Tay-See/La fuga

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La fuga

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Josè Blancos L'inseguimento

LA FUGA


Era una magnifica notte, una di quelle notti profumate, misteriose, incantevoli, tutte proprie di quei paesi, di cui in Europa non se ne ha che una vaga idea.

La luna vagava silenziosa in un cielo quasi senza nubi, di un azzurognolo trasparente fra miriadi di scintillanti e tremule stelle, illuminando come in pieno giorno la ridente vallata del Dong-Giang.

La fiumana appariva d'un sol tratto, scendente dalle fosche montagne del nord sulle quali alzavasi un grand'arco di nere nubi, svolgendosi come un gran nastro d'argento tremolante, or lambendo le grandi foreste i cui giganteschi tronchi spiccavano vivamente sul fondo chiaro del cielo, or stringendosi fra gole dirupate tagliate a picco, e or distendendosi fra le grandi piantagioni di riso, con mille curve, mille tortuosità. Al di là stendevansi le fitte boscaglie, vagamente illuminate, e che andavano arrampicandosi sui fianchi dei colli; al di qua la cittadella, colle sue cento case e casette e capanne dalle pareti biancheggianti, che tuffavano le loro basi nelle onde argentate del fiume, i suoi filari di calambuc, i suoi templi dalle aguzze guglie, sulle cui cime brillavano gli ori delle sculture.

Un fresco venticello agitava le fronde dei più alti alberi con un sussurro misterioso e faceva frullar le banderuole dei tetti che cigolavano stranamente, vento tiepido, profumato delle più olezzanti esalazioni degli aranci, degli ananas e dei mangostani.

Calma, mistero e silenzio ovunque, che veniva solamente rotto di tratto in tratto dal dolce suono del tra siamese, da qualche ritornello o dall'ululo lamentevole delle belve che vagavano sulla opposta riva del fiume.

Tay-See si arrestò dinanzi alla finestra. Credeva sognare. Rimase lì vacillante, immobile, semiaccasciata, chiedendosi se era un sogno o realtà.

Il fischio poco prima udito risuonò ancora sotto le foreste. Si sollevò con energia sovrumana, febbrile, datale solo da quella potente passione che la dominava e vide uscire dalla piantagione di cay me due uomini, che si diressero verso l'abitazione.

Thay-Mit si nascose sotto un cespuglio di cay-bong a pochi passi dal recinto per vegliare e lo spagnolo ebbro di gioia e d'amore in un salto giunse al davanzale della finestra.

Due braccia lo cinsero e lo attirarono nell'interno della stanza vagamente illuminata dal blando chiarore di una lanterna di talco.

— Tay-See! — urlò egli delirante stringendosi al seno la giovanetta.

— Ah! Mio adorato Josè! — esclamò con voce soffocata la Rosa del Dong-Giang.

Non seppe dir di più e si abbandonò fra le braccia dello spagnolo scoppiando in lagrime. Josè accostò le sue labbra a quelle di lei e le baciò appassionatamente mentre il petto si sollevava sotto i singhiozzi. La trascinò sotto la lanterna e rimase lì muto, ansante, colla febbre nel sangue avvolgendo con uno sguardo innamorato l'esile persona della giovanetta.

— Tay-See! Mio povero fiore del Dong-Giang! Fanciulla divina! — esclamò egli alfine con intraducibile accento di tenerezza. — Lascia che ti guardi! Ho bisogno di vederti!

Tay-See si sentiva soffocare, si sentiva mancare le forze.

— Ah! Josè, la gioia mi uccide! — mormorava ella.

Lo spagnolo credette impazzire. Stringeva tanto la giovanetta da toglierle il respiro.

— Ti rivedo alfine, mia adorata Tay-See. Ti rivedo alfine dopo tanto tempo. Ah! Se tu sapessi, fanciulla divina, quante volte t'invocai in questi due lunghi anni di separazione, se tu sapessi quante volte la paura di non rivederti mai più devastò il mio cuore. Ho sofferto tanto che mi sembra un sogno essere ancora vivo come mi sembra ancora un sogno di rivederti, di poterti dire innanzi al mio Dio e al tuo Buddha che ti amo! Non sognai che questo momento, il momento di stringerti fra le mie braccia, il momento di rivedere ancora questi tuoi occhi che mi accompagnarono sempre nei miei deliri, di deporre un bacio sulle tue divine labbra e dirti: Tay-See tu sei mia e sarai mia per sempre!

La giovanetta continuava a singhiozzare sul suo petto.

— Josè, mio amato Josè, quanto sei buono! Sei venuto alfine! Ti sei ricordato di me, della povera Tay-See sacrificata sul Dong-Giang. Tu mi fai rivivere!

