Teatro Historico di Velletri/Chi edificasse la Città di Velletri

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Chi edificasse la Città di Velletri.

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Quali fossero le Città, e Terre de' Volsci Guerre Antiche di Velletri
Chi edificasse la Città di Velletri.
Cap. V.


Chi gittasse i fondamenti, e alzasse della Città di Velletri, le prime mura, per la molta antichità di essa, non v'è Autore, ne Scrittore, che ne faccia parola: li danno ben sì titolo d'Antica, Bella, Inclita, Nobile, Celebre, Insigne, Potente Ricca, Populosa, Abbondante, e con altri molti Encomij l'inalzano; ma il primo Fondatore niuno l'assegna. Il nostro Sig. Conte Gioseppe Barsi, persona, che per l'antichità della Patria, hà consumati più giorni, nella compendiosa Descrittione di Velletri data in luce nel 1631, dimostra non haverne potuto trovar il Principio, dal che maggiormente la sua antichità argomenta, come di cosa immemorabile.

Si persuadono alcuni Virtuosi, che Velletri sia stata edificata da Atlante Italo, chiamato Kitim, ò Cetim, Pronipote di Noè, Nipote di Iapeto, e Figlio di Iavano, come s'è accennato di sopra; nel principio del Regno di Mancaleo XIV. Rè de gl'Assirij, che fù, come si deduce per la sopputazione di Beroso, DC. LIX Anni, ò con il Samoteo DC. LXX. doppo il Diluvio universale; pensiero, che io stimo di buon fondamento per quanto hò potuto raccogliere da qualche rincontro. Perchè venendo Atlante vittorioso dalla Spagna, e dalla Sicilia, per haverne discacciato Hespero suo fratello; giunto in questo elevato Colle alla falda d'un Monte più vago, e riguardevole di qualsivoglia spatiosa campagna; è da credere, che vi edificasse la Città, e gl'imponesse il nome di Eletra, che così chiamavasi la sua Primogenita, che fù moglie di Corito, e madre di Dardano fondatore di Troia; sicome l'altra figlia chiamata Roma (già s'è accennato di sopra) e in quella guisa, ch'essa vien detta Vesta, Elia, Velia; e Eneti, Veneti, così Eletra, col tempo fù detta Veletra, ò Beletra, che così la chiama Stefano Greco, per essere cosa ordinaria appresso Greci del B, per V, scambievolmente servirsi. Havendo poi Dardano ucciso Iasio suo fratello, per la pretensione, c'haveva nella dignità di Corito (Dionisio è di senso, che Iasio, e fosse senza moglie, Iasius mansit celebi, e che morisse percosso dala fulmine perchè hebb'ardimento di pensare lascivamente in Cerere dicendo Iasius fulmine periit attentata Cereris pudicitia) edificare alcune Colonie nel Latio, se ne fuggì nella Frigia, à cui impose nome Dardania, dal cui sangue per retta Linea hebbe i suoi natali Enea Troiano, come dimostrano l'autorità di Manethone, Archiloco, Dionisio, Vergilio, e con altri molti antichi, e moderni Scrittori, d'Ovidio, che apertamente dice

Dardanon Electra quis nescit Athlantide natum,
Scilicet Electra concubisse Iovem
Huius Eryctionius, Tros est generatus ab illo,
Assaracus creat hic, Assaracusquè Capim
Proximus Anchises, quo cum commune parentis
Non dedignata est nomene habere Venus

Impercioche doppo, che Dardano dalla prima Moglie nomata Criseide Figlia di Pallante, hebbe havuti due figlioli, Ideo e Diamante; da Bostea Figlia di Tenero, hebbe due altri figlioli, uno chiamato Zacinto, che diede il nome all'Isola del Zante, e l'altro Erittonio, che pigliando l'Impero doppo il Padre, volse, ch'Erittonia quella Provinca si chiamasse. Da Erittonio, e Calliroe Figlia di Scamandro, overo, come piace ad Apollodoro, da Astioche figlia di Simeonte, ne nacque Troo. Questo, perchè ampliò la Città fabricata dall'Avo, volse, che dal suo nome si chiamasse Troia. Da Troo, e Acalide figlia d'Eumede, overo da Calliroe, dice, Apollodoro, ne nacquero Ilio, che diede il nome alla Fortezza di Troia, con Euridice figlia d'Adrasto, generò Laomedonte, per il cui mancamento di parola, Hercole, non l'Egittio, ma il Greco, espugnò la Fortezza di Troia, perchè li negò la sua Figlia Hesione promessali per haverla liberata dalla Balena. Anzi alcuni tengono, che perciò Laomedonte ne restasse morto, e Priamo suo figlio fatto priggione, e riscattato à grossa somma di denari de' vicini. Darete Frigio narra, che questo risentimento fatto da Hercole fosse, perche, andando egli con i Compagni à far preda del Vello d'Oro nell'Isola di Colcos, dando di capo nel Porto di Sigeo, Laomedonte non lo volse ricevere, ma con molt'asprezza lo discacciò, del che sdegnatosi Hercole, nel ritorno pigliò Troia, diede Hesione per moglie à Telamone suo compagno; e fatta la preda, uccise ancora Laomedonte. Da Laomedonte, e Strime figlia di Scamandro, ne nacque Priamo, che fù ucciso da Pirro figlio d'Achille nella Guerra Troiana. Priamo con Hecuba figlia di Cisseo Rè di Tracia, come narra Vergilio per parere di Euripide, ò pure di Dimante, dice Servio per sententia di Homero, generò Hettore tanto celebrato da Scrittori per la sua fortezza. Da Assaraco fratello Germano di Ilio, e Clitodora figlia di Laomedonte, overo da Hieramnome figlia di Simeonte, nacque Capis. Da questo, e da Naiade Ninfa, ò pure da Temide figlia d'Ilio, nacque Anchise, il quale con Venere generò Enea. Ecco dunque la retta linea di Hettore, e Enea congionti in quarto grado, e veracemente discendenti da Dardano figlio di Corito detto ancor Giove, e di Eletra.

