Sulla origine delle specie per elezione naturale, ovvero conservazione delle razze perfezionate nella lotta per l'esistenza/Capo V/Uso e non-uso degli organi combinato coll'elezione naturale
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Traduzione dall'inglese di Giovanni Canestrini (1864)
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Pei fatti riferiti nel primo capo, io credo non sia per rimanere il più piccolo dubbio sull’opinione che l’uso rafforzi ed allarghi certe parti dei nostri animali domestici, e che il non-uso le diminuisca; e che tali modificazioni vengano ereditate. Allo stato libero di natura non abbiamo un tipo di confronto per giudicare delle conseguenze di un uso o di un non-uso lungamente continuato, perchè noi non conosciamo le madri-specie; ma molti animali offrono tali forme, delle quali può darsi ragione per mezzo degli effetti del non-uso. Come notava il professore Owen, non vi ha in natura un’anomalia più grande di quella di un uccello che non possa volare; tuttavia ne abbiamo parecchi in questo stato. Una specie d’anitra dell’America meridionale (Anas brachyptera) può battere soltanto la superficie dell’acqua colle sue ali, che sono in una condizione quasi identica a quelle dell’anitra domestica d’Aylesbury, ed è un fatto singolare che, secondo l’asserzione del Cunningham, gli uccelli giovani sanno volare, mentre gli adulti hanno perduta questa facoltà. Gli uccelli più grandi, che prendono alimento sul terreno, non volano che per fuggire un pericolo, cosicchè io credo che lo stato quasi rudimentale delle ali di certi uccelli che abitano al presente, o abitarono altra volta, alcune isole oceaniche in cui non trovansi animali rapaci, provenne dal non-uso. Lo struzzo però abita i continenti ed è esposto a pericoli che non può evitare volando; ma può difendersi da’ suoi nemici coi calci, non altrimenti di alcuni quadrupedi. Noi possiamo ritenere che il progenitore del genere struzzo avesse delle abitudini simili a quelle dell’ottarda e che, avendo l’elezione naturale accresciuto nelle successive generazioni la grandezza e il peso del suo corpo, egli adoperasse più spesso le sue gambe che le sue ali, al punto da divenire incapace al volo.
Kirby ha osservato (cosa notata anche da me) che i tarsi anteriori, o piedi di molti scarabei maschi mancano molto spesso; egli esaminò diciassette campioni della sua raccolta e niuno di essi ne aveva conservato qualche traccia. Presso l’Onites apelles, i tarsi mancano tanto frequentemente, che l’insetto fu descritto come privo di essi. In alcuni altri generi i tarsi sono presenti, ma in uno stato rudimentale. Nell’Ateuchus, o scarafaggio sacro degli Egiziani, essi mancano affatto. Non è ancora provato che le mutilazioni accidentali siano trasmissibili per eredità; ma Brown-Sequard ha esposto un caso rimarchevole di epilessia prodotta da una lesione alla spina dorsale di un porco d’India, che fu ereditata: e ciò deve renderci più cauti. Però è forse più sicuro il considerare l’assenza intera dei tarsi anteriori nell’Ateuchus e la loro condizione rudimentale in altri generi, come dovute ai prolungati effetti del non-uso nei loro progenitori; perchè mancando essi quasi sempre in molti scarafaggi coprofagi, debbono perdersi sui primordi della vita, e però non possono essere di grande importanza e di molta utilità a questi insetti.