— Sì! — disse lo spagnolo con fuoco. — Sono venuto, Tay-See, e per non lasciarti più mai! Dovessi sfidare mille volte la morte, nessuna forza umana sarà mai capace di staccarmi dalla mia Tay-See. Vengano pure i tuoi compatrioti! Mi sentirei capace di fiaccarli col solo mio soffio!

— Ah! Quanto ti ringrazio, Josè, di essere venuto dopo due anni, due lunghi anni d'indicibili strazi. Sapeva bene io, che tu non mi avresti dimenticato!...

— Dimenticare! — esclamò. — No, Tay-See, non dovevi supporlo un solo istante che il tuo Josè ti avesse dimenticata! Fossi pure fuggito in capo al mondo, la passione e il tuo ricordo mi avrebbero seguito, mi avrebbero tormentato egualmente.
No, Tay-See, non era possibile dimenticarti! Ogni mio pensiero era rivolto a te, ogni momento aveva il tuo adorato nome sulle labbra, e dì e notte ti vedevo folleggiar a me d'intorno come un genio divino! Non sognavo che di te, e mi struggevo di non poterti salvare. Senti, amata Tay-See, io credo in questi due anni di forzata separazione di aver sofferto più di mille torture! Ero legato all'ambasciata e l'onore m'imponeva di seguirla. Oh! Quante volte maledii l'onore, quante volte mi sentii spinto dalla smania d'abbandonare la mia bandiera!
L'abisso si aperse ai miei piedi il dì dopo che tu sparisti da Saigon, il dì dopo che il maledetto Tay-Shung ti trascinò a sacrificarti sulle rive del Dong-Giang.
La nostra nave partì, e mi portò lontano, lontano da questa cara terra sulla quale tu vivevi, mi portò laggiù, a Manila. Non puoi immaginare ciò che soffrii. Aveva il cuore straziato, la piaga era aperta e sanguinava e doppiamente sanguinava a ogni passo che mi allontanava dalla tua patria. Quante volte, seduto solitario in riva al mare, spingeva lo sguardo sulla lontana tua terra, e le lagrime si mescerono coi flutti che pur bagnavano le spiagge della Cocincina, e quante volte di là t'invocai, ti chiamai, e solo il muggito delle onde mi rispondeva.
Non so come passarono due anni: la speranza sola mi sostenne, e pregava Dio che mi liberasse da tanto tormento, che mi facesse almeno morire. Scoppiò la guerra, credetti impazzire di gioia, e fui scelto col mio Alvarado a guardia del colonnello Gutierres. Il mio cuore traboccava, scoppiava di speranza. Pugnai sotto i bastioni di Kiloa ove Alvarado cadde ai miei fianchi...

— Alvarado! — esclamò Tay-See. — Alvarado, tu hai detto?

— Sì, il mio povero Alvarado. Un capo cocincinese gli spaccò la testa colla catana.

— Era Tay-Shung. Era Tay-Shung, il capo cocincinese! Mi portò la catena d'Alvarado!...

Lo spagnolo mandò un sordo ruggito.

— Ah! Tay-Shung! — esclamò egli con voce strozzata. — Ancora il maledetto Tay-Shung! Quanto l'odio io, quest'uomo, quanto l'odio!

Le dita di Tay-See si posarono sulle labbra dello spagnolo che le baciò avidamente.

— Taci, Josè, taci — mormorò ella con un filo di voce. — Continua il racconto!

— Il racconto!... Che vuoi che ti dica, Tay-See? Mi trovai sulla via che menava al Dong-Giang. Voleva vederti a qualsiasi costo. Attraversai foreste, attraversai paludi, passai fra i nemici. La febbre mi spingeva innanzi. Camminai dì e notte, m'imbattei nei kemays che mi diedero la caccia e mi gettarono nel fiume.
Il maledetto mi raccolse, udii il suo nome risuonare alle mie orecchie, l'abborrito suo nome, e mi lasciai condurre perché mi conduceva sulla terra da te abitata. Ho sofferto tanto, Tay-See, ma che importa quando oggi ti vedo? I patimenti di due anni, sono un nulla dinanzi a questo momento sospirato. Ah! Tay-See, quanto ti amo! Quanto ti adoro!

