Trattato della Pittura (da Vinci)/Parte seconda/62. Dell'operatore della pittura e suoi precetti

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Parte seconda
62. Dell'operatore della pittura e suoi precetti

Trattato della Pittura (da Vinci)/Parte seconda/61. Precetto intorno al disegno dello schizzare storie e figure Trattato della Pittura (da Vinci)/Parte seconda/63. Modo d'aumentare e destare l'ingegno a varie invenzioni IncludiIntestazione 1 giugno 2008 75% Pittura

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62. Dell'operatore della pittura e suoi precetti
Parte seconda - 61. Precetto intorno al disegno dello schizzare storie e figure Parte seconda - 63. Modo d'aumentare e destare l'ingegno a varie invenzioni

Ricordo a te, pittore, che quando col tuo giudizio o per altrui avviso scopri alcuni errori nelle opere tue, che tu li ricorregga, acciocché nel pubblicare tale opera tu non pubblichi insieme con quella la materia tua; e non ti scusare con te medesimo, persuadendoti di restaurare la tua infamia nella succedente tua opera, perché la pittura non muore immediate dopo la sua creazione come fa la musica, ma lungo tempo darà testimonianza dell’ignoranza tua. E se tu dirai che per ricorreggere ci vuol tempo, mettendo il quale in un’altra opera tu guadagneresti assai, tu hai ad intendere che la pecunia guadagnata soprabbondante all’uso del nostro vivere non è molta, e se tu ne vuoi in abbondanza, tu non la finisci di adoperare, e non è tua; e tutto il tesoro che non si adopera è nostro a un medesimo modo; e ciò che tu guadagni che non serve alla vita tua è in man d’altri senza tuo grado. Ma se tu studierai e ben limerai le opere tue col discorso delle due prospettive, tu lascierai opere che ti daranno piú onore che la pecunia, perché essa sola per sé si onora e non colui che la possiede, il quale sempre si fa calamita d’invidia e cassa di ladroni, e manca la fama del ricco insieme colla sua vita, resta la fama del tesoro e non del tesaurizzante. E molto maggior gloria è quella della virtú de’ mortali, che quella dei loro tesori. Quanti imperatori e quanti principi sono passati che non ne resta alcuna memoria, perché solo cercarono gli stati e ricchezze per lasciare fama di loro? Quanti furono quelli che vissero in povertà di danari per arricchire di virtú? E tanto piú è riuscito tal desiderio al virtuoso che al ricco, quanto la virtú eccede essa ricchezza. Non vedi tu che il tesoro per sé non lauda il suo cumulatore dopo la sua vita, come fa la scienza, la quale sempre è testimone e tromba del suo creatore, perché ella è figliuola di chi la genera, e non figliastra com’è la pecunia? E se tu dirai poter satisfare piú a’ tuoi desiderî della gola e lussuria mediante esso tesoro e non per la virtú, va considerando gli altri che sol han servito ai sozzi desiderî del corpo, come gli altri brutti animali; qual fama resta di loro? E se tu ti scuserai, per avere a combattere colla necessità, non avere tempo a studiare, e farti vero nobile, non incolpare se non te medesimo; perché solo lo studio della virtú è pasto dell’anima e del corpo. Quanti sono i filosofi nati ricchi che hanno diviso i tesori da sé, per non essere vituperati da quelli! E se tu ti scusassi co’ figliuoli, che ti bisogna nutrire, piccola cosa basta a quelli, ma fa che il nutrimento sieno le virtú, le quali sono fedeli ricchezze, perché quelle non ci lasciano se non insieme colla vita. E se tu dirai che vuoi far prima un capitale di pecunia, che sia dote della vecchiezza tua, questo studio mai mancherà, e non ti lascierà invecchiare, e il ricettacolo delle virtú sarà pieno di sogni e vane speranze.

Nessuna cosa è che piú c’inganni che il nostro giudizio se s’adopera nel dare sentenza delle nostre operazioni; esso è buono nel giudicare le cose de’ nimici e degli amici no, perché odio e amicizia sono due de’ piú potenti accidenti che sieno appresso agli animali. E per questo tu, o pittore, sii vago di non sentire men volentieri quello che i tuoi avversari dicono delle tue opere, che del sentire quello che dicono gli amici, perché è piú potente l’odio che l’amore, perché esso odio ruina e distrugge l’amore. Se chi ti giudica è vero amico, egli è un altro te medesimo. Il contrario trovi nel nimico, e l’amico si potrebbe ingannare. Evvi poi una terza specie di giudizi, che mossi d’invidia partoriscono l’adulazione che lauda il principio delle buone opere, acciocché la bugia accechi l’operatore.