In certi casi noi potremmo facilmente attribuire al non-uso quelle modificazioni che sono interamente, o principalmente dovute all’elezione naturale. Wollaston ha scoperto questo fatto rimarchevole che 200 specie di coleotteri sopra le 550 che abitano l’isola di Madera, hanno le ali tanto imperfette che non ponno volare; e che dei ventinove generi endemici, non meno di ventitre hanno tutte le loro specie in questa condizione! Parecchi fatti mi hanno indotto a credere che l’atrofia delle ali di tanti coleotteri di Madera debba derivare principalmente dall’azione dell’elezione naturale, combinata forse col non-uso. Infatti si è osservato che in molte parti del mondo i coleotteri sono spesso dal vento trasportati al mare, dove periscono; che i coleotteri di Madera, secondo Wollaston, rimangono nascosti fino a che il vento si arresta e il sole risplende; che la proporzione delle specie prive d’ali è maggiore sulle coste del deserto, esposte al vento del mare, che a Madera stessa; e specialmente il fatto straordinario, sul quale tanto insiste Wollaston, cioè che mancano quasi interamente certi grandi gruppi di coleotteri (altrove eccessivamente numerosi), i quali hanno abitudini di vita che richiedono quasi necessariamente un volo frequente. Per modo che, in una lunga serie di generazioni, ogni individuo di questa specie che volò meno, sia perchè le sue ali furono meno perfettamente sviluppate, sia per le abitudini indolenti, ebbe una maggiore probabilità di sopravvivere, non essendo trasportato dal vento sul mare; e d’altra parte quei coleotteri che più di sovente presero il volo, furono anche più frequentemente trasportati al mare e quindi rimasero distrutti.
Gli insetti di Madera che non sono coprofagi e che devono ordinariamente, come i coleotteri e lepidotteri che cercano il loro nutrimento nei fiori, impiegare le loro ali per vivere, le hanno più sviluppate. Ciò si concilia coll’elezione naturale. Perchè quando un nuovo insetto giunse nell’isola, la tendenza dell’elezione naturale di allargare o restringere le ali dovrà dipendere o dal maggior numero di individui che furono salvati, superando con successo la lotta coi venti, oppure abbandonando l’impresa col volare più di rado e col rinunciare al volo. Può dirsi altrettanto dei marinai naufragati presso una costa; sarebbe utile ai buoni nuotatori il poter nuotare di più, e sarebbe più conveniente ai cattivi nuotatori il non essere affatto capaci di nuotare e il rimanere a bordo.
Gli occhi delle talpe e di parecchi altri roditori che scavano la terra sono rudimentali, e in alcuni casi sono completamente coperti dalla pelle e dal pelo. Probabilmente questo stato degli occhi deriva dalla diminuzione graduale prodotta dal non-uso ed anche coadiuvata forse dall’elezione naturale. Un mammifero roditore dell’America meridionale, il tuco-tuco, Ctenomys, è per le sue abitudini anche più sotterraneo della talpa; e uno Spagnuolo, che spesso ne prese, mi assicurava che questi animali sono quasi sempre ciechi. Io stesso ne conservai uno vivente e la causa di questo stato, come risultò dall’autopsia, fu riconosciuta essere una infiammazione della membrana nittitante. Ora siccome una frequente infiammazione degli occhi deve essere dannosa ad ogni animale, e gli occhi non sono al certo indispensabili agli animali che debbono vivere sotterra, così una riduzione della loro grandezza, con adesione delle palpebre e sviluppo di peli onde ricoprirle, può in questo caso essere vantaggiosa; in tal caso l’elezione naturale agirà costantemente nel senso degli effetti del non-uso.
Tutti sanno che alcuni animali, appartenenti alle classi più diverse, che stanno nelle caverne della Carniola e del Kentucky, sono ciechi. In certi granchi il peduncolo dell’occhio rimane, quantunque l’occhio manchi; il piede del telescopio vi è ancora, benchè il telescopio con le sue lenti si sia perduto. Io attribuisco la mancanza degli occhi in questo caso interamente al non-uso; essendo difficile ammettere che tali organi, anche inutili, possano in qualche modo nuocere ad animali che vivono nell’oscurità. Due individui di una di queste specie cieche, il sorcio delle caverne (Neotoma), furono catturati dal prof. Silliman a circa mezzo miglio di distanza dalla bocca della caverna, e quindi senza discendere alle maggiori profondità; gli occhi di questi individui erano più lucidi e più grandi. Ora questi animali furono esposti per quasi un mese ad una luce gradatamente più viva, ed acquistarono una debole percezione degli oggetti che si ponevano davanti ai loro occhi.
