Teogonia (Romagnoli)/I Giapetidi

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I Giapetidi: Atlante, Menezio, Prometeo, Epimeteo

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Esiodo - La Teogonia (Antichità)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1929)
I Giapetidi: Atlante, Menezio, Prometeo, Epimeteo
I Cronidi La guerra fra i Cronidi e i Titanidi
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i giapetidi: atlante, menezio, prometeo, epimeteo


Sposò Giapèto un’Oceanina, Climène, fanciulla
dal bel malleolo, seco salí nel medesimo letto.
E quella generò Atlante dal valido senno,
510poi generò Menezio coperto di gloria, e l’accorto
Promèteo scaltro, ed Epimetèo mentecatto, che prima
causa del male fu per quanti manducarono pane:
ch’egli accettò da Giove la vergine sculta nel fango.
Poi, Giove onniveggente, nell’Erebo spinse Menezio
515il tracotante, su lui scagliando il suo fumido strale,
per l’arroganza sua, pel grande soperchio di forze.
Per duro fato Atlante sostiene l’amplissimo cielo,
presso all’Espèridi, voci soavi, al confin della terra:
ritto col capo lo regge, con l’infaticabili mani:
520tale destino per lui stabili l’assennato Croníde.
E d’infrangibili ceppi dogliosi avvinghiò Prometèo,
mente sottile, a metà d’una stele, e a lui sopra sospinse
l’aquila, il rapido augello, che il fegato ognor gli sbranava;
e il fegato immortale via via tutto attorno cresceva,
525la notte, quanto il giorno sbranato ne aveva l’augello.
Ma infine al mostro alato die’ morte il figliuolo d’Alcmena,

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il prode Ercole, e franco mandò da quel morbo funesto
il figlio di Giapèto, lo sciolse dai gravi cordogli:
non già contro il volere di Giove signore d’Olimpo:
530questi anzi volle che sopra la terra, maggiore di prima
d’Ercole volle che fosse la gloria, del figlio di Tebe.
Dunque onorò, per questo riguardo, l’illustre figliuolo,
l’ira frenò, per quanto crucciato, che prima lo ardeva
contro Promèteo, che aveva con lui gareggiato in astuzia.
535Perché, quando a Mecone contesero gli uomini e i Numi,
un gran bove offerí Promèteo, con subdola mente,
e lo spartí, traendo la mente di Giove in inganno.
Perché le carni tutte, l’entragne con l’adipe grasso
depose entro la pelle, coperte col ventre del bove,
540e a lui le candide ossa spolpate, con arte di frode,
offrí, disposte a modo, nascoste nel lucido omento1.
«O di Giapeto figlio, famoso fra gli uomini tutti,
quanto divario c’è, tra le parti che hai Fatte, mio caro!»
Cosí Giove, l’eterno consiglio, crucciato gli disse.
545E gli rispose cosí Promèteo, lo scaltro pensiero,
dolce ridendo, né fu dell’arti di frode oblioso:
«Illustre Giove, sommo fra i Numi che vivono eterni,
scegli quello che piú ti dice di scegliere il cuore».
Disse, tramando l’inganno; ma Giove, l’eterno consiglio,
550bene avvisata la frode, che non gli sfuggí, nel suo cuore
sciagure meditò contro gli uomini; e furon compiute.
Il bianco adipe, dunque, levò con entrambe le mani,
e si crucciò nel cuore, di bile avvampò, quando l’ossa
del bue candide scorse, composte con arte di frode.
555Di qui l’usanza venne che sopra gli altari fragranti
bruciano l’ossa bianche dei bovi i mortali ai Celesti.
E nel suo cruccio, Giove che i nugoli aduna, gli disse:
«O di Giapèto figlio, che sei d’ogni cosa maestro,
dunque obliata non hai, caro amico, la tua frodolenza».