Di dove partisse Dardano originaria radice de' Rè Latini, li Fautori, e SCrittori sono conforme alle loro passioni, diversi ancora nè pareri, esplicando quelli versi di Vergilio,

Atquè equidem memini, fama est obscurior Annis
Auruncos ita ferre senes, his ortus ut agris
Dardanus, Idæas Frigiæ penetravit ad Urbes

Giovanni Annio vuole, che quelli Popoli, da' quali parti Dardano, si chiamassero Arunti, e non Aurunci, che stassero nella Toscana, vicino à Viterbo, e che da quel luogo egli partisse per la Samotracia. Altri molti l'istesso confermano circa la Regione; ma variano nel luogo. Giovanni Villani afferma, che partisse da Fiesole, e questa opppinione è dal Claramontio applaudita, mentre chiama Dardano Fiesolano. Sopra di che dico esser vero, che il Regno di Corito fosse in Toscana; ma che la Regia fosse Cortona, come il Ciatti afferma, overo Corneto, com'altri pensano, poco importa al mio intento. Mi maraviglio ben si del capriccio del Villani, quale quanto sia vero, si potrà raccogliere dall'altre falsità, che dice; trattando di simili antichità; cioè che Lavinio fosse vicino a Teracina, e pure è distante più di quarantacinque miglia; che Turno fosse Rè de' Toscani, e pure era Rè de' Rutuli; e che Ardea sia hoggi Cortona, e pure li vestigi di questa famosa Città, celebrano il suo sito nel Latio vicino Roma. Li difensori dell'oppinione per la Toscana asseriscono, che gl'Aurunci del Latio per ancora non havevano havuto il loro principio, per haver fondata la di loro Città Ulisse, overo Ausone suo figlio, e si fanno forti con il seguente verso di Vergilio,

Hinc illum Coriti Tyrrena ab Sede profectum

Cioè, che partito dal Regno di Corito suo Padre, ch'era nella Toscana, se ne gisse nella Frigia ad acquistare nuovi Regni. Con tutto ciò io trovo, che gl'Aurunci erano Popoli antichissimi del Latio, e che dal Latio Dardano partisse, come nel Latio hebbe i suoi natali. Che questi Popoli fossero antichissimi, lo conferma Donato, dicendo, Auruncos Antiquissimos Populos Italia ab Aurunca Civitate; ma senza ragione soggionge, Quam Auson filius Ulyssis, et Calipsus ædificavit. Essendo Ulisse coetaneo d'Enea; e Latino, di cui sono quelle parole, di più anni di Ulisse, non poteva ragionevolmente far mentione d'Aurunca; Vergilio dice in questo luogo per bocca di Latino Rè, che gl'Aurunci non facevano Historie, ne Annali, ma si servivano delle Traditioni, e Relationi fatte da vecchi à posteri, e perciò soggionge, Auruncos ita ferre senes. Se Ausone, overo Ulisse suo Padre, fosse stato il loro fondatore, non vi sarebbono stati ne anco li vecchi, non che le loro Traditioni, e forse ne anco le Città. Che fossero Popoli nel Latio, oltre à quanto si è detto di sopra con Livio, lo conferma un Toscano, che è il Fabrino, con queste parole, Aurunca era una Città Antichissima nel Latio, e il Lorito, ch'espressamente à favor nostro l'autenticò, dicendo, Aurunci sunt veteris Latij, quod à Tiberi Circeios usque erat, Incolæ. Ma per maggior prova del mio intento, mi servirò dell'istesso Vergilio, ch'introducendo Ilioneo à spiegar l'imbasciata à Didone, e la caggione del viaggio, e dove s'andava, dice, ch'era nel Latio, nel quale i suoi posteri dovevano regnare,

Tendere ut Italiam læti, Latiumquè petamus

E poco più sotto dice,

Saturniaque Arua.

chiamandosi il Latio Saturnia, come s'è accennato. Doppo un'altra volta rappresentando l'istesso Ambasciatore mandato da Enea al Rè Latino, dice,

Hinc Dardanus hortus,
Huc repetit, iussisque ingentibus urget Apollo.