È assai difficile l’immaginare condizioni di vita più uniformi di quelle delle profonde caverne calcari, sotto un clima quasi costante; di modo che partendo dalla comune opinione che gli animali ciechi furono creati separatamente per le caverne d’Europa e d’America, dovrebbe presumersi che esistesse una strettissima somiglianza nella loro organizzazione e nelle affinità. Ma ciò non si verifica, quando si considerano le due faune nel loro insieme; e riguardo ai soli insetti, Schiödte ha detto: "Noi siamo indotti quindi a considerare l’intero fenomeno come puramente locale, e la rassomiglianza che si trova in alcune poche forme fra i mammouth delle caverne del Kentucky e quelli delle caverne della Carniola, non è altro che una semplice espressione dell’analogia che sussiste generalmente fra le faune dell’Europa e dell’America settentrionale". Dietro le mie idee bisogna supporre che gli animali d’America, essendo in molti casi dotati di una potenza visiva ordinaria, emigrassero lentamente nella serie delle generazioni, dal mondo esterno in recessi vieppiù profondi delle caverne del Kentucky, come fecero gli animali d’Europa nelle caverne d’Europa. Noi abbiamo qualche prova di questa transizione di abitudini, perchè, come dice Schiödte, "possiamo considerare le faune sotterranee come altrettante piccole ramificazioni delle faune geograficamente limitate delle adiacenti regioni, che penetrarono entro la terra e si adattarono alle circostanze locali, a misura che le tenebre si facevano maggiori. Gli animali che non sono molto discosti dalle forme ordinarie, preparano il passaggio dalla luce all’oscurità; vengono poi le specie adatte alla luce crepuscolare; da ultimo appariscono quelle che furono destinate ad una completa oscurità, l’organizzazione delle quali è affatto speciale". Queste osservazioni di Schiödte si applicano non solo ad una medesima specie, ma anche a specie distinte. Nel tempo impiegato da un animale, dopo moltissime generazioni, a raggiungere le più profonde cavità della terra, il non-uso, secondo la nostra teoria, avrà diminuito più o meno completamente la sua facoltà visiva, chiudendone anche gli occhi; e la elezione naturale avrà effettuato altri cambiamenti, per esempio, un allungamento delle antenne o dei palpi, come compensazione alla cecità. Ad onta di queste modificazioni, possiamo aspettarci di vedere negli animali delle caverne d’America, delle affinità cogli altri animali di quel Continente, ed in quelli delle caverne di Europa altre affinità che li colleghino con quelli che popolano il Continente europeo. Ora queste affinità esistono appunto in alcuni animali delle caverne d’America, come seppi dal prof. Dana; e così alcuni insetti delle caverne d’Europa sono strettamente affini a quelli del paese in cui si trovano.
Sarebbe molto difficile dare una chiara spiegazione delle affinità degli animali ciechi delle caverne cogli altri abitatori dei due Continenti, nella ipotesi comune della loro creazione indipendente. Dalle conosciute relazioni esistenti nella maggior parte delle produzioni del vecchio e del nuovo Continente, è da ritenersi che parecchi abitatori delle caverne in questi due Continenti debbano essere strettamente affini. Come trovasi in abbondanza una specie cieca di Bathyscia, all’ombra delle rocce fuori delle caverne, potrebbe credersi che la perdita della vista nelle specie che le abitano non abbia probabilmente alcuna relazione colla località oscura; ed è naturale che un insetto già privo della vista siasi facilmente accostumato alle caverne oscure. Un altro genere di insetti ciechi (lo Anophthalmus) offre una particolarità rimarchevole; alcune specie distinte, secondo Murray, abitano in parecchie caverne d’Europa ed anche in quelle del Kentucky, ed il genere non trovasi in altro luogo che nelle sole caverne. Ma è possibile che il progenitore o i progenitori di queste varie specie siano stati anticamente sparsi sui due Continenti, e che poscia rimanessero estinti (come l’elefante dei due Mondi), eccetto nelle presenti loro abitazioni sotterranee. Lungi dal rimanere sorpreso vedendo che alcuni animali delle caverne presentano strane anomalie, come Agassiz osservava riguardo al pesce cieco, l’Amblyopsis, ovvero come nel caso del proteo cieco fra i rettili d’Europa, io debbo soltanto meravigliarmi che non siano stati preservati maggiori avanzi dell’antica vita, considerando la lotta meno severa che gli abitanti di questi oscuri recessi ebbero a sostenere.