Sulla origine delle specie per elezione naturale, ovvero conservazione delle razze perfezionate nella lotta per l'esistenza/Capo IV/Convergenza dei caratteri

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Capo IV

Convergenza dei caratteri

../Sino a che punto l'organizzazione tenda a progredire ../Sommario IncludiIntestazione 1 giugno 2008 75% paleontologia

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Il Watson crede ch’io abbia attribuito eccessiva importanza al principio della divergenza dei caratteri (il quale però è anche da lui accettato), e dice che si debba tener conto anche di ciò che può chiamarsi convergenza dei caratteri. Se due specie, appartenenti a due generi diversi ma affini, producano un certo numero di nuove specie divergenti, può immaginarsi che si debbano poi riunire nello stesso genere, cosicchè i discendenti di due generi diversi convergerebbero in uno solo. Ma sarebbe generalmente un giudizio molto avventato, se si attribuisse alla predetta convergenza una grande e generale somiglianza nella costruzione di discendenti modificati di forme tra loro molto distanti. La forma di un cristallo è determinata unicamente dalle forze molecolari, e non v’è nulla di sorprendente nel fatto che sostanze dissimili assumono talvolta la medesima forma; ma non devesi dimenticare che la forma di un essere organico dipende da un’infinita quantità di rapporti complessi; e cioè dalle variazioni avvenute, determinate alla lor volta da cause troppo complicate perchè si possano qui seguire in dettaglio, dalla natura delle variazioni che furono conservate e prescelte, a seconda delle condizioni fisiche, e più ancora degli organismi circostanti con cui lotta ogni essere, e finalmente dall’eredità (elemento già di per sè fluttuante) avuta, da un grande numero di avi, le cui forme furono anch’esse determinate da rapporti complessi. È incredibile che i discendenti di due organismi, i quali originariamente differivano notevolmente tra loro, convergano più tardi in guisa da essere nell’organizzazione pressochè identici. Se ciò fosse avvenuto, noi avremmo incontrato la medesima forma in periodi geologici assai diversi, indipendentemente da ogni nesso genetico; ma i fatti contraddicono a tale congettura.

Il Watson opponeva ancora che l’azione continua della elezione naturale, con divergenza di carattere, tenderebbe a produrre un numero indefinito di forme specifiche. Per quanto si attiene alle condizioni puramente inorganiche, sembra probabile che un sufficiente numero di specie si adatterebbe a tutte le diversità considerevoli di calore, di umidità, ecc.; ma io ammetto completamente che le mutue relazioni degli esseri organizzati siano assai più importanti; e alimentandosi il numero delle specie in ogni paese, le condizioni di vita si renderanno sempre più complesse. Conseguentemente non pare, a primo aspetto, che esistano limiti all’insieme delle variazioni di struttura profittevoli e quindi al numero delle specie che possono formarsi. Noi anzi ignoriamo se la regione più prolifica contenga il massimo numero di forme specifiche: così al Capo di Buona Speranza ed in Australia, ove si riunisce uno straordinario numero di specie, molte piante europee furono naturalizzate. Ma la geologia ci mostra, almeno per tutto l’immenso periodo terziario, che il numero delle specie dei molluschi, e probabilmente dei mammiferi, non è aumentato molto, o rimase costante. Quali sono dunque gli ostacoli che si oppongono allo indefinito aumento nel numero delle specie? La somma totale di vita (non intendo parlare del numero delle forme specifiche), che può sostenersi in una data regione, deve avere un limite, dipendente in gran parte dalle condizioni fisiche; quindi se un’area è abitata da molte specie, tutte o quasi tutte sarebbero rappresentate da pochi individui e sarebbero esposte alla distruzione, per le accidentali alternative della natura delle stagioni o nel numero dei loro nemici. Il processo di esterminio in tal caso sarebbe rapido, mentre sarebbe molto lenta la produzione di nuove specie. Si immagini il caso estremo, in cui l’Inghilterra contenesse tante specie di quanti sono gli individui di esse; allora nel primo inverno rigoroso o nell’estate più secca, migliaia e migliaia di queste specie rimarrebbero estinte. Le specie rare (ed ogni specie diverrebbe rara, se in una regione il numero delle specie crescesse all’infinito), presenterebbero in un determinato periodo poche variazioni favorevoli, pel principio, già da noi svolto; conseguentemente il processo di produzione di nuove forme specifiche sarebbe ritardato. Quando una specie si fa molto rara, gli incrociamenti fra individui molto affini contribuiranno a distruggerla; almeno alcuni autori hanno pensato che ciò abbia influito sull’estinzione dell’uro in Lituania, del cervo rosso in Scozia, dell’orso in Norvegia, ecc. Da ultimo, una specie dominante, che ha già vinto molti competitori nel proprio paese, tenderà a propagarsi e a soppiantarne molti altri; ed io sto per credere che questo sia un elemento importantissimo. Alfonso De Candolle ha dimostrato che quelle specie che si diffondono più ampiamente tendono in generale ad estendersi vieppiù; e quindi esse tenderanno a distruggere parecchie atre specie in certi luoghi, ed impediranno così il disordinato accrescimento delle forme specifiche sulla terra. Hooker ha notato recentemente che nell’angolo sud-est dell’Australia, ove trovansi molti invasori venuti da varie parti del mondo, le specie indigene diminuirono assai di numero. Io non pretendo decidere qual peso debba darsi a tutte queste considerazioni; ma esse simultaneamente debbono limitare in ogni regione la tendenza all’aumento indefinito delle forme specifiche.