Teoria della relatività/La relatività particolare/La relatività del tempo/Esempio

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Esempio

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b) Esempio


Rappresentiamoci due sistemi piani, due fogli di carta sovrapposti per esempio, quello di sopra in quiete, quello di sotto (punteggiato nella figura) in movimento verso la destra. Su quello di sopra si trova un osservatore B, su quello di sotto un osservatore B’ (fig. a); dal punto A, che si può considerare come appartenente ai due sistemi, viene inviato un segnale luminoso che si propaga e arriva in B nel momento in cui B’ vi passa (fig. b); B’ non riceve quindi il segnale, emesso all’istante nel quale si trovava nella posizione della fig. a, che nel momento in cui egli è in quella della fig. b). Il punto d’emissione del segnale che, al momento dell’emissione stessa appartiene ai due sistemi, è rimasto in A in quanto è punto del sistema fisso; per [p. 58 modifica]l’osservatore B’ in quanto è punto del sistema mobile, si è spostato ed è venuto in A’. Ricordiamoci l’esperienza di pag. 33: l’osservatore in marcia considera il segnale come emesso dal suo treno, l’osservatore in quiete come emesso dal suolo; quest’ultimo quindi fisserà in A la posizione della sorgente luminosa, il primo la fisserà in A’. D’altronde bisogna ben persuadersi che tutti e due hanno ragione: è la povertà dei termini e del disegno che ci costringe a qualificare l’uno di essi “fisso” e a favorirlo in apparenza: in realtà non c’è né “quiete” né “movimento”, c’è “movimento relativo.” Si potrebbe dire: fermiamo ogni movimento, lasciamo tutto in quiete e vediamo quale è, da B A o da B A’ la buona direzione, se “fermare”, “lasciare in quiete” non richiedessero uno spazio assoluto. D’altra parte non è logico provocare questo arresto al momento in cui il segnale arriva: lo sarebbe di più il farlo al momento dell’emissione, poiché le sorti della sorgente nell’intervallo ci sono indifferenti: veramente se si tratta di una scintilla, essa può essere spenta dopo molto tempo. Ma all’istante dell’emissione l’arresto è superfluo: non vi è alcuna contraddizione perché i punti A e A’ sono allora confusi. Più tardi è a buon diritto che B considera A B’ A’ come veri successori del punto prima comune.

I due osservatori ricevono dunque simultaneamente il segnale in B e, mentre uno ne cerca l’origine in A l’altro la cerca in A’ ambedue con ragione. Essi debbono, come abbiamo visto correggere la loro osservazione aggiungendo [p. 59 modifica]all’ora d’emissione del segnale il tempo ch’esso ha impiegato a propagarsi, tempo che per ciascuno di essi è differente, poiché l’uno prende come tragitto A B, l’altro A’ B, e poiché il percorso A B è evidentemente superiore al percorso A’ B. L’osservatore in quiete fa dunque una correzione maggiore, il suo orologio andrà avanti. Supponiamo ora i due sistemi muniti di orologi sincroni nel senso indicato nel capitolo precedente; gli orologi A e A’ nel momento in cui passano per lo stesso punto, segnano la stessa ora, il nostro ragionamento dimostra dunque che è impossibile di definire per i due sistemi un tempo comune, in modo che due orologi qualsiasi di sistemi differenti diano sempre la stessa ora nell’istante in cui essi passano per il medesimo punto.

Non è privo d’interesse il trattare questo esempio col calcolo. Prendiamo come velocità quella della terra, cioè supponiamo che la terra si muova in linea retta con la velocità che essa ha sulla sua orbita; portati da essa noi rappresentiamo l’osservatore B’, e arrivati in B noi troviamo un osservatore fisso; tutti e due allora osserviamo il segnale di A, ma in direzioni differenti; è evidente che questa differenza di direzione, cioè l’angolo A B A’ è ben più piccola che sulla figura, poiché il cammino percorso dalla terra da B’ a B (fig. a) e la distanza dei punti A ed A’, che gli è uguale, sono molto piccoli in confronto alla distanza A B percorsa dalla luce durante lo stesso tempo.