— Josè, mio adorato Josè, tu mi fai rivivere! Ho pur io sofferto tanto e tanto che ancor in questo istante mi chiedo se sono un'ombra o una viva. Due anni, due eterni anni d'angosciosa aspettativa. Credeva che tu non avessi a tornare mai più, che tu fossi morto. Due anni, dove il tempo lo contai minuto per minuto: quante angosce, quante speranze, quante illusioni! Ogni dì t'aspettavo, ogni dì ti chiamavo, e il sole nasceva sempre e tramontava sempre senza che tu mai venissi, e la vita si consumava atomo ad atomo e la speranza che mi rendeva forte i primi tempi, spegnevasi soffio a soffio...

— E fu il maledetto, il terribile Tay-Shung, che ti fece soffrire, che fu la causa di tutti i nostri dolori. Oh! Quando mi risovvengo di lui, sento il cuore gonfiarmisi d'odio e nel sangue la febbre della vendetta!...

— Non parlare così, Josè — mormorò dolcemente la giovanetta.

— Io l'odio, Tay-See, l'odio come uomo giammai odiò! Fu lui che frappose fra due esseri che si amavano, fra me e te, l'abisso. Fu lui che ti trascinò lungi da me a sacrificarti sulle rive del Dong-Giang! Fu lui che straziò a entrambi il cuore. Ho sete, ho sete del suo sangue. Mi sentirei capace di berlo fino all'ultima stilla!

— Mi amava, Josè — sospirò la giovanetta. — L'amore lo acciecò.

— E io vorrei calpestarlo sotto i piedi il suo amore, vorrei disperderlo, tanto che non ne rimanesse un atomo!

— Povero Tay-Shung!

— Oh! Non dir così, Tay-See. Di' con me che tu lo esecri.

— No, Josè, lo compiango: ecco tutto.

— Ma lui, il maledetto, — continuò lo spagnolo, — non ti avrà mai più, Tay-See!...

Rabbrividì e si tacque. Tay-See incrociò le braccia attorno al collo di lui e lo contemplò tristamente.

Il suo petto si gonfiava e le lagrime bagnavano le sue pallide gote.

— Josè! Josè! — mormorò ella.

— Sarai mia, Tay-See, dovessi dar fuoco a Bien-hoa! — esclamò lo spagnolo.

— Ah! Josè... sono legata a lui.

— Gli spezzerai questi legami, Tay-See, li disperderai.

— È commettere un delitto.

— Non v'ha delitto, Tay-See. Noi eravamo creati l'un per l'altro, un maledetto ci divise, un maledetto scavò tra noi un abisso, e noi varcheremo questo abisso. È un delitto dunque amarsi? Tu mi affiderai il tuo destino, Tay-See, e io lo farò bello, lo farò felice. Io ti strapperò da questi luoghi che sono maledetti per noi, ti porterò meco lontano, nella mia patria, in grembo alla felicità. Io sarò tuo, tu sarai mia, mia per sempre... Infrangi, infrangi questo legame ch'è una mostruosità!

— Quanto sei buono, Josè. Sì, sì, Josè, sarò tutta tua, ti seguirò nella tua patria, dimenticherò Tay-Shung e il mio fiume e le mie selve e la mia terra natìa stessa.

Si arrestò e chinò la testa sul petto dello spagnolo che la baciò teneramente.

— Sventurata! Parlo di felicità e la morte è gettata fra noi!

Lo spagnolo mandò una rauca imprecazione.

— La morte! La morte! — esclamò egli cacciandosi le mani nei capelli che si rizzavano sulla fronte.

— Ah! Sventurata! Lo vedi, Josè, il destino è inesorabile.

— No, mia adorata Tay-See, non parlare di morte, non parlare così. Dio non permetterebbe che la morte troncasse due esseri che hanno tanto sofferto. Non morrò, Tay-See, non morrò!

La giovinetta sollevò il capo e lo guardò piangendo.

— Josè — disse con voce tremula. — No, non voglio che tu muoia, voglio che tu sii libero. Tay-Shung fra qualche dì sarà di ritorno. Svelerò a lui ogni cosa, è terribile ma è generoso, mi ama alla follia, nulla saprebbe negarmi...

— Che vuoi tu dire, gran Dio?... Parla Tay-See!...

— Mi ascolterà, mi sacrificherò interamente, sarò tutta sua ed egli ti lascerà libero. Tu partirai, tu tornerai alla tua patria... Morrò felice di averti salvato...

I singhiozzi spensero la sua voce. Lo spagnolo sentì ottenebrarsi la vista. Sollevò fra le braccia la giovinetta e cercò vederla in volto.

— No! No! No! Sarebbe un'atrocità, sarebbe un delitto!... — gridò egli.

Egli la portò fino alla finestra e le mostrò l'orizzonte del sud ch'erasi coperto di nubi.