Perchè l'Oracolo, come l'istesso registra, tanto gl'haveva promesso, dicendo,

Dardanide duri, quæ vos à Stirpe Parentum,
Prima tulit Tellus, eadem vos obere læto,
Accipiet reduces antiquam exquirite Matrem
Hic domus Æneæ cunctis dominabitur oris,
Et nati natorum, et qui nascentur ab illis

Giovanni Fabrino spiegando queste parole, scrive, Perche Apollo haveva commesso loro espressamente, che dovessin venire ne' paesi del Latio, donde haveva havuto origine Dardano. E se ben Vergilio dice,

Tyrrenum ad Tiberim, et Fontis vada sacra Numici

Non si deve già intendere, che doveva Enea tornar in Toscana; perchè Tyrrenus Tiber, vuol denotar, che scorre nel Mar Tirreno, così spiga l'Ascentio, Ad Tiberim Tyrrenum, idest, qui influit ad Mare Tyrrenum, in qual senso anc'Ovidio lo chiamò fiume Toscano, quando disse, Tuscum rate venit in amnem. Si stabilisce tutto questo con le sopr'accennate parole di Vergilio, cioè, Et Fontis vada sacra Numici; il Fonte ò Fiume Numico scorre nel Latio, vicino ad Ardea, così dimostrano li Scrittori. Matteo Veggio lo mette vicino Laurento, Città ancor'ella nel Latio, dicendo,

Laurentumq. petit vicina Numicius undis,

Servio dice, che fosse un fiume grosso, nel quale fù ritrovato il Cadavero d'Enea, ma poi si seccò, e perciò vien detto Fonte, e non Fiume.

Da questo dunque si deduce, che nel Latio Dardano nascesse; dal Latio partisse per la Frigia, sicome nel Latio ritornò la sua prole, dico, Enea. Il possesso finalmente del Regno corrobora il tutto: perchè Enea, e suoi Posteri furono Rè de' Latini, e non de' Toscani; dunque se ritornò nel Latio, dal Latio, nel quale hebbe i suoi natali, partì. Altrimente, e gl'Oracoli introdotti dal Poeta, sarebbero stati fallaci, e gl'Ambasciadori buggiardi, se le promesse fossero state della Toscana, e il possesso del Latio, di cui intendeva l'istesso quando disse,

Terra antiqua potens armis, ac ubere glebæ

Et à dire il vero non vi è stata Gente più feroce, et armigera, de' Popoli del Latio; ne vi è campagna più fertile, e feconda di quella nostra, di cui disse il Sabellico, Ferax Terra, omniumquè frugum præstantia nobilis. E se bene Vergilio disse, Tyrrena ab Sede profectum, l'Ascensio in questo luogo dice, Qui profectus est ab hac Regione, à Sede Coriti, illius Oppidi, quod est ad mare Tyrrenum, e questa fù partenza di pretensione di regno, no di Sito. E quantunque Servio in questo verso,

Italiam quæro patriam, et genus ab Iove summo

dica parlando di Enea, che respondeva à Didone Regina di Cartagine, Tria ergo quarit, Provinciam, scilicet, Italiam, Patriam Coritum Tuscia Civitatem, undè Dardanus fuit, etc. Con tutto ciò il Badio nell'istesso luogo dice, Ego quaro Italiam patriam, è d'adiettivo, e non di sostantivo. Altra prova più efficace sarebbe quella di Varrone, quando da noi fedeli se li dovesse dar credenza. Narra questo Autore, che partendosi Enea da Troia già abbruggiata, e distrutta, mettendosi in Mare con i suoi compagni per la volta d'Italia, sempre fù accompagnato dalla Stella di Venere, infin tanto, che gionse alle riviere di Laurento, dove abbassate le vele, gettate l'ancore per far ivi il suo albergo, disparve la Stella; dando à divedere à quelli, che ciechi si lasciavano dal Demonio ingannare, che quella era la Terra à loro per Fato promessa, Ex eo quo à Troia est profectus Æeneas, Veneris per diem Stellam semper vidisse, donec in Laurentium agrum veniret, ubi non est amplius visa; quarè cognovit Terras esse fatales. Tanto scrive Varrone. Ma se voglio allontanrami dal Poeta, e dire con gl'Historici, che Dardano sia stato il fondatore di Cora, mi sarà più facile à provar il mio intento. Così dice Plinio, Solino, e Martiano Capella seguitati dal Salmasio, che dice, Plinius Coram à Dardano Troiano orti, Martianus Capella, Coram Dardanus, atqui ille habet à Solino. E se bene Corito regnava nella Toscana, egli quasi Essule dal Padre, credo dominasse nel nostro Latio, da dove fece partenza.

