membra di Cristo.

Il prezzo di questa reliquia Dio lo autenticò co’ miracoli.1 Solo sappiam dalla storia che, correndo il secolo xiv, Guglielmo di Villar Sexel, cavaliere [p. 395 modifica]illustre per natali e per valentia, la portò dall’Oriente e la depose nella chiesa di Lirey in Sciampagna, ove fondò un collegio di canonici; che dopo aver patito per cagion della guerra varie vicende, ed essere stala trasferita in varii luoghi, Margarita di Charny, della stirpe dei Villar Sexel, la donò verso il 1464 a Ludovico di Savoia, il quale con sue lettere del 6 di febbraio di quell’anno, assegnò come testimonianza di gratitudine al capitolo di Lirey, già custode della santa reliquia, cinquanta franchi d’oro all’anno; che in Savoia il Sudario fu prima per alcun tempo riposto in San Francesco di Gamberi, poi nella cappella di quel castello, chiamala Santa Cappella; e che nel 1554, arsa la cappella, fuso il metallo della cassa in cui era riposta, quasi intatto, e appena con un picciol segno di fuoco rimase quel sagro pegno, in riguardo al quale Giulio ii e Leone x aprirono ai devoti che visitano questa reliquia il tesoro delle indulgenze. Clemente vii ne autorizzò l’ufficiatura speciale.

Ma nell’anno 1578 addì 8 d’ottobre il santo cardinale Carlo Borromeo partivasi con un bordone in mano, accompagnato da poco seguilo, a piedi pellegrinando per venir ad onorare questa insigne memoria della passione di Cristo, e il duca Emmanuele Filiberto di ciò consapevole, desiderando di risparmiargli la parte più disastrosa del viaggio, e lieto ancora di trovar una giusta cagione per tenere [p. 396 modifica]presso di se una reliquia di tanto prezzo, die commissione al canonico Neyton di trasferire la SS. Sindone a Torino, dove il Santo la venerò. Il bordone a cui s’appoggiava San Carlo nei suo pellegrinaggio si conserva nel castello di Castellinaldo, già proprio de’ conti Priocca, ed ora de’ marchesi Faussone di Clavesana.2

Il Santo Sudario quando fu recato da Ciamberì venne con solenne processione dal duca, dai principi, dall’arcivescovo e dal clero incontrato e portato alla cappella ducale in castello, donde fu trasferito nella cattedrale.

Emmanuele Filiberto, devoto a questa memoria della passione di Cristo, avea ordinato nel suo testamento la costruzione d’una chiesa, ove potesse con degna pompa venerarsi, ed in cui voleva egli medesimo essere seppellito. Morto questo gran principe nel 1580, il suo corpo fu provvisoriamente deposto nello scurolo de’ padri di San Domenico sotto l’altar maggiore.3

Carlo Emmanuele i, bersagliato da continue guerre, si contentò di fabbricare fin dal 15874 entro al suo palazzo medesimo (il palazzo vecchio) un oratorio rotondo ornato di bei marmi, in cui allogò il Sudario. Alcuni anni dopo fu portato a San Giovanni e custodito, come abbiam già detto, nella cappella de’ Ss. Stefano e Catterina, in capo alla nave che apresi dal lato dell’evangelio. [p. 397 modifica]

Intanto la devozione dei popoli si faceva ogni giorno più grande. Ogni anno il 4 di maggio si mostrava da varii vescovi al popolo. Quel giorno era solenne alla pietà de’ Torinesi. Quintane, corse al facchino, luminarie ed altre feste segnalavano la pubblica gioia.

Nel 1621 non era ancora edificato l’elegantissimo padiglione ottagono che sorse dipoi nel sito dove ora si vede la cancellata di Pelagio Palagi, luogo che fu poi specialmente consecrato alle ostensioni della Sindone. E però si mostrava da un palco molto adorno che si costruiva a questo fine. Era sul palco accanto al duca Carlo Emmanuele i il generale de’ Teatini padre Vincenzo Giliberti di Modena, il quale pregato dal duca a dir qualche parola al popolo, orò con tanta efficacia, e tanto spirito di divozione eccitò fra gli astanti, che da ogni parte gli si gittavan corone e medaglie, perchè le ponesse a contatto della sacra reliquia; una corona assai grossa, guernita di pesanti medaglie e scagliata da man poderosa, venne sgraziatamente a colpire il padre Giliberti nella bocca, e tutta la mise in sangue. Carlo Emmanuele si fe’ innanzi sollecito, e con quel piglio pieno di grazia e di maestà che lo distingueva, gli terse di propria mano il sangue che colava, dicendogli con un sorriso: Non mai un generale fu ferito in occasion più gloriosa, nè con più felice successo (5).