— Tay-See, la via è libera! Laggiù stanno i miei compatrioti, ed io ti porterò fra loro. Non sono io libero, finché il maledetto è al sud? Chi ci impedisce questa sera, col favor delle tenebre di partire, di abbandonare questi luoghi? Non ti amo io adunque? Non ho giurato di farti felice dopo tante sofferenze?... Non ho giurato che ti avrei liberata? Eccomi qua, tuo oggi, come ero tuo a Saigon, il tuo fidanzato oggi come lo era due anni fa, pronto a versare tutto il mio sangue per te. Superiamo l'abisso che ci separa, infrangi i legami che ti uniscono al maledetto! Qua la voragine pronta ad inghiottirti, qua le lagrime, l'infelicità, gli strazi, la morte; là la libertà, la felicità, l'amore, la vita. Scegli!...

— Josè!... Josè!... Abbi pietà di me! Avrei paura. Ho tristi presentimenti. S'io varco l'abisso io ti travolgo a ruina. Mi sembra che una disgrazia ci sia vicina.

— Se vi sono presentimenti io gli disperderò, se vi sono disgrazie le supererò, Tay-See. Di chi puoi aver paura? Non sono qua io?

— E Tay-Shung! Hai dimenticato Tay-Shung?

Lo spagnolo sentì il sangue montargli alla testa.

— Non parlarmi di lui! E poi, non è lontano egli?

— Potrebbe raggiungerci, Josè. È terribile e caduti in sua mano non avrebbe pietà di te. Sarebbe la tua morte, e morto tu morrei pur io. Oh! Quale presentimento!

— È la febbre e la passione che ti fanno vedere ovunque pericoli. Senti, Tay-See, senti fanciulla divina! Questa notte noi fuggiremo. La notte è oscura, e tempestosa: odi il vento che comincia a soffiare e il tuono che rulla fra le nubi.
Si scatenerà qualche terribile uragano: questa mane ho veduto un arco oscuro al nord. È un segnale infallibile. Tanto meglio, così la fuga sarà più facile.
Non ci occorre che un cavallo e Thay-Mit lo troverà. Di' a Tay-Shung, al maledetto da Dio, che ci raggiunga una volta raggiunti i miei compatrioti, o di' che si mostri a sbarrarci la via. La mia palla lo fredderà. Di che hai paura tu adunque, adorata Rosa del Dong-Giang? Fra noi e lui porremo il mare, un abisso più profondo di quello che scavò fra me e te. Non lo rivedrai mai più, mai più, e io ti farò felice!

— Josè, Josè, ma sai che io sono cocincinese, sai che io sono la straniera, una nemica della tua razza, una donna di colore? Ti farò infelice, i tuoi mi disprezzeranno, e forse un dì tu ti pentiresti di avermi fatta tua. La sola idea, che un dì tu avresti dispiaceri, che tu saresti infelice, e per causa mia, mi farebbe morire... Va', Josè, la via è libera come tu dicesti, sii felice... e qualche volta pensa alla sventurata Tay-See!...

— Dio!... Dio!... — esclamò lo spagnolo delirante. — Tu sei divina!...

La fe' sedere sulle stuoie poi si lanciò verso la finestra.

La luna era scomparsa sotto fitti nuvoloni che andavano accavallandosi in cielo e la più fitta tenebra avvolgeva la cittadella. Tratto tratto un lampeggiar tremulo, livido, guizzava al nord rompendo l'oscurità e lo stormir e lo scricchiolar degli alberi scossi dal vento rompevano il silenzio sepolcrale che regnava all'intorno.

Egli si curvò sul davanzale, guardò a destra e a manca fin dove poteva giungere lo sguardo, accostò le mani alla bocca e imitò il grido del pavone.

Un grido simile vi rispose poco dopo e Thay-Mit uscendo da un cespuglio si avvicinò alla casa.

Tay-See a quei due gridi si scosse.

— Che fai, Josè? — chiese ella avvicinandosi a lui.

— Tay-See, non puoi restare, non voglio. Bisogna che tu fuggi con me nella terra della felicità.

— Tu lo vuoi proprio, tu mi ami proprio dunque, vuoi che sia tua?... Tu mi fai rivivere, amato Josè, fai rifiorire il povero fiore che appassiva. Sì, Josè, verrò dove tu vorrai al di là del mare, infrangerò tutti i legami, sono tua, prendimi!... Sono tua! Eccomi!...

— Ripetilo! Ripetilo, Tay-See adorata!

La giovanetta si avvinghiò al suo collo e accostò le labbra al volto di lui.

— Tua, sì, tua in vita e in morte!...

— Basta così — gridò Josè. — Guai a chi la tocca!... Guai a chi la tocca!