Dal Latio dunque partì Dardano, e forse in quella guisa, ch'al parer di Giovann'Annio, Iasio fatto Corito edificò alcune Colonie nella Toscana, chiamandole con queste quattro lettere, C.O.R.T. che egli conforme alla superstitione di quelli tempi, chiama sacre; Dardano ad onta del fratello, altre Colonie, si potrebbe pensare ch'edificasse nel Latio, dove haveva fautori, e parteggiani, dando à quelle il nome con l'istesse lettere CORT, perche oltre à quello si è detto di Cora pretesa già edificata da lui, distante da Velletri otto miglia: più vicino alla Città nel territorio Veliterno, una di presente rattiene il nome CORTE, nella quale si son trovate, e si trovano bellissime antichità di Marmi, Statue, Mosaici, e altre cose di memoria, che dimostrano quello ch'il tempo ha divorato, e li Scrittori non hanno registrato. Altri belli Ingegni pensano, che Velletri sia stata edificata da Saturno primo habitatore, e fondatore del Latio; sopra di che io vado osservando chi sia questo Saturno, per non caminare in compagnia di molt'altri nella spatiosa strada de gl'errori, e persuadendomi gir sicuro, e veloce, non sia forzato d'arrestar il passo. Saturno nostro dunque non è quel Re Candiotta, ò Cretense, come da molti si presuppone, chiamato per altro nome Aptera, overo Abderide; e vogliono provare il principio, e fondatione delle proprie Patrie con la fuga, e nascondimenti di lui; cosa contraria all'oppinione di molti buoni Scrittori antichi, e moderni; e lontane dall'assignatione de' tempi, perche Saturno Cretense fù nell'età del Ferro, è il nostro Saturno è nell'età dell'Oro, di cui disse Vergilio,

Aureus hanc vitam in terris Saturnus agebat

come s'è accennato di sopra. Quello cominciò à regnare in Creta nel MMM. DC. XCVIII. del Mondo, D. e più anni Anni doppo la morte di Nino, che fù nel MMM. CXCVII. e regnò, come scrive Eusebio, XLII. Anni, e hebbe per soccessore Lapis; questo fù al tempo di Nino, e venne in Italia à trovar Giano il prim'anno di Semiramide nell'Anno MMM. CXCVIIII. Quello fù persona empia, e scelerata, che s'incredulì contro il Padre, fece guerra à Fratelli, e uccise i proprij Figli. Questo riverì i suoi Maggiori, schivò fuggendo l'ira de' suoi Cugini, e Parenti, e honorò Barzane suo figlio in Armenia, qual fù superato da Nino; e honorò l'altro suo figlio in Italia chiamato Sabo, creandolo Prencipe de' Sabini. Quello si chiamava Aptera, overo Abderide. Questo Sabatio Saga. Quello venne dall'Isola di Creta. Questo dà Monti Caspi. Quello finalmente morì Cinquecento, e più Anni doppo Noè, e questo nostro Saturno morì Otto, ò Sedici Anni avanti Noè. Tutto ciò si deduce da Beroso, tanto dimostra l'Annio, così tiene l'Alberti, il Ciatti, l'Angelotti, e altri. Fù dunque il nostro Saturno Sabatio Saga, che diede il nome al nostro Latio, essendo in esso entrato per il fiume Tevere, come s'è detto di sopra. Sono alcuni che non stimando per vero tutto ciò che di Saturno s'è accennato; si ridono in sentire ch'egli per isfuggire lo sdegno, e crudeltà di Belo, si nascondesse nelle montagne, con l'autorità di Vergilio, e di Ovidio, l'uno de' quali dice,

His quoniam tutus latuisset in oris

e l'altro,

Dicta fuit Latium terra latente Deo

perchè questi non fanno mentione de Monti, et ora, come vuol Cicerone, significa Regione, e Parte del Mondo, e non luoghi montuosi, Omnibus hominibus, qui ubiquè sunt quacumquè in ora, ac parte terrarum. Et un'altra volta disse, Globum terræ fixum in medio Mundi universi duabus oris distantibus. Et il Calepino l'istesso afferma per sentenza di Plinio, Plinius ora appellatione ferè semper Regionem litoralem appellat, e maggiormente l'esprime Sesto Pompeo, con quelle parole, Ora extremæ partes terrarum, idest maritimæ dicuntur; per finirla Vergilio ancora dimostrò l'istesso quando disse,

Arma virumquè cano Troia qui primus ab orbis,

Soggiongono che Saturno non stette nascosto, ma si palesò a Giano suo Bisavolo, che se ne stava nel suo Gianicolo, hoggi per il color dell'arene chiamato Montorio, dice Giovanni Rossino, Hodiè à flavis arenis Mons aureus nominatur, et corrupto vocabulo Montorius. Nè meno haveva una tal necessità, perchè Belo primo suo persecutore era morto, e morto il suo figlio Nino, e essendo egli partito dall'Armenia, non dava più materia di persecutione, come ne anco di sospetto à Semiramide, che regnava. Anzi participando egli il Regno d'Italia con Giano, viveva sicuro, tranquillo, e perciò quella parola, Latere, de gl'accennati Poeti, dicono, ch'intender si debba in riguardo delli persecutori, perche s'allontanò da gli occhi loro, ne sapevano dove egli dimorasse; non già, che realmente si nascondesse, ne c'havesse necessita dell'asprezza de' Monti per celar la sua persona. Io, però, per non discostarmi dalla volgata oppinione, mi faccio lecito dire, che il nostro Saturno si nascondesse in qualche monte; il che parmi volesse accennar Vergilio, quando disse,