Molto s’adoperarono i Teatini nel diffondere la [p. 398 modifica]divozione del Santo Sudario, e fra gli altri il padre Agostino Pepe, napolitano, che predicò in San Giovanni nel 1650. Sono frutto delle sue predicazioni le tante imagini del Sudario dipinte in varie strade della città. Più tardi molto si segnalò nell’infervorare i popoli in questa divozione anche il beato Sebastiano Valfrè dell’Oratorio.5

Era riservata a Carlo Emmanuele ii la gloria d’alzare al Sudario torinese un tempio degno del gran mistero redentor che rammenta. E la bizzarra e fantastica, ma grande ad un tempo e sorprendente architettura del padre Guarino Guarini, servì molto bene al concetto del principe. Tra il palazzo ed il coro della cattedrale sorse il sagro edilizio coll’ardita sua cupola disposta a zone esagone, in modo che l’angolo d’una zona risponde al mezzo del lato delle sotto e soprastanti; pervenuta a certa altezza, la parte interna converge rapidamente, ed è tutta traforata da luci triangolari, finche lo spazio reso angusto è chiuso da una stella intagliata che lascia vedere a traverso i suoi vani un’altra vôlta in cui è dipinto il Santo Spirito in gloria.

Questa cupola così leggiera e fantastica che s’alza sopra una rotonda di marmo nero, con archi e pilastri di belle e grandi proporzioni, è, a parer mio, un monumento degnissimo di considerazione. La cupola produce un effetto analogo a quei padiglioni, a quei campanili traforali dell’architettura gotica. [p. 399 modifica]on è come ora sono i nostri monumenti architettonici (se v’han monumenti) pallide copie di cose greche o romane. E una creazione. Ha carattere eli grandezza e maestà. Ha un suggello suo proprio. Ed invece il secolo xix, se continua come ha cominciato, legherà ai posteri molte case mercantili, alcuni graziosi casini, archi, cappelle e qualche tempio, imitati dai Greci e dai Romani, ma non un solo palazzo, nè una sola chiesa.

La mirabile cappella di cui parliamo fu cominciata nel 1657 e finita affatto nel 1694. Li danari occorrenti si pigliarono dai proventi della zecca, tratta, dogana e fonderia. Il conte Amedeo eli Castellamonte, ingegnere di S. A., sopraintendeva alla esecuzione dei lavori.

Della ricerca e del trasporto de’ marmi s’occupava l’ingegnere Bernardino Quadri. I pilastri e contropilastri sono di marmo di Franosa; gli zoccoli di marmo di Chianoc; la scala per cui si scende alla tribuna reale è di marmo eli Foresto. Simone Boucheron di Tours e Lorenzo Frugone fondevano bronzi pe’ capitelli. Scolpiva i capitelli dei pilastroni Bernardo Falconi. Ridia e varii altri li doravano.6

La Sta Sindone fu trasferita nella nuova cappella addì 1° giugno del 1694, alle ore quattro pomeridiane. Le aste del baldacchino erano sostenute da Vittorio Amedeo ii, dal principe di Carignano, dal [p. 400 modifica]maresciallo Caprara, e dal marchese di Dronero, dei signori del sangue.

Il duomo era pieno di gente, ma non conteneva che persone invitate. I principi di Brandeborgo, che si trovavano allora a Torino, videro la solenne cerimonia da una tribuna e, benchè non cattolici, si segnalarono per compostezza e riverenza.

Due anni prima la sacra Sindone era stata senza i soliti apparati, e senza previo avviso (per causa della guerra che desolava il paese) mostrata al popolo dal terrazzo che è sopra alla galleria ora chiamata di Beaumont.7

Gli altari e l’avello soprastante, in cui è racchiusa la reliquia e la balaustrata che li circonda, furono fatti sui disegni del celebre ingegnere Antonio Bertola.

Nel secolo scorso un pittore di nobile fama, vissuto molto tempo a Roma, e poi nominato primo pittore di Carlo Emmanuele iii, Claudio Beaumont, visitò attentamente, e con queste parole descrisse la Santa Sindone: « Primieramente il sagro lenzuolo non si può definire sicuramente di qual materia sia intessuto; ma comunemente si giudica bombace. Il contorno tanto della parte posteriore come di quella d’avanti di tutto il corpo si distingue benissimo, ma soprattutto le gambe e la pianta de’ piedi è a meraviglia disegnata. Si osserva nella parte posteriore vicino all’osso sacro la forma di [p. 401 modifica]tre anelli di catena di color sanguigno, come pure il contorno della corona di spine. Le mani fanno vedere una striscia di sangue che viene dal mezzo della mano sino al corpo, passando direttamente sopra al semicarpo: e tutto il disegno del corpo si vede alto oncie 42 di nostra misura ed è segnato interrottamente. Quello però che non si vede si è il segno della fascia che avea cinta ai lombi. Per ultimo la faccia è soprammodo distinta quantunque gonfia, sanguigna e colla barba e capelli intortigliati. Tuttavia corrisponde al volto Santo che sta in San Pietro in Roma, come anche a quello che ritrovavasi in casa Savelli nella medesima città. Vista nel mese di giugno 1750 da me cavaliere Claudio Francesco Beaumont, primo pittore di S.M. » (9).