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Cosí, crucciato, il Dio dagli eterni consigli diceva;
e da quel giorno, mai non dimenticando la frode,
agli uomini tapini che vivono sopra la terra,
nati a morire, la forza negò dell’indomito fuoco.
565Ma l’ingannò di Giapèto l’accorto figliuolo, e la vampa
che lunge brilla, a lui furò dell’indomito fuoco,
entro una ferula cava. Nel mezzo del cuore fu morso
Giove che freme dall’alto, di bile fu pieno il suo cuore,
come fra gli uomini vide la vampa che fulge lontano;
570e un male, a trar vendetta del fuoco, creò pei mortali.
Un simulacro plasmò con la terra l’insigne Ambidestro,
simile ad una fanciulla pudica: lo volle il Croníde.
La cinse e l’adornò la Diva occhiglauca Atena,
con una candida veste, sul capo le pose una mitra
575istorïata con le sue mani, stupenda a vederla,
e su la fronte corone le pose Pàllade Atena
di fiori, appena appena spiccati dall’erba fiorente.
E d’oro un dïadema le cinse d’intorno alla fronte,
che avea per lei foggiato l’artefice insigne ambidestro,
580con le sue proprie mani, per far cosa grata al Croníde.
In esso molte fiere scolpite con arte stupenda
erano, molte, quante ne nutrono il mare e la terra:
tante scolpite ne aveva, fulgendone somma bellezza,
meravigliosa; e tutte sembrava che avessero voce.
585Poscia, com’ebbe scolpito quel bello ma tristo malanno,
addusse ov’eran gli altri Celesti e i mortali la donna,
tutta dei fregi ornata d’Atena dagli occhi azzurrini.
E meraviglia colse le genti mortali ed i Numi,
quando l’eccelsa frode funesta agli umani fu vista.
590Da questa derivò delle tenere donne la stirpe,
la razza derivò, la donnesca genía rovinosa,
grande iattura, che vive fra gli uomini nati a morire,
che della povertà compagne non son, ma del lusso.

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Come allorché nei loro profondi alveari, le pecchie
595nutrono i pigri fuchi, compagni d’ogni opera trista:
esse l’intero dí, sin che il sole si tuffa nel mare,
sinché la luce brilla, riempiono i candidi favi;
e, rimanendo i fuchi nel fondo agli ombrosi alveari,
mèsse nel ventre fanno di ciò che raccolsero l’altre:
600similemente, a danno degli uomini, Giove che tuona
dal ciel, pose le donne, compagne d’ogni opera trista.
E un altro male, invece d’un bene, anche inflisse ai mortali:
chi, per fuggire i tanti pensier’ che le femmine dànno,
schiva le nozze, e giunge soletto all’esosa vecchiezza,
605non ha, seppure nulla gli manca, nessun che l’assista;
e quando viene a morte, dividon lontani parenti
fra lor la sua sostanza. Chi poi vuol marito il destino,
quand’anche abbia una moglie pudica, di mente assennata,
col tempo, anche per lui si bilanciano il bene ed il male.
610Ma quello che s’imbatte con una di trista genía,
nutre, per tutta quanta la vita, una smania nel seno,
nell’animo, nel cuore, rimedio non c’è del suo male.
     Né trasgredire si può, né frustrare il volere di Giove.
Neanche Prometèo, di Giapeto il benefico figlio,
615all’implacato suo sdegno sfuggí: con fatale potenza
immani ceppi lui costrinsero; e tanto era scaltro.


Note

  1. [p. 280 modifica]Il ventre del bue era una parte spregiata, si dava ai mendichi (Odissea, 18, 44). Prometeo mette da una parte la carne, chiusa entro la pelle, e sopra il ventre, spregiato; e dall’altra l’ossa, coperte dall’omento, pregiatissimo. E lascia libera scelta a Giove, che cade in trappola. Nel mito c’è una palese intenzione di fronda, [p. 281 modifica]e inefficaci sono le parole del poeta che cercano di mascherarla. E c’è palese incongrenza nel dire a) che sapeva da prima la frode, b) che avvampò d’ira quando la scoperse.