Domandiamoci durante quanto tempo la terra dovrebbe seguire la sua corsa rettilinea perché [p. 60 modifica]la differenza delle durate dei percorsi luminosi A B e A’ B fosse esattamente un secondo: si trova in cifra tonda, da sei a sette anni. Le distanze B’ B ed A A' sono dunque da sei a sette volte eguali alla lunghezza dell’orbita terrestre. La luce percorrerebbe A B in sei o sette anni, e A’ B sarebbe più corto di appena un “secondo luce” ossia 300.000 chilometri. L’angolo A B A’ è allora di un terzo di minuto, la centesima parte circa del diametro apparente del sole e della luna. Ritorneremo sulla questione più avanti.

Le stelle fisse piú vicine si trovano ad alcuni anni-luce; ce ne sono dunque alcune appena più lontane che i sei anni-luce di A B. In rapporto all’insieme del mondo stellare percettibile ai nostri telescopi, è il piú prossimo vicinato. Supponiamo dunque che da A si emetta un segnale luminoso che per tutta la zona circostante deve fissare il principio di un’êra nuova; i due osservatori registreranno la stessa data, le posizioni delle lancette delle ore e dei minuti dei loro orologi coincideranno, ma per le lancette dei secondi per quanto gli osservatori stessi siano allo stesso punto e facciano le loro osservazioni col medesimo scrupolo, quella dell’osservatore in movimento sarà in ritardo di un secondo.

Questo esempio mostra la straordinaria piccolezza dei cambiamenti, resi necessari dalla teoria della Relatività.1 [p. 61 modifica]

Nella vita corrente e anche nei lavori scientifici, abbiamo da fare con velocità ben inferiori a quella della terra, con durate ben piú corte che sei anni-luce, con distanze molto piú brevi di quella pari a sei volte l’orbita terrestre. Se dunque, praticamente e nella fisica che precedette Michelson, si è potuto, senza disaccordo con l’esperienza, utilizzare delle rappresentazioni assolute, non bisogna vedere in ciò una contraddizione col principio di relatività. I vecchi principi meccanici di Galileo e Newton, nel ristretto campo di spazio e di tempo nel quale li si impiega, si accordano con tale principio e possono continuare senza pericolo ad essere tenuti come valevoli per gli usi domestici, se cosí si può dire. In campi più vasti invece, essi sono subordinati ai principi più generali della relatività elettromagnetica.

  1. È indispensabile insistere sulla straordinaria piccolezza delle correzioni portate dalla nostra teoria alla misura del tempo. Ritenere, sotto il pretesto che l’orologio mobile ritarda, che muoversi è invecchiare meno velocemente, non è naturalmente che un’immagine forzata, come quella della pag. 34, nella quale abbiamo parlato del signore obeso che il movimento fa dimagrire. Sembra che disgraziatamente ci sia della gente che prende per oro colato queste innocenti facezie. C’è un altro errore sul quale vorrei attrarre l’attenzione. Se due osservatori s’incontrano, dal punto di vista relativista, ciascuno di essi può considerarsi come in quiete e considerare l’altro come in movimento; ma se tutti e due si ritrovano di nuovo, uno almeno ha dovuto fare mezzo giro (ciò ohe è incompatibile col movimento rettilineo ed uniforme) e in conseguenza non può più considerarsi come se fosse rimasto in quiete. Questo fatto è stato così spesso spiegato (per esempio da Einstein nel suo dialogo. Bloch, pag. 68. Vedi Bibliografia) che in principio ho ritenuto inutile ritornarvi su. Ma in una riunione alla Filarmonica di Berlino il 24 agosto 1920 davanti piú di mille persone, il principale conferenziere ha riunito i due precedenti errori; egli credeva che dal punto di vista relativo ciascuno dei due osservatori poteva dire: io sono rimasto in quiete e tu ti sei spostato, io sono invecchiato e tu sei rimasto giovane, e per andare sino alla fine, io sono morto e tu vivi!