Dal Santo Sudario si chiamarono, a Torino la confraternita di disciplinanti che costrusse con molta generosità e governò il Manicomio, e di cui si è già parlato; a Roma la chiesa nostra nazionale fondata nel 1587, in una chiesetta che già apparteneva alla nazione Francese, da Giorgio Provana, Ponzio Ceva, Ottaviano Malabaila e Girolamo Amet.8

Entro ai vani dei quattro archi che rimanean liberi in questa cappella, la pietà del re Carlo Alberto ha allogato le ossa di quattro principi di Savoia di grandissimo nome. Amedeo viii, Emmanuele Filiberto, il principe Tommaso e Carlo Emmanuele ii [p. 402 modifica]fondatore di questa cappella. I due primi hanno nobile monumento, opera degli eccellenti scalpelli di Benedetto Cacciatori e di Pompeo Marchesi. Gli altri avranno ugual onore per mano dei valenti artisti Gaggini e Fraccaroli. Amedeo viii ha questa iscrizione:


OSSA HEIC SITA SVNT
AMEDEI VIII
PRINCIPIS LEGIBVS POPVLO CONSTITVTIS
SANCTITATE VITAE
PACE ORBI CHRISTIANA PARTA CIBARISSIMI
REX CAROLVS ALBERTVS
DECORI AC LVMINI GENTIS SVAE
MON. POS. A. MCCCXLII

OB. GEBENN. IDIB. JAN. ANNO MCCCCLI


Emmanuele Filiberto quest’altra:


CINERIBVS
EMMANVELIS PHILIBERTI
RESTITVTORIS IMPERII
IN TEMPLO QVOD IPSE MORIENS
CONSTRVI
ET QVO CORPVS SVVM INFERRI
IVSSIT
REX CAROLVS ALBERTVS

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Ardevano anticamente attorno alla sacra reliquia lampadi d’argento di gran prezzo, fra le quali distinguevasi, per grandezza e per nobiltà di lavoro, quella donata da Madama Reale Maria Giovanna Battista, del valore d’oltre ad ottomila scudi.9

Sono da vedersi nel tesoro della sacristia una croce, un calice e quattro candelieri di cristallo di Rocca con graziosi intagli; e soprattutto una croce di legno lavorata a traforo, con miracolo di pazienza, in cui sono intagliate in figure minutissime, le varie fasi della passione di Cristo; e sembra lavoro del secolo xv


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Note

  1. [p. 408 modifica]Li miracoli sono la firma di Dio e li sigilli della sua divina autorità. — I teologi sostengono con S. Tommaso che non possono farsi miracoli in conferma d’una dottrina che non sia santa. — Lettera di monsignor Francesco Arborio Galtinara, vescovo d’Alessandria, poi arcivescovo di Torino, del 13 dicembre 1722.
  2. [p. 408 modifica]Piano, Commentarii sopra la SS. Sindone.
  3. [p. 408 modifica]V’era ancora nel 1584, in tempo della visita apostolica di monsignor Peruzzi, vescovo di Sarcina; ma poi fu trasferito nella truna dei principi in San Giovanni.
  4. [p. 408 modifica]Conto di messer Giacomo Alberti, tesoriere della fabbrica del nuovo palazzo.
  5. [p. 408 modifica]Si coniarono in diversi tempi in onor della Santissima Sindone quattro medaglie, si scrissero molti libri e molti versi, fra i quali noterò come rari ꞁe Canzoni, sonetti e sestine in lode della sacra Sindone conservata in Torino, del reverendo don Lucilio Martinenghi, monaco Cassinense. Al serenissimo Carlo Emmanuele, gran duca di Savoia et principe del Piemonte. In Brescia appresso Policreto Turlini, ad istanza di Giovanni Battista Borelli (1590).
    In una notizia di Torino di poche e mal ordite pagine, stampata da Giovanni Andrea Paoletti a Padova, nel 1676, e chiamata ambiziosamente: Historia di Torino, sta scrirto a pag. 6, che la famosissima solennità della Sindone si celebra con concorso di cinquanta in sessantamila forestieri.
  6. [p. 409 modifica]Conto della fabbrica della cappella del Santissimo Sudario del conte Greqorio Gioannini Btucco.
  7. [p. 409 modifica]Cerimoniale del conte di Vernone. Arch. di corte.
  8. [p. 409 modifica]Fanucci, Trattato di tutte le opere pie dell’alma città di Roma, 381.
  9. [p. 409 modifica]Memorie della vita di Madama Reale Maria Giovanna Battista dopo la sua reggenza, compilate dal padre Pantalone Dollera frate della Buona morte, teologo e predicatore d’essa A. R., ms. dell’Archivio di corte.