Is genus indocile, ac dispersum Montibus altis.

perche l'istesso nome di Saturno tal nascondimento dimostra; così dice Gioseppe Scaligero, Saturnum Tuscum esse nomen, et Siriaca lingua significare latentem. Gerolamo Marafiote asserendo, che Giano regnasse in Cuma, dice che ivi fosse ricevuto Saturno, e che in Cuma principiasse il nome del Latio; pensiero molto discostante dalla commun'oppinione. Il Padre Valle, e il Ciammariconi fondati nelle parole del Gonzaga, vogliono, che Saturno si nascondesse nella montagna di Bassiano; sentimento, che per non trovarvi rincontro di sorte veruna, non mi par punto verisimile, non che vero. Ecco la mia raggione: Ovidio riferisce, che Saturno venisse in barca con le sue genti, che si chiamavano Sagi, per il Tevere, dicendo,

Causa ratis superest, Tuscum rate venit in amnem.

Se per il Tevere se n'entrò Saturno à trovar Giano, come è credibile ch'à piede egli se ne venisse per nascondersi con le sue Genti nell'asprezza della Montagna di Bassiano distante da Roma, forse Quaranta, e più miglia, come pensano li citati Autori? Concludasi dunque, che in altro monte più vicino à Roma Sabatio Saga con i suoi Sagi si nascondesse, e per li rincontri, che si diranno, posso persuadermi fosse il Monte di Velletri, al quale lasciò il nome di Sagiola, che poi per la mutatione della prima lettera fù detta Fagiola. Sagiola, cioè habitatione, e stanza de' Sagi; (perche Ola, conforme si deduce dall'Hebreo, significa Tabernacolo, e Habitatione) di dove discendendo, si tiene c'hedificasse la Città di Velletri; onde non sia maraviglia, se havendo Saturno insegnato alli primi habitatori di Velletri il modo di far Sagrificij, di potar le vite, coltivare i Campi, e far tutte le cose sopraccennate. Doppo la morte di lui gl'alzarono un Tempio con la sua Statua, e l'adorarono vanamente per Dio, cosi disse l'Abbate Uspergense, Pro quibus meritis ab indocili rustica multitudine Deus appellatus est. L'adorarono si per Dio, non con nome di Saturno, ma di Sango, o Sago, registrato da Livio, mentre narra i prodigij di quell'Anno, e dice fosse toccato dal fulmine, del quale più diffusamente si discorrerà à suo luogo. Da questo si doverà concludere, che da Velletri, ò dalla sua Montagna habbia avuto il suo principio il nome del Latio, sia di Provincia, come dice Ovidio, ò di Città da Saturno fabricata, come afferma Marciano Capella, e Papia, che dice, Latium Urbs Italiæ à Saturno condita. Stimo perciò volontario il pensiero del Clavelli, quale vuole, che Saturno edificasse cinque Città, cioè il suo Arpino, Aquino, Atino, Alatri, e Anagni, e apporta per raggione, e prova una certa antica somiglianza, che in quella guisa, che per parere d'Ilino Rabino, Semo primo figliolo di Noè edificò alcune Città, dandogli il nome con la prima lettera del suo, che è la S. e furono Siponto, Salerno, Surrento, Sannio, e Siena la vecchia, così Saturno le cinque accennate Città edificasse col nome, c'hà per principio la lettera A, prima ne gl'Alfabeti di tutti i linguaggi. Si che lascino di vantarsi Roma, Rieti, Piperno, et altre Città, mentre il lor nome non cominciando per A, non possono affermarsi edificate da Saturno. Ma s'inganna il Clavelli, e ogn'altro per lui, se intende del nostro Saturno Sabatio Saga; siccome se il suo sentimento è di Aptera Cretense, se gli puol concedere, perche il nome comincia per A, et à noi poco importa, mentre si raggiona di più antico Saturno. Soggiongo, che gl'antichi Heroi imponevano alle cose il nome, e non la loro prima lettera, che se ciò fosse vero, molte Città haverebbono pretensione à più alto principio di quello se li deve. Consideri il Lettore quante Città cominciano per S, e quante per A, e quanti Autori ancora registrano la fondazione di Saturnia, cioè Roma, e poi giudichi quanto sia verace, e ben fondata quest'oppinione del Clavelli. Io mi confesso molto appagato delle due accennate oppinioni circa il principio di Velletri, e per li rincontri da me apportati, mi par c'habbiamo toccata qualsivoglia sodezza: ma però non mi contento di questo, e con più chiari