Thay-Mit era giunto al davanzale della finestra.

Egli rimase lì a guardargli entrambi stretti in un tenero amplesso, senza voler romper l'incanto di quell'abbraccio.

Il tuono che brontolava in cielo e un buffo di vento che spense quasi la lanterna fece tornare in sé lo spagnolo. Egli si sciolse dalle mani della giovinetta e si volse al cocincinese.

— Thay-Mit — diss'egli con febbrile agitazione. — Tu sei devoto alla Rosa del Dong-Giang?

— Kia è la schiava della Rosa e Thay-Mit è lo schiavo di Kia. Che debbo fare?

— Questa notte io devo fuggire, Thay-Mit.

— E Wang? Che dirà Wang? — chiese il cocincinese spaventato. — Egli incolperà me che l'ubriacai, e tutti sanno che Wang è astuto come un ranhò. Tu mi vuoi perdere.

— La Rosa del Dong-Giang lo vuole! — esclamò con fuoco lo spagnolo. — Quando Tay-See lo comanda, Kia obbedisce e tu obbedisci a Kia. Se rimango, Tay-Shung mi ucciderà ed oggi non sono più libero di morire. Appartengo anima e corpo a Tay-See.

— E la Rosa?

— Verrà con me. Tay-Shung non la vedrà più mai, più mai!

— Kia aveva ragione. E noi?... Tay-Shung scatenerà la sua ira su di noi.

— La via del sud è semisbarrata, la via del nord è libera. Io fuggo al sud, tu fuggirai al nord. Io avrò Tay-See, tu avrai Kia e le faremo felici entrambe.

— È vero, le faremo felici. Parlate, dite, comandate. Che bisogna fare?

— Fra un'ora devo essere lontano. Mi occorre un cavallo.

— E la tempesta? Le nostre tempeste sono tremende e da tre giorni l'arco nero solca l'orizzonte del nord. Una fuga in questa notte, potrebbe essere fatale.

— E io in questa notte, sfiderei le ire di Dio!... Va'!... Io lo voglio, Tay-See lo vuole, Kia lo vuole!

— E la volontà della Rosa del Dong-Giang si compia — mormorò il cocincinese e scavalcò il davanzale.

Dieci minuti dopo era di ritorno. Conduceva a mano un focoso destriere che nitriva e s'impennava al rumoreggiar del tuono, fiutando colle nari fumanti l'impetuosi soffi della tramontana.

— Tay-See — disse con voce commossa lo spagnolo sollevando fra le braccia la giovanetta. — Da' un ultimo addio a questa casa e a questi luoghi che non rivedrai mai più. Cangi patria come cangi vita. Coraggio, che la felicità eterna ci aspetta!

La giovanetta mandò un profondo sospiro e chiuse gli occhi per rattenere le lagrime.

— Non li rivedrò mai più, mai più adunque questi luoghi? — mormorò ella.

— No, sono i luoghi della sventura, i luoghi del maledetto!

— Ah! Josè!...

— Non rimpiangerli adorata fanciulla. Non rimpiangerli!

— No, Josè, non li rimpiangerò mai, mai!...

— Vieni, adunque, vieni, e che Dio ci protegga!

Il cavallo nitriva al di fuori scalpitando. Lo spagnolo trasse la giovanetta verso la porta.

Nel medesimo istante la lanterna si spense sotto un violento buffo della tramontana e l'upupa del tetto mandò tre volte il suo grido.

Tay-See trasalì e sentì una stretta al cuore.

— Ci capiterà sventura! — mormorò la poveretta.

Lo spagnolo non rispose. Staccò un archibugio e due pistolone dalla parete e uscì sostenendo la giovinetta. Thay-Mit frenava a gran pena il cavallo che s'impazientiva.

— Il cavallo corre come la tigre — disse il cocincinese. — Montate, montate prima che iscoppi la tempesta, e che Buddha vi salvi. Addio, povera Rosa del Dong-Giang, che la felicità t'accompagni.

— Addio Thay-Mit — rispose la giovinetta. — Povera Kia, non la vedrò mai più!

Lo spagnolo sentì le lagrime sgorgarle dagli occhi. Salì in sella, strinse fra le braccia la giovinetta che appoggiò la vaga testolina sul suo petto e raccolse le briglie.

— Coraggio! Coraggio! — esclamò egli con voce soffocata.

— Sì, coraggio, sono tua, tutta tua in vita e in morte — rispose Tay-See.

Fece un gesto a Thay-Mit che lasciò le briglie, e l'ardente destriere portando i due fuggiaschi dileguossi fra le tenebre.