rincontri stimo più alto il principio di questa Città, e dico, che l'edificassero alcuni di quelli, che vennero in Italia con Noè. Perche gionto questo secondo Adamo, Noè giusto nel Gianicolo per il Tevere, ivi fece la sua stanza, e stabilì il suo albergo; ma perche li suoi seguaci Nipoti chiamati Gianigeni, ò Gianidi, erano molti, mi si fà credibile, che parte di loro morsi dall'humana curiosità procurassero d'esplorare anco il paese della parte destra del fiume; cosa molto verisimile, e per la novità del luogo e per l'amenità del sito, e per la suavità dell'aria contraria affatto à quella di Trastevere, dove erano sbarcati, e dimoravano; onde con una, ò più barche di quelle, nelle quali erano venuti da Fenicia, facessero tragitto all'altra sponda del fiume, e caminando, e scorrendo il paese, gionti alla vista del Colle, e Campagna di Velletri, dove, come piace ad Antonio Magino, cominciava il piano della palude Pontina; quale veduta, e considerata vaga, amena, e fertile, stabilirono di fermarvi il piede, e farvi il loro domicilio, che dal primo Esploratore fù chiamato Veletro, ò Beletro, ch'altro non suona in lingua Latina, che Vetustus Explorans, nome composto da Vel, ò Bel, e Ietro : Vel e Bel, al parere de gl'Espositori della lingua Hebrea significa Vetustus, in lingua Latina, e Ietro suona Explorans; congiungendo dunque queste due parole con la sincope del I, over del E, componevano Velitro, ò Beletro, che in nostra favella dirà Antico Esploratore. E percio ad imitatione, et emulatione de gl'altri Gianigeni questi nostri edificarono altre Colonie vicine denominate da Giano, nelle quali i posteri alzarono il Simulacro di lui, come quelle, ch'erano nella Toscana col nome di Araini, per quanto registra il Valeriano, Quidam Ara Iani Simulacro asculpi solitæ sint, quid id facturi putent, quod Ianus Aras duodecim Etruriæ Coloniis sacrasset. Delle nostre una se ne conserva di vestigi, e di nome nel territorio Veliterno, e chiamari sin al giorno d'hoggi Araiano & Ariano, dalle cui rovine, doppo che fù demolito, e destrutto da' Velletrani, fù ritrovata una statua di Giano Bifronte con sembianze di Giovene, e di Vecchio, la di cui testa si conserva nel Claustro del nostro Convento, e è la qui intagliata. Et un altra Testa pure Bifronte somigliante à questa conserva tra molt'altre belle antichità il Cavalier, e Dottor Theocrito Micheletti, qual fù ritrovata poco distante dal suddetto luogo. Che cosa significhi la duplicata sembianza di Giano, sono varij li pensieri de' Virtuosi, come sono diverse l'intelligenze. S. Agostino registrato dal Vines, dice, che col rappresentarsi Giano Bifronte, si dimostrava la di lui gran prudenza, che consiste in prevedere le cose future, e contemplar le passate, Alii hunc Regem Bifrontem fuisse referunt, quod fuerit prudentissimus, pravideritquè procul ventura, et nespexerit praterita, onde il Cedreno disse Præteritorum, ac futurorum notitia fuisse præditum, eum à Romanis Bifrontem pingi. Il Mddendorpio vuole, che le due faccie di Giano significassero la congitione di lui delle cose del mondo, Quippè qui utriusquè ante, et post Diluvium Orbis certissimam rationem sciebat. Herodiano intende per le due Faccie il principio, e fine dell'Anno. E S. Cipriano lo conferma con queste parole, Ipse Bifrons exprimitur, quod in medio constitutus, Annumincipientem pariter, et recedentem spectare videatur; e perciò Plinio dice, che Numa Pompilio fece alzar la Statua di Giano Bifronte, c'haveva Trecento sessanta cinque deti, rappresentanti Trecento sessanta cinque giorni dell'Anno, Præterea Ianus geminus à Numa Rege dicatus, qui pacis, belliquè argumento colitur, digitis ita figuratis, vi trecentorum sexaginta quinquè dierum nota, per significationem Anni, Temporis, et Ævi se Deum indicaret. Il nostro Mancinelli havendo considerato, che Giano vien chiamato tal volta Sole, è di senso, che le due faccie dinotino il princpio, e fine del Giorno, dicendo,

Sit propter Bifrons occasum Solis, et ortum,
Per Ianum Solem monstrari namquè tulere,
Qui exoriens aperit Lucem, clauditque cadendo

Giovanni Rosino considerando, ch'il Tempio di Giano fù fabricato doppo la pace fatta trà Romani, e Sabini per le Vergini Sabine rapite, dice, che le due faccie di Giano significano li due accennati Popoli insieme uniti, per Romolo, e Titio Tatio loro Reggi, Ut significaretur duos Populos coiisse in unum. Altri intendono il principio, e fine della vita humana, che più chiaramente per il sopraposto intaglio s'esprime. E chi ne forma un concetto, e chi un'altro, conforme all'intelligenza di ciascuno. E ben vero, che talvolta Giano si dipinge Quadrifronte, cioè con quattro faccie, dice Macrobio, e Pomponio Leto lo conferma con queste parole, Ianus Quadrifrons erat, et apportandone la raggione con il significato dice, Hic quatuor Anni tempora significabat, e perciò il nostro Mancinello con buona raggione prese à dire, che denotava ancora le qattro Parti del Mondo, essendo Giano talvolta chiamato e mondo, e Cielo, tanto scrive,

Est Ianus quadrifrons partes ob quattuor Orbis,
Est etenim Mundus, quod Cælum dicitur ipse.

Dalla parte verso Ponente distante meno di quattro miglia dalla Città vi era l'altra Colonia, ch'ancora rattiene il nome, e chiamasi Prisciano, dove era il Tempio di Giano Prisco, cosi detto à differenza de gl'altri chiamati Giani Iuniori, come s'è accennato di sopra. Dalla parte di Mezzo Giorno ve n'è un'altra col nome di Carciano, cioè Città di Giano, perche Char, in lingua Hebrea non significa altro che Città in lingua nostra. Verso Levante vi è un altro luogo chiamato di presente il Colle del Cavaliere della Fameglia Catelina, che si deduce dalla parola Moosia, ò Maresa, l'una delle quali significa Habitacolo, e l'altra Heredità, ch'altro non dimostra, che luogo dove s'adorava Giano; et in tutti quest'accennati luoghi si vedono rovine sotterranee, e vi si trovano belle antichità, e frammenti, che danno materia di credere con qualche sodezza quello, che si pretende che sia. Si corrobora tutto questo con la moltitudine delle Monete, ò Medaglie di Giano, che giornalmente sparso si trovano nel nostro territorio Veliterno, delle quali per dimostrare la diversità, tre solamente n'hò fatto intagliare. Più dell'altra antica stimo la seguente, tanto per la forma, quanto per il metallo, datami dal Dottor Plinio Babbo. Somiglianti à questa ne hà due il Dot. Angelo de Prosperi, ritrovate nell'antica Villa del nostro Cesare Ottaviano Augusto, l'hò avuta dal Dottor Regolo Coluzzi rirovata in altra parte del nostro territorio. Quest'ultima da me stimata di minor antichità, sì per il metallo, come per il rovescio, mi è stata data dal Capit. Francesco Calcagni, e nella Nave apertamente si scorge.

Il Dottor Nicola Santorecchia Protonotario Apostolico, et Arciprete della Catedrale trà molt'altre belle Medaglie, ne conserva otto di Giano tutte differenti di grandezza, di metallo, e di forma; benche tutte lo rappresentino Bifronte da una parte, e dall'altra mostrino la Nave. Dalle quali si puol argomentare la stima, che li Velletrani accecati nella superstitiosa Gentilità facevano di Giano. Da quanto sin'hora s'è detto sopra al particolare di Giano, mi sarà lecito argomentare, che l'antichità di Velletri avanzi, ò almeno pareggi qualch'altra pretesa da moderni Scrittori. Perche Mirsilo Lesbio volendo dimostrare, che li Turreni popoli particolari, e principali della Toscana, (questi popoli stavano vicino alle sponde del Lago di Bolseno, dice l'Annio, Sed ea est, Volturrena, cioè antica Turrena, circà Volsinos, e doppò altre parole, Cives Volturrent in quorum parte eadem sunt Volsinienses, non molto distante dalle Grotti, dove stà un vago sito chiamato con nome corrotto Tugliena, e vi si trovano ben spesso bellissime antichità, oltre alle rovine de gl'Edificij, che da Lavoratori si scoprono alla giornata; onde possono persuadersi gli habitatori delle Grotti essere de gl'avanzi di quella famosa Città distrutta. Altri hanno diverso sentimento) Che questi popoli, dico, erano antichissimi, et originarij da quella Regione, dice esser ciò vero, perchè erano ne' Dei e ne' Riti differenti. Perchè l'altre genti di Toscana adoravano Giano e Vesta, da loro chiamati Vadimone et Horchia, Quandoquidem, queste sono le parole del Lesbio, vetustissimis differunt Diis, et moribus, etc. Nam cunctis Tuscis Dii, et Dea sunt Iuppiter, et Iuno, soli Turreni volunt Ianum, et Vestam, quos lingua sua vocant Ianib Vadimona, et Labith Horchiam. Questo Giano adoravasi da Velletrani per quanto s'è detto di sopra, dunque bisogna confessare esser Velletri Città antichissima. L'istesso Annio à questo argomento fatto per il Latio, ò Roma Latina risponde, che non erano adorati Giano, e Vesta come Dei municipali, e principali, perche nel Latio tali erano Saturno, et Opis, altramente chiamata Rhea, e n'attesta Varrone de Lingua Latina. Et io servendomi della sua risposta mi farò lecito di dire, che sicome li Toscani tutti adoravano altri Dei, eccetto li Turreni, Vadimone, et Horchia, cosi, s'altri Popoli del Latio adoravano communemente Saturno, et Opis, li Velletrani nulladimeno, con alcun'altre genti ancora adoravano Giano per Dio principale, come dall'accennate memorie chiaramente apparisce.

Sono stati alcuni, che curiosi dell'Antichita m'hanno interrogato, perche caggione Vergilio havendo composto il suo Poema in honor d'Augusto Ottaviano ne' giorni del suo Impero, sapendo, che l'origine, e natali di lui fossero da Velletri, non n'habbia fatta mentione? e pure la Patria del suo Mecenate, e Protettore, non deve tacersi, e tanto più, che Velletri era, et è Città insigne, di Popolo famoso, quanto è il Volsco, et in Regione principale, quant'è il Latio. A dire il vero è cosa di grandissima maraviglia un tal silentio, et io non saprei addurne altra raggione, che l'humana passione, che talvolta serve per Occhiale del Galileo, e tal volta per Benda, e che ben spesso trasforma lo Scrittore in Lince, e ben spesso in Talpa. E per non dimostrarmi tale ancor'io, eccone l'Autorità di più.

Nola è stata, et è una Città illustre nella Campagna Felice, et in quella Regione ha havute poche pari à suo tempo, Vergilio dovendo raggionar di quella nel suo Poema, doppo haver fatta mentione di molte Città, di Nola non ne raggiona; ma nel silenzio la sepelisce. Aulo Gellio Autore di consideratione, apporta la raggione di mancamento cosi manifesto, e riferisce haver letto, che Vergilio haveva una delitiosa Villa vicina à Nola, havendo bisogno d'acqua per vaghezza del luogo, e per sua commodità, la domandò à Nolani, quali liberamente (non s'accenna il perche) glie la negarono, del che Vergilio di tal maniera restò sdegnato, et insieme offeso, che pensando di levare dalla memoria de gl'huomini il nome di Città tanto celebre, scancellò dal suo Poema il nome di Nola, e perche era forzato à farne parola, in vece di Nola, scrisse, Ora: ecco le parole del Gellio, Scriptum in quodam Commentario reperi versus istos à Virgilio ita primùm esse recitatos, atquè editos: Talis erat Capua, et vicina Veseuo Nola Iugo. Postea Virgilium petiisse à Nolanis aquam, uti ducerat in propinquum Rus, Nolanos beneficium petitum non fecisse, Poetam offensum, nomen Urbis eorum, quasi ex hominum memoria, ex Carmine suo derasisse, Oraquè pro Nola mutasse, atquè ita reliquisse. Et vicina Veseuo Ora Iugo. Servio narra un'altra cosa simile pur contro di Nola nell'espositione del seguente verso del Poeta.

Et quos Malisfera despectant Mœnia Bella

Dice questo Commentatore, che in vece di Bella, doveva star Nola, ma havendo i Nolani negato à Vergiolio l'albergo, ne restò molto cruccioso, e sdegnato, onde dal suo Poema scancellò il nome di Nola, e vi scrisse Bella, Multi Nolam volunt intelligi, et dicunt iratum Virgilium nomen eius mutasse propter sibi negatum hospitium, et ita apertè noluisse dicere, sed ostendere per Periphrasim, nam illic punica Mala nascuntur.

Perugià è stata, et è ancora Città famosa, et una delle dodeci prime Colonie dell'antica Toscana, che per il valor dell'Armi doveva movere il Poeta à farne mentione, con tutto ciò trattando della Guerra di Enea, registra molti Popoli de Città Toscane, e lascia sotto silentio Perugia. Il Padre Ciatti apporta egli la raggione con queste parole, Et avvegna ch'altrove io mostrato habbia ciò facesse Virgilio per non offendere l'orecchie d'Ottavio Augusto, à cui egli le sue Eneade scriveva, ed il quale con odio immortale de Perugini, fece il funestissimo Sacrifitio di trecento miserabili vittime de Cittadini Perugini, come à suo luogo dirassi, e per colpa di cui Perugia fù arsa, e distrutta. Questo dice nel Pr. Tomo dell'Hist. di Perugia Lib. Terzo; dove apporta un'altra raggione, che per brevità tralascio: ecco chiare le passioni del Poeta; defetto ordinario d'alcuni Scrittori, quali per qualche mondano, ò indegno interesse, tacciono le glorie altrui, ò pure le sminuiscono, overo con qualch'aggionta disdicevole denigrano il candore d'una Patria insigne, d'una Città Illustre. Danno sperimentato da Velletri, ch'essendo Città, nobile, e degna d'esser nominata da un Poeta, che cantava le glorie di quell'Imperatore Velletrano, à cui erano indirizzate le sue fatighe; e pure appassionato le ricopre con il manto del silentio. Mi riservo le raggioni per altro luogo